Radio e automobili: un amore che non può finire

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Radio e automobili: un amore che non può finire

Molte case automobilistiche hanno detto addio alla radio in FM o in digitale. Una decisione rischiosa sotto diversi punti di vista. E il mondo della comunicazione è preoccupato.

Avete mai sentito parlare dei fratelli Paul e Joseph Galvin? Fondatori a inizio Novecento della Galvin Manufacturing Corporation, l’azienda che assunse poi il nome di Motorola, i due americani sono i padri dell’autoradio. Furono loro nel 1930 a lanciare il Model 5T71, un kit per installare appunto la radio nelle prime automobili. Fu un grande successo commerciale e sociale, giunto sino ai giorni nostri. Ma domani che ne sarà della radio in macchina? Se lo sta chiedendo preoccupato il mondo della radiofonia e quello della comunicazione in genere, a causa di alcune decisioni delle major dell’automotive sempre più propense ad abbandonare le vecchie radio in FM o in digitale (DAB) per le piattaforme di streaming musicale o di podcasting. Lo hanno fatto diverse case automobilistiche, soprattutto nei modelli più tecnologicamente avanzati, o nelle cosiddette minicar guidate prevalentemente dai giovani, da sempre il target prediletto dalla radio.

In difesa dell’autoradio

Alla base di questa rivoluzione vi sono i computer di bordo, sempre più performanti e multimediali che riproducono le funzionalità dei nostri smartphone, attraverso bluetooth o semplici porte USB. Parliamo degli ormai celebri Apple Car Play, Android Auto o il più recente Samsung Auto.

«Il rischio grosso è di lasciare nelle mani dei grandi colossi online le scelte sul delicato mondo dell’informazione», ha commenta a Changes Giorgio d’Ecclesia, founder e CEO di Radiospeaker che organizza il Italia il World Radio Day. Secondo D’Ecclesia la questione è un discorso di libertà, ma anche di tutela dei valori dell’informazione. «Le radio hanno alle loro spalle gli editori che a loro volta in caso di abusi rispondono alle autorità, le app sono invece controllate da questi grandi soggetti che maneggiano enormi quantità di dati e gestiscono gli algoritmi che profilano il cliente».Inoltre, la radio in digitale o FM è gratuita ed accessibile da tutti, non prevede abbonamenti e non si paga neanche cedendo i propri dati personali. Non solo, la radio è anche un medium che svolge un ruolo centrale nell’informazione durante le emergenze. «Basti pensare a quello che è successo in Spagna con il recente blackout elettrico – osserva Giorgio d’Ecclesia – quando le persone hanno utilizzato le vecchie radio a batteria per informarsi sull’evolversi della crisi».

Ecco perché la minaccia dell’abbandono dell’autoradio è un tema sociale, civico e anche ovviamente economico e commerciale (meno ascolti significherebbe un collasso del settore in termini di introiti pubblicitari). «Le big tech ormai sono diventati anche produttori di contenuto e con le loro decisioni distorcono la concorrenza, favorendo i propri prodotti rispetto agli altri», osserva sempre D’Ecclesia. Non a caso sul tema si è recentemente espressa anche l’AGCOM.

L’Autorità scende in campo

L’Autorità garante della comunicazione ha scritto al governo per segnalare ufficialmente la questione e invocare un intervento normativo, che difenda la presenza della radio nelle automobili vendute in Italia. In un convegno organizzato da AGCOM e Ordine dei Giornalisti Massimiliano Capitanio, commissario dell’AGCOM ha infatti dichiarato che «senza un’azione decisa, non solo rischiamo di perdere un mezzo di comunicazione centrale per la sicurezza e l’informazione, ma anche migliaia di posti di lavoro. Sarebbe un colpo alla filiera industriale e ai diritti dei cittadini».

Un avvertimento coerente con le linee guida pubblicate nel 2024 dall’autorità sulla cosiddetta “prominence” che tutela i servizi dei media di interesse generale (SIG) e ne richiede la loro visibilità adeguata sulle varie piattaforme e dispositivi digitali. Una presa di posizione contro cui si è espresso il mondo dei produttori dei device di ICT. Secondo Anitec-Assinform di Confindustria, infatti, il provvedimento «sembra sottovalutare la complessità tecnologica che oggi caratterizza i prodotti digitali» e mette in campo una serie di obblighi «complessi da gestire che non raggiungono l’obiettivo di offrire agli utenti uno strumento di orientamento semplice ed equilibrato».

Chi ascolta la radio in automobile?

Sempre secondo l’AGCOM sono circa 26 milioni gli italiani che ascoltano la radio in coda al semaforo o durante un viaggio o il tragitto casa-lavoro. In particolare, nel 2022, ben 23,7 milioni di italiani hanno ascoltato la radio principalmente tramite l’autoradio.

In Italia l’automobile è insomma ancora il regno della radio, che nel nostro Paese conta circa 2.400 emittenti attive, locali e nazionali, con un ascolto quotidiano che supera i 35 milioni di utenti medi giornalieri. Nonostante le tante profezie di scomparsa, inoltre, il mezzo radiofonico continua a godere di buona salute anche commerciale, visto che nel 2024, secondo  Confindustria Radio TV, il mercato pubblicitario radiofonico in Italia ha registrato un incremento del 2,2% rispetto all’ano precedente, per un valore di 408 milioni di euro

Dalla difesa all’attacco: per una radio sempre più digitale

La difesa della radio nelle automobili non è perciò una mera difesa corporativa o di interesse commerciale, ma rappresenta una battaglia di pluralismo e di tutela dell’informazione contro una disintermediazione crescente e dai profili rischiosi. Ma la sfida è difficilmente vincibile con la rigidità delle norme o con le imposizioni. Sarebbe importante, invece, agevolare dal punto di vista normativo ed economico il percorso di digitalizzazione del settore radiofonico.

Sempre l’AGCOM, infatti, ha diffuso i risultati di un’indagine di GFK Italia, secondo cui nel 2024 erano in uso oltre 14 milioni di ricevitori DAB+, installati in appena il 35% del parco auto privato italiano. Nelle nostre case, poi, a fronte di una crescente digitalizzazione dei servizi, la radio ha un tasso di penetrazione inferiore al 15%. I dati non sono eccezionali e raccontano un percorso che deve essere stimolato e accelerato anche se, secondo Giorgio d’Ecclesia «il settore radiofonico italiano sta correndo sul digitale. Le radio nazionali stanno tutte sul DAB, mentre quelle locali e i loro consorzi stanno andando avanti». Supportare questo mondo sempre in fermento dal punto di vista culturale e commerciale, significa cogliere le nuove sfide digitali che altrimenti finirebbero per favorire i soliti noti protagonisti dell’economia dei dati.

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Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.