Educazione sessuale: perché in Italia non la facciamo?

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Educazione sessuale: perché in Italia non la facciamo?

In mancanza di un’adeguata istruzione affettiva, aumentano i giovani che vivono relazioni dominate da un senso del possesso che sfocia in violenze e sopraffazioni. Changes ne ha parlato con Mario Puiatti, presidente dell’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica.

L’Obiettivo 3 dell’Agenda delle Nazioni Unite per il 2030 chiede di «garantire l’accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, inclusa la pianificazione familiare, l’informazione, l’educazione e l’integrazione della salute riproduttiva nelle strategie e nei programmi nazionali». Eppure, spiega il presidente dell’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica (AIED), Mario Puiatti, tuttora l’Italia è una delle pochissime nazioni in Europa – insieme a Cipro, Bulgaria, Polonia, Romania e Lituania – dove una formazione minima di ordine affettivo e sessuale non solo non è obbligatoria, ma a volte neppure prevista. Mentre, giusto per fare un confronto, chiarisce l’esperto, «in Svezia questa formazione è stata introdotta nel 1955».

Proprio per rimediare all’inadempienza italiana, «che priva gli studenti di un vero e proprio diritto e che in fondo discrimina, consentendo alle singole scuole di decidere se istruire i ragazzi o no», di recente Aiedha voluto riportare il tema del diritto all’educazione all’affettività e alla sessualità all’attenzione pubblica, ricordando che «un piano per adeguare al nostro sistema scolastico le linee guide europee esiste già dal 2015. Da allora, però è stato chiuso in un cassetto e praticamente dimenticato». Il che, lamenta Puiatti, si traduce in problemi sotto gli occhi di tutti: «Secondo la polizia postale, il 30% degli 11-12enni vede pornografia online, che costituisce la forma ormai prevalente di educazione sessuale». Questo uso improprio della pornografia però trasmette una visione distorta del sesso e del rapporto tra generi, con immagini non equilibrate, irrealistiche e spesso degradanti. «Ecco perché – riassume Puiatti – è importante che le linee guida vengano presto attuate per decisione del Ministero dell’istruzione: in mancanza di un’adeguata istruzione affettiva, molti giovani vivono relazioni o dominate da un senso del possesso che sfocia in violenze e sopraffazioni o da esibizionismo e comportamenti sessuali sfrenati in cui manca la reale consapevolezza di ciò che si sta facendo».

Informare già dall’asilo

Per riequilibrare la situazione, secondo AIED, la prima cosa da fare è educare all’affettività e alla sessualità già dai primissimi anni. «Un’educazione adeguata all’età non solo ritarda l’età del primo rapporto sessuale, riduce i comportamenti sessuali a rischio ed è essenziale per prevenire la violenza di genere e la discriminazione, ma soprattutto pone le base per la formazione di una personalità solida» chiariscono gli esperti. Basti pensare che è a partire dai 3 anni che si impara ad amare (o no) il proprio corpo e le proprie emozioni, dai 4 che si inizia a rispettare il proprio genere, da 6 che si comprende che il sesso accettabile deve essere o paritario, consensuale e caratterizzato dal rispetto di sé.

Quanti genitori lo insegnano in famiglia? Quanti adulti, al contrario, non provano disagio quando vedono che ai figli (specialmente tra i sette e gli otto anni) piace mostrare i propri genitali ed anche guardare i genitali degli altri? «La sessualità infantile è molto più ampia di quella di un adulto medio e può essere considerata come un aspetto dello sviluppo della sensualità, che fa parte dello sviluppo psicologico, sociale e biologico» chiarisce un documento di Aied. Infatti, nelle scuole in cui l’associazione tiene corsi per i bambini l’incontro sul corpo è imperniato sui cinque sensi. Su una sagoma si provano a disegnare gli organi sessuali e un medico e uno psicologo rispondono alle domande dei piccoli, senza colpevolizzazioni e in modo chiaro. In parallelo, agli alunni dai 6 ai 10 anni viene insegnato a a distinguere tra amicizia, amore e attrazione sessuale e a comprendere la necessità di tutelare la propria fertilità. Come se la caverà nella vita un bambino o una bambina che non hanno chiari, e da subito, questi concetti?

Favorire un contesto positivo

Anche in seguito, però, la parte didattica va accompagnata dall’attenzione all’aspetto emotivo e da spiegazioni coerenti. Ma in questo compito gli insegnanti, che vanno appositamente formati, non devono essere soli. È compito dei genitori contribuire con i docenti e con la comunità al fine di costruire un ambiente circostante che non demonizzi o svilisca la sessualità e che sia di sostegno alla crescita del bambino.

Troppo spesso invece accade che, laddove l’educazione sessuale viene fornita, essa si concentri sui potenziali rischi della sessualità, come le gravidan­ze indesiderate e le infezioni sessualmente trasmesse, ovvero sugli aspetti negativi del sesso. E se invitare alla prudenza può forse avere senso per un adolescente con gli ormoni in subbuglio, spesso questa negatività finisce per suscitare paure nei bambini senza rispondere al loro bisogno di essere informati e di acquisire com­petenze.  

«La scuola deve quindi trovare un modo di educare senza reprimere perché il suo obiettivo è quello di consentire a tutti i bambini e ragazzi di acquisire competenze relazionali e insieme di maturare un proprio punto di vista nei confronti della sessualità» riassume Puiatti. Non esiste dunque un modello di insegnamento valido per tutti: al contrario, serve un approccio tarato in base a età, genere, ceto sociale, orientamento sessuale, stadio di sviluppo e capacità del singolo allievo. Il fine ultimo è quello di mettere in grado bambini e ragazzi di fare scelte informate e consapevoli, ma soprattutto autonome. Perché, lontano da reticenze e vergogne, alla fine questo tipo di educazione non riguarda il corpo, bensì la libertà di pensare con la propria testa.

Mantovana, giornalista da oltre 15 anni in Mondadori, collabora a numerose riviste nazionali su temi di attualità e stili di vita. Ha collaborato a una monografia sul cinema di Steven Spielberg e curato la traduzione dall’inglese di un saggio sul Welfare State. ​