Micromobilità elettrica: una rivoluzione urbana tra benefici e rischi

Cos’è la micromobilità elettrica La micromobilità elettrica si definisce come l’insieme di mezzi di trasporto leggeri, compatti ed elettrici—come monopattini elettrici, bi
Le tecnologie di comunicazione e informazione hanno reso possibile la produzione e la diffusione di contenuti fittizi su una scala senza precedenti. Di fronte a questa sfida epocale, dobbiamo agire con urgenza per sviluppare nuovi strumenti e nuove competenze.
“Quid est veritas?” era la domanda di Pilato a Gesù Cristo. Rimase senza risposta. La curiosità del prefetto della Giudea esprimeva la confusione di un’epoca nella quale proliferavano innumerevoli sette apocalittiche, ciascuna con il suo santone e la sua personale profezia sulla fine dei tempi, da Giovanni Battista a Simon Mago. Non è dissimile la nostra epoca, che al mosaico delle culture ha aggiunto una rete informatica capace di connetterle tutte quante tra loro, costringendoci a un estenuante dialogo che si traduce spesso in conflitto. Quelle che duemila anni fa erano soltanto delle visioni mistiche descritte in modo particolarmente vivido, oggi possono essere sostituite da immagini deepfake, video che mostrano leader politici dire cose inaudite o scene di eventi catastrofici.
Si parla perciò di Post-verità, per esprimere un’epoca in cui ciascuno ha la sua visione del mondo e viene a mancare una rappresentazione condivisa. Fonti d’informazione concorrenti dipingono realtà inconciliabili attraverso la circolazione incontrollata di mezze verità e falsi veri e propri. Le condizioni stesse della democrazia sembrano venire a mancare. La questione, ora, è se riusciremo a ricostruire la frontiera tra il vero e il falso, oppure se dobbiamo arrenderci alla loro indistinzione. Ma prima dobbiamo tornare alla domanda di Pilato.
Per parlare del falso bisogna cominciare con una definizione del vero. È una questione da filosofi: San Tommaso d’Aquino sosteneva che la verità era l’adeguazione del nostro intelletto (oppure: di una percezione, di un’esperienza, di una testimonianza, di una teoria) alle cose. E Wittgenstein scriveva che il mondo è tutto ciò che accade, la totalità dei fatti. Qui però iniziano i problemi. I fatti ci arrivano sempre in una forma mediata, e con essi la verità del mondo, come in uno specchio. A fare da filtro può essere un dispositivo di percezione, un’impronta, una testimonianza orale o scritta oppure una teoria. Il dispositivo di percezione può essere una lente – occhiale, telescopio o microscopio – ma la prima mediazione sono i nostri stessi occhi, che – come sosteneva Cartesio – potrebbero ingannarci. Via via che ci allontaniamo nello spazio, è necessaria una mediazione sempre più potente, e potenzialmente ingannevole: chi ci assicura che l’immagine che ci sembra vicina non sia invece più lontana? Se ci allontaniamo nel tempo, a mediare la nostra conoscenza del reale sono invece le impronte, ovvero le tracce lasciate dai fatti. Ma una traccia può essere imitata… Se non ci sono tracce, ci possiamo accontentare delle testimonianze, che prendono spesso la forma di racconti. E i racconti, si sa, possono anche essere di pura fantasia. Infine, tanti singoli fatti possono essere generalizzati in una teoria e così fornirci un’altra e più alta concezione della verità: è vera una certa “legge della natura” perché prevede quel che è più probabile che avvenga. Sfortunatamente, le teorie possono anche essere sbagliate: per lungo tempo si è creduto che la Terra fosse al centro dell’universo, perché questo era coerente con le osservazioni immediate del cielo.
Come abbiamo visto, tutte le mediazioni attraverso le quali ci interfacciamo con il mondo hanno qualcosa in comune: possono farci prendere per vero qualcosa di falso. Con il progresso scientifico e tecnologico, aumenta il sapere ma anche la nostra distanza dai fatti: noi conosciamo il mondo attraverso dispositivi di mediazione sempre più potenti, teorie sempre più elaborate, e così tutto si allontana in una rappresentazione. Ci dobbiamo fidare: non più soltanto dei nostri occhi – come San Tommaso e Cartesio – ma degli esperti e dei media che danno loro la parola.
I dispositivi di mediazione che ci fanno da interfaccia con la verità del mondo sono anche quelli che oggi permettono di modificare una foto, o crearla dal nulla con pochissime competenze, e poi farla circolare da una parte all’altra del pianeta, fra milioni di utenti. Sono quelli che permettono a ciarlatani improvvisati di diventare degli influencer, inventando di sana pianta spiegazioni in grado di ridurre la complessità del mondo.
Su Internet puoi trovare in dieci secondi la spiegazione della teoria della relatività, le foto della Shoah, il fact-checking rigoroso del fatto del giorno. Ma Internet è anche piena di fotomontaggi, racconti immaginari e foto di gatti troppo belli per essere veri. Attenzione: queste rappresentazioni non sono, in sé, dei “falsi”, così come non sono false opere di finzione Il giardino delle delizie di Bosch o Blade Runner di Ridley Scott. Le finzioni diventano dei falsi nel momento in cui qualcuno tenta di spacciare quello che mostrano o raccontano per vero. Il falso, dunque, non sta nella cosa in sé, ma nella sua cornice, nella didascalia che lo accompagna.
Insomma, noi non abbiamo un problema con i fotomontaggi, che sono tecnicamente perfetti da almeno vent’anni, ma con i discorsi che li circondano. A scatenare le più furiose follie collettive, come il caso Pizzagate negli USA oppure l’omicidio del professore francese Samuel Paty, non sono servite elaborate falsificazioni grafiche: sono bastate delle testimonianze scritte o orali totalmente inventate, come sarebbe accaduto duemila anni fa. Il problema forse, per restare in latino, non è la falsitas ma il mendacium, la menzogna e l’inganno.
Bisogna tornare al nostro bisogno di mediazioni, a questa civiltà tecno-scientifica che conosce la verità soltanto attraverso uno specchio. Essendocene resi dipendenti, siamo anche più fragili. Perché tutto si riduce a una scelta: di chi vogliamo fidarci? Delle fonti autorevoli, legate a istituzioni consolidate che molti ritengono responsabili della crisi del nostro modello di sviluppo, oppure di outsider (o presunti tali) che sventolano davanti ai nostri occhi un’alternativa drastica?
Per secoli le civiltà si sono rette sui loro miti religiosi, ovvero delle finzioni che hanno permesso ai gruppi umani di aggregarsi, coordinarsi, motivarsi. Le società crollano, semmai, quando smettono di credere la stessa cosa. Nell’era digitale, le tecnologie di comunicazione e informazione hanno reso possibile la produzione e la diffusione di contenuti fittizi su una scala senza precedenti. La disinformazione, le fake news, le teorie del complotto e le narrazioni tossiche si diffondono a macchia d’olio sui social media, alimentando la polarizzazione, l’odio e la sfiducia. Le “camere dell’eco” online, in cui le persone sono esposte solo a opinioni che confermano le loro convinzioni preesistenti, amplificano ulteriormente questi fenomeni, creando tante realtà parallele, nelle quali è impossibile convivere assieme.
Di fronte a questa sfida epocale, dobbiamo agire con urgenza per sviluppare nuovi strumenti e nuove competenze. Si tratta di insegnare alle nuove generazioni a navigare in modo consapevole nel mondo digitale. Una sfida complessa e multiforme, ma non una battaglia persa.
*Articolo pubblicato su Changes Magazine 14