Cosa mangiare lo dice la genetica

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Cosa mangiare lo dice la genetica

Le nostre preferenze alimentari sono influenzate dai geni che regolano la percezione di odori e sapori. Come i gusti a tavola impattano sulla nostra salute.

Dimmi che cibi ami e ti dirò come stai. La correlazione tra preferenze alimentari e stato di salute è uno dei temi di cui si sta occupando la ricerca genetica, con l’obiettivo di arrivare a consigliare alle persone ricette e menu utili a restare in salute il più a lungo possibile, perché personalizzati in base al proprio specifico Dna. «Le nostre preferenze alimentari sono influenzate da geni che regolano la percezione di odori e sapori» spiega Paolo Gasparini, ordinario di genetica medica all’università di Trieste e direttore del dipartimento di diagnostica medica dell’IRCCS Burlo Garofolo. Come funziona questo legame? Per quanto ancora molto sia da scoprire, alcune certezze sono emerse da uno studio condotto dall’equipe del professor Gasparini per circa una decina d’anni in Friuli Venezia Giulia (perché occorre studiare popolazioni “isolate”, in ambienti omogenei e un’alimentazione simile). 

Tra i risultati emersi dallo studio, per esempio, c’è il nesso che esiste tra il gene denominato OR51B5 e la capacità di percepire l’odore di cannella. Lo stesso gene sarebbe alla base anche della predilezione, da parte dei medesimi soggetti, per i vini rossi che «non di rado, per caratteristiche del vitigno e del terroir, oltre che per la lavorazione come la barricatura, ovvero l’invecchiamento in barrique, o botti di legno, hanno sentori di cannella» riassume Gasparini. A un altro gene, detto HLA-DOA si lega invece la preferenza per i bianchi da parte delle donne, mentre il corredo genetico maschile, che include il gene PLCL1, farebbe propendere più per i vini rossi.

I geni spiegano anche scelte che apparentemente sono culturali: come l’avversione al coriandolo, che fino a pochi anni fa era spiegata con l’estraneità di questa erba rispetto alla nostra cucina. Al contrario, a indurre alcuni a detestare questa piantina usata in Oriente o in America Latina, non è la mancanza di abitudine, bensì il gene OR6A2, che giudica fastidiosi all’olfatto gli aldeidi del fogliame: l’effetto sugli individui che possiedono tale gene perciò è che non solo l’ odore, ma anche il sapore del coriandolo, risultano in costoro simili a quelli del sapone. Non proprio un gusto da impazzire.

Supertasters non mangiano amaro lo dice la genetica

Il gene TAS2R38, che determina la percezione dell’amaro, è invece quello tipico dei cosiddetti Supertasters: le persone particolarmente sensibili a questo gusto (si stima che vi appartenga circa un decimo della popolazione italiana) pertanto evitano alimenti quali il pompelmo, il caffè, le birre luppolate, i cavoli o la cicoria. «La loro spiccata sensibilità all’amaro è frutto di un meccanismo evolutivo» spiega Gasparini. «Spesso in natura i cibi amari sono potenzialmente velenosi, e l’elevata percezione di questo gusto nel corso dei millenni è servita a evitare intossicazioni. Oggi, però, essa conduce a impoverire la dieta perché da essa vengono esclusi alimenti salubri come le crucifere, che proteggono da certi tipi di tumori». In compenso, i Supertasters consumano meno cibi grassi e meno alimenti, come i cavoletti di Bruxelles, che interferiscono con il metabolismo dello iodio, aumentando così il rischio di gozzo, una grave malattia tiroidea. Chi invece li ama, non percependo l’amaro, per converso tende ad abbondare in condimenti, aumentando il proprio rischio di sovrappeso e eccesso di colesterolo.

In attesa di un menu dettato dalla genetica, che identifichi esattamente quanto e cosa mangiare, cosa si può fare per prevenire le malattie derivanti da certe preferenze alimentari? «In primo luogo allenare i sensi», risponde il professore. «È dimostrato che annusare spesso aromi o provare sapori nuovi tiene allenati gusto e olfatto, le cui alterazioni sono spie di malattie degenerative. In più, da un lato questo allenamento sensoriale allarga la varietà di quello che consumiamo, dall’altro evita che il decadimento delle facoltà percettive, legato all’età, porti alla malnutrizione».

Occorre, in ogni caso, compensare le proprie inclinazioni alimentari con uno stile di vita attivo. Un altro trucco sta nel correggere le nostre preferenze mangiando cibi che di solito evitiamo ma “camuffandone” l’aroma. Se mangio poca frutta, posso metterla nello yoghurt, o condire con il succo di limone invece che con l’aceto.

Nel frattempo, l’industria alime​ntare, che conduce analoghe ricerche nel campo della genetica, potrebbe trovare il modo di rendere graditi i cibi sgraditi ad alcune categorie. Chissà, domani potremmo ave​re pompelmi non amari o ketchup senza zuccheri. E soprattutto, con l’avanzare del progresso scientifico, una volta mappate le nostre preferenze alimentari, il nostro medico potrebbe prevedere quali malattie rischiamo e aiutarci a prevenirle a tavola. Con una dieta personalizzata in base al nostro DNA e ai sapori che prediligiamo, forse per una volta non sarà faticoso attenersi alle regole.

Mantovana, giornalista da oltre 15 anni in Mondadori, collabora a numerose riviste nazionali su temi di attualità e stili di vita. Ha collaborato a una monografia sul cinema di Steven Spielberg e curato la traduzione dall’inglese di un saggio sul Welfare State. ​