Ammalarsi di aria

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Ammalarsi di aria

I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità confermano che la qualità dell'aria che respiriamo condiziona sempre di più la salute umana. Quali sono i rischi più comuni e come proteggersi.

inquinamento aria

I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità confermano che la qualità dell’aria che respiriamo condiziona sempre di più la salute umana. Quali sono i rischi più comuni e come proteggersi.

Una delle funzioni dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS), l’organismo di indirizzo e coordinamento in materia di salute all’interno del sistema delle Nazioni Unite. Tra le sue funzioni, fornisce una guida sulle questioni sanitarie globali, indirizza la ricerca sanitaria, monitora e valuta le tendenze in ambito sanitario, finanzia la ricerca medica e fornisce aiuti di emergenza in caso di calamità. Il nostro Paese vi fa parte dal 1947. Ebbene l’OMS, ha recentemente emesso dei dati da bollettino di guerra. Riguardano il numero dei decessi nei Paesi a basso e medio reddito causati da inquinanti emessi nelle attività quotidiane a causa dell’utilizzo di combustibili: sono 4,3 milioni all’anno, mentre i decessi attribuibili all’inquinamento da fonti esterne o outdoor, sarebbero 3,7 milioni. Per l’Agenzia Europea per l’Ambiente italiana, che eroga informazioni qualificate e indipendenti sullo stato dell’Ambiente, nel 2015 sono stati 60.200 le morti premature attribuibili all’esposizione a lungo termine alle polveri sottili classificabili come PM2,5. All’esposizione al biossido di azoto invece sarebbero 20.500. 

Tra i principali imputati di questi numeri c’è l’aria respiriamo e le cosiddette polveri sottili a cui siamo esposti. L’uomo ha sempre convissuto con le particelle aerodisperse perché la natura stessa ne produce. Pensiamo alle eruzioni vulcaniche, all’erosione delle rocce causata dal vento o dalle intemperie o dall’acqua. Anche quando brucia una foresta si formano polveri che vengono trasportate mentre tutti sappiamo che la sabbia delle nostre spiagge è un deposito di pulviscoli minerali. Le particelle aero-disperse hanno dimensioni variabili da pochi nanometri a decine di micrometri. Anche se non ci sono delle soglie precise, si considerano “grossolane” quelle con dimensioni superiori a 1 µm; “fini” quelle tra 0,1 e 1 µm e “ultrafini” quelle inferiori a 0,1 µm.
Le particelle che hanno origine da fenomeni di attrito come l’erosione delle rocce o di risollevamento – come le polveri sahariane trasportate fino alle nostre latitudini – sono prevalentemente “grossolane”. Le particelle “fini” e “ultrafini” invece sono prodotte principalmente da processi di combustione: più sono piccole e maggiore è la probabilità che penetrino a fondo nel sistema respiratorio umano e per questo sono dannose per l’uomo. L’inquinamento atmosferico riguarda la presenza nell’aria di una o più sostanze in concentrazione tale da poter produrre effetti dannosi per la nostra salute e varia notevolmente a tutte le scale spaziali, da quella globale a quella regionale o locale.

Nel mondo la produzione e l’uso di energia sono le più importanti fonti antropiche di emissioni di inquinanti atmosferici. A livello globale si prevede che il consumo di combustibili fossili aumenterà del 30% entro il 2040. Tenendo conto dei loro effetti e dell’entità delle loro emissioni, gli inquinanti ritenuti prioritari sono i gas inorganici (come il monossido di carbonio), i composti organici volatili (come il benzene) e materiale particolato aerodisperso o “aerosol” che è una sospensione di particelle solide o liquide disperse in aria, di diversa dimensione e composizione in funzione della loro origine. Dal punto di vista igienico-sanitario, una particolare rilevanza per i danni che inducono, la assumono alcuni composti come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) tra cui il benzo(a)pirene e diversi metalli e semimetalli come arsenico, nichel, cadmio e mercurio. Gli IPA sono una classe di composti organici presenti naturalmente nel carbone e nel petrolio. Qualsiasi combustione incompleta di materiale organico determina il rilascio di IPA prevalentemente contenuti nelle particelle fini e ultrafini.
Gli IPA sono rilasciati anche dalla combustione delle sigarette e nel fumo di queste o durante la cottura di cibi cotti alla griglia sul carbone rovente o ancora nei gas di scarico dei veicoli, in particolare quelli alimentati a gasolio. Essendo veicolati dalle particelle fini e ultrafini, superano facilmente il filtro nasale, arrivano fino ai polmoni, passano nel sangue ed entrano in circolo. Quando gli IPA vengono rilasciati, alcuni inquinanti hanno effetti che rimangono a lungo nell’ambiente una volta depositati al suolo e nelle acque, rappresentando quindi un rischio rilevante non solo quando vengono inalati subito ma anche a lungo termine. Ma è attraverso la catena alimentare che queste sostanze si accumulano negli esseri viventi.
La conoscenza della qualità dell’aria che respiriamo ogni giorno nelle nostre città ci può aiutare nel renderci almeno consapevoli di cosa respiriamo. L’edizione 2018 del Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano dell’Istituto Superiore ‘Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) fa riferimento a 120 città italiane, incluse le 14 Città metropolitane. Nel rapporto si evidenzia che nel 2017 il valore limite giornaliero del PM10 è stato superato in 35 aree urbane. A Torino la concentrazione media giornaliera è stata superiore a 50 µg/m³ per 118 volte (il valore limite prevede un massimo di 35 giorni di superamento).  Il valore limite annuale del PM2.5 è superato a Torino (33 µg/m³) nell’agglomerato di Milano (30 μg/m³) e a Venezia (29 μg/m³). Potrà sembrare un paradosso ma nella città più bella del mondo dove la viabilità non è quella tradizionale della terraferma senza autoveicoli, e per questo dovrebbe essere più salubre, la situazione è grave.

Negli ultimi anni Venezia, accecata dai soldi del turismo, oltre a vedere aumentato il numero di imbarcazioni da trasporto, ha triplicato i passaggi delle grandi navi che oltre a creare pericolo per la città, inquinano rilasciando in atmosfera (come da dati registrati e riferiti al 2017 dall’One Corporation to Pollute Them All ) una quantità di ossidi di zolfo 20 volte superiore a quella emessa dall’intero comparto automobilistico circolante lo stesso anno nell’Unione europea (circa 260 milioni di veicoli). Ci si chiederà come sia possibile. Studi affermano che una sola nave da crociera inquina come 14.000 auto. L’esempio di Venezia è un caso limite. Tutto va limitato. Molto dipende da noi. Partiamo da casa nostra allora. Cosa possiamo fare per ridurre emissioni? La principale fonte di emissione diretta di materiale particolato è il riscaldamento domestico a causa dell’incremento nell’uso di biomassa legnosa e un mancato adeguamento tecnologico verso apparecchiature più efficienti rispetto al caminetto tradizionale. Negli ultimi anni i consumi di legna per riscaldamento sono notevolmente aumentati anche in considerazione delle politiche di riduzione dei gas serra in quanto la combustione delle biomasse legnose non comporta emissioni aggiuntive di CO2 in atmosfera poiché la legna è un combustibile biogenico. «Ma la combustione di legna si è rivelata negli ultimi anni una delle fonti principali di materiale particolato e idrocarburi policiclici aromatici», ha spiegato a Changes Giorgio Cattani, responsabile della sezione monitoraggio della qualità dell’aria di ISPRA. «Per questo occorre pianificare azioni integrate e mettere a punto strategie di intervento in grado di portare vantaggi sia nell’ottica dei cambiamenti climatici che dell’inquinamento atmosferico». Una delle possibili soluzioni è favorire lo sviluppo tecnologico dei moderni sistemi di combustione – per esempio, le stufe automatiche a pellet che già adesso producono emissioni molto inferiori a quelle del camino aperto – sostituendo quelli obsoleti. Per Cattani è importante anche la diffusione di combustibili legnosi certificati e diffuse le buone pratiche di manutenzione e gestione delle apparecchiature.  Gli apparecchi di vecchia generazione, in particolare quelli a camera aperta, oltre a contribuire all’inquinamento atmosferico outdoor, producono inquinamento dell’aria anche nelle abitazioni degli utilizzatori stessi.

Quello dell’inquinamento indoor è un tema importante dato che buona parte della nostra giornata la trascorriamo in ambienti chiusi dove la qualità dell’aria dipende sia dalla qualità dell’aria esterna, che viene immessa all’interno dalle finestre o dagli impianti di ventilazione meccanica, sia dalla presenza di sorgenti interne di inquinamento. Gli impianti di condizionamento svolgono un ruolo importante proprio perché veicolano all’interno degli edifici l’aria esterna. In questo caso i rischi maggiori sono dovuti ad un uso improprio e ad una scarsa pulizia e manutenzione dei nostri apparecchi. Informazioni puntuali circa la corretta gestione dei condizionatori da parte della popolazione negli ambienti confinati non sono tuttavia facili da reperire. Tornando all’inquinamento esterno, non bisogna cadere nell’errore di considerare le emissioni dai trasporti di secondaria importanza. Oltre alla porzione di particelle emesse direttamente dai veicoli durante la combustione che è tutt’altro che trascurabile, i veicoli rilasciano particelle nell’ambiente per attrito delle gomme sull’asfalto e dai sistemi frenanti. Inoltre una parte rilevante delle particelle aerodisperse si forma in atmosfera a partire da altri inquinanti. Il biossido di azoto, la cui fonte principale sono proprio i trasporti, ha una rilevanza sanitaria propria distinta da quella del particolato. Si tratta di una sostanza inquinante che si forma in larga parte in atmosfera a partire dal monossido di azoto. Quest’ultimo è prodotto durante qualsiasi tipo di combustione di origine antropica (combustioni nel settore dei trasporti, della produzione industriale, della produzione di energia, del riscaldamento civile e dell’incenerimento dei rifiuti) e naturale (incendi, vulcani e fenomeni temporaleschi).

Gli effetti negativi sulla salute umana dell’NO2 vanno dall’irritazione oculare o la semplice tosse fino a danni agli organi respiratori e a un aumento delle malattie cardiocircolatorie. È una sostanza che contribuisce anche ai fenomeni di smog fotochimico durante i quali, in primavera e in estate, si verifica l’aumento della concentrazione dell’ozono nei bassi strati dell’atmosfera. Per il biossido di azoto, il D.Lgs. 155/2010 stabilisce per la protezione della salute umana un valore limite orario (200 µg/m³ di concentrazione media oraria da non superare più di 18 volte in un anno) e un valore limite annuale (40 µg/m³). Il limite orario è stato superato solo a Torino (25 superamenti), mentre il valore limite annuale è stato superato in 25 aree urbane tra le quali figura ancora Venezia.
I piani regionali integrati con i dati della qualità dell’aria, indirizzati a specifiche sorgenti – per esempio, industrie o aree portuali – e adeguatamente supportati da strumenti per la valutazione preventiva della loro efficacia, indirizzano gli interventi sulle priorità condotte da chi ci governa. Per questo è importante anche migliorare il nostro sapere. La conoscenza contribuisce a comprendere le strategie in atto e solo così possiamo pretendere che la nostra salute sia tutelata accelerandone i tempi.

Storica, saggista e specialista in comunicazione ambientale. Parte sempre dalla catalogazione di fonti autorevoli per ottenere dati e informazioni attuali che poi rielabora per offrire contenuti divulgativi a prevalente valenza sociale e ambientale. Catalogare e selezionare per lei sono la premessa essenziale per il riconoscimento di un valore che è il fondamento della conoscenza. Ha competenza più che trentennale nella ideazione di progetti formativi, divulgazione e disseminazione di progetti scientifici. Conta su un ampio raggio di relazioni maturate in ambito scientifico, tecnico e istituzionale che avallano i suoi contenuti e forniscono spunti per ulteriori approfondimenti. Crede nell'importanza della conoscenza e nella condivisione di esperienze e saperi. Ama la montagna e passeggiare nei boschi.