La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
L’innovatore è chi ha l’idea oppure chi fa in modo che quel prodotto o quella soluzione arrivi sul mercato? Changes ne ha parlato con Roberto Verganti.
Bla-bla-bla: l’innovatore è chi ha l’idea oppure chi fa in modo che quel prodotto o quella soluzione arrivi sul mercato? La risposta, secondo l’OCSE, l’organizzazione internazionale per lo sviluppo economico nata nel dopoguerra e con sede a Parigi, è univoca: «L’innovazione è la realizzazione di nuovi (o significativamente migliorati) prodotti (siano essi beni o servizi), processi, metodi di marketing o metodi organizzativi nelle pratiche di business, nell’organizzazione del lavoro e nelle relazioni con gli attori esterni». Detto in altre parole, diverse da quelle impiegate nell’Oslo manual: guidelines for collecting and interpreting innovation data e datate al 2005, per fare innovazione devono esserci, rispettivamente, una novità, la creazione di valore per il business e, infine, l’arrivo sul mercato di ciò che è stato progettato e prodotto. Cerchiamo di andare a fondo della questione, riflettendo sui punti chiave individuati dall’OCSE, per arrivare – speriamo – a una conclusione condivisa: facciamolo con l’aiuto dall’insegnamento di Roberto Verganti, docente di innovazione al MIP Politecnico di Milano e alla Stockholm School of Economics.
Di cosa parliamo:
Il primo aspetto da chiarire è che quando si parla di innovazione occorre tenere in considerazione due differenti prospettive: essa può interessare il mercato oppure il produttore. Ovviamente può esserci anche il caso in cui un prodotto o un servizio sia innovativo sia per i consumatori che per chi li produce. Ci sono innovazioni “nuove per il mercato”, che rappresentano cioè una “novità per l’utilizzatore finale” e altre, invece, che sono “nuove per chi le produce”. Possiamo fare, a questo proposito, l’esempio della Coca dietetica. A lanciarla, negli anni Cinquanta, fu la Royal Crown Cola con il nome di Diet Rite. Qualche anno dopo, nel 1964, arrivò la Diet Pepsi: non fu, dunque, una novità per i consumatori, ma per PepsiCo.
Seguendo la definizione dell’OCSE, è necessario riflettere sul valore portato dall’innovazione. Come appena detto per la novità, anche questo capitolo deve essere trattato da due punti di vista differenti, quello del consumatore e quello del produttore. Come insegna Verganti, «per l’utilizzatore il valore differenziale deriva da un miglioramento nelle prestazioni o nel poter svolgere nuove prestazioni che hanno più senso. Per il produttore il valore differenziale deriva dalla creazione di profitto e di asset strategici quale il posizionamento competitivo o il rafforzamento del brand».
Infine, eccoci al terzo passaggio, c’è l’aspetto della realizzazione. L’innovazione ha luogo con la prima transazione commerciale o quando essa ha un impatto nella società. Ideazione e creatività, dunque, non rientrano a pieno titolo nel novero dell’innovazione. Interessante, a questo proposito, è l’analisi fatta dalla società di consulenza Accenture: solo il 7% delle idee giunge sul mercato e, dunque, si rivelano di valore. Per questo, a maggior ragione, possiamo concludere che un’idea è ben lontana dall’essere un’innovazione.
Tiriamo le somme. Tanti hanno belle idee. Capita a ciascuno di noi di avere delle intuizioni su come innovare il significato di un’oggetto o di un servizio. Attenzione, però, che avere delle idee non significa ottenere il “badge” dell’innovatore. L’OCSE, in una semplice definizione, ci permette di fare chiarezza su di noi e, così facendo, su come essere veri innovatori. Perché di innovazioni sul mercato c’è sempre bisogno. E ciascuno di noi può contribuire. Non da ideatore, ma da innovatore. Un conto è fare innovazione, un conto è fare bla-bla-bla.