Come imparare a dire di no

Dire di no può sembrare una sfida impossibile per molte persone. Che si tratti di accettare un progetto lavorativo anche se siamo già sovraccarichi, o di partecipare a un evento
In una società in cui “imperfetto” è sinonimo di “incompiuto”, l’imperfezione resta il simbolo dell’evoluzione. E dove c’è perfezione, non c’è storia. Changes ne ha parlato con il filosofo evoluzionista Telmo Pievani.
In una società in cui “imperfetto” è sinonimo di “incompiuto”, l’imperfezione resta il simbolo dell’evoluzione. E dove c’è perfezione, non c’è storia. Changes ne ha parlato con il filosofo evoluzionista Telmo Pievani.
In un’epoca in cui la perfezione viene esaltata come obiettivo da raggiungere a ogni costo — tra filtri digitali, corpi scolpiti e vite patinate sui social — c’è una verità biologica che resiste sotto la superficie: l’imperfezione è la norma, non l’eccezione. Lo dimostra la natura, lo conferma la scienza, e lo racconta con chiarezza Telmo Pievani, filosofo della biologia, nel suo saggio Imperfezione – Una Storia Naturale. L’imperfezione, lungi dall’essere un errore da eliminare, è la chiave stessa dell’adattabilità, della sopravvivenza e del progresso evolutivo. È nei nostri limiti che si cela la nostra forza.
In un mondo che idolatra la perfezione estetica e idealizza la forma fisica, Telmo Pievani, filosofo della scienza, ci invita a capovolgere il paradigma. L’imperfezione non è un difetto da correggere, ma il motore stesso dell’evoluzione. È grazie all’errore, alla mutazione e alla disfunzione apparente che l’essere umano si è adattato, è cambiato e ha progredito. Nella natura, ciò che conta non è essere perfetti, ma essere funzionali. E dove c’è perfezione, non c’è più storia da scrivere.
Lungi dall’essere una sfortuna o una carenza, l’imperfezione è il segno distintivo della vita in evoluzione. Come ricorda Pievani nel suo saggio Imperfezione – Una Storia Naturale, l’idea stessa di perfezione è incompatibile con il concetto di cambiamento. Darwin lo aveva capito già nell’Ottocento: i tratti inutili, le variazioni e le anomalie sono i segnali di un processo vitale che non smette mai di reinventarsi. In questo senso, l’imperfezione è una regola, non un’eccezione. Senza errori, la selezione naturale non avrebbe nulla su cui lavorare.
La perfezione è un concetto statico, chiuso, finito. Dove tutto è perfetto, nulla evolve più. Pievani lo scrive chiaramente: «La perfezione è, per definizione, compiutezza atemporale». Ma la realtà è un’altra: la natura è caotica, irregolare, inefficiente. Basta pensare alla fatica che fa un ghepardo dopo una corsa – spesso ignorata nei documentari patinati – per capire che l’equilibrio armonioso che immaginiamo è solo una narrazione. La vera natura è un compromesso continuo, in cui “funziona” vale più di “è perfetto”.
Il nostro corpo è il risultato di un’evoluzione fatta di stratificazioni e adattamenti incompleti. Il cervello umano, per esempio, è tanto straordinario quanto fragile: consuma il 20% dell’energia corporea e richiede anni per maturare, ma è anche capace di compiti sofisticati come la coordinazione occhio-mano e il linguaggio.
Anche il DNA, apparentemente simbolo di precisione, è in realtà un archivio caotico di errori. Se si replicasse senza variazioni, saremmo tutti identici e incapaci di adattarci. Le mutazioni casuali, le ridondanze genetiche e i “geni dormienti” sono il motivo per cui oggi esistiamo come individui unici.
Le imperfezioni non sono solo invisibili. Alcune si manifestano in modi sorprendenti: bambini che nascono con una piccola coda, balene con zampe posteriori, serpenti con arti rudimentali. Sono tutti esempi di atavismi, residui di epoche evolutive passate. L’appendice, i denti del giudizio, la lanugine fetale: tutti elementi che oggi sembrano inutili, ma che raccontano chi eravamo e come siamo cambiati. Anche i “geni del tuorlo”, silenziati nel nostro genoma, ci ricordano la nostra lontana parentela con i rettili ovipari.
Ma l’imperfezione non è sempre innocua. Alcune sue manifestazioni diventano vere e proprie sfide esistenziali. Le disabilità, le malattie psichiche, le condizioni degenerative: sono parte del prezzo che l’evoluzione ci impone. Pievani è netto: la sofferenza psichica non è un fallimento evolutivo, ma una conseguenza complessa della nostra stessa natura. L’elasticità e la plasticità del cervello che ci rendono così versatili, ci rendono anche vulnerabili.
Oggi però, il valore dell’imperfezione è minacciato da una nuova religione: quella della perfezione estetica. Sui social, in TV, nella pubblicità, il corpo viene raccontato come qualcosa da correggere, levigare, migliorare. E così proliferano i “Botox Party”, le richieste estreme di chirurgia illegale per cambiare il colore degli occhi, i selfie usati come modelli ideali da copiare. Ma quel modello di perfezione è fittizio, irrealizzabile, e produce solo ansia, frustrazione e disillusione.
Accettare l’imperfezione significa abbracciare ciò che ci rende umani. È il primo passo per un rapporto più sano con il nostro corpo, con la nostra mente e con gli altri. Solo attraverso la consapevolezza della nostra natura imperfetta possiamo costruire una società inclusiva, realistica, empatica. Come sottolinea Pievani, la natura non cerca l’eleganza: cerca ciò che funziona. E forse, nella nostra imperfezione, c’è proprio ciò che serve per andare avanti.
*Articolo pubblicato il 16 settembre 2019 e sottoposto a successive revisioni