Si può parlare di rivoluzione YouTube?

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Si può parlare di rivoluzione YouTube?

A 20 anni dal lancio, la piattaforma gode ancora di ottima salute con numeri crescenti. Qual è stato il suo impatto sul panorama mediatico (e non solo) mondiale. Changes ne ha parlato con Enrico Menduni.

Uno degli zoo più famosi al mondo è quello di San Diego, in California. Vanta ben quattromila animali, ma la sua fama ha anche un’altra origine: tra i suoi spazi è stato infatti girato il primo video di YouTube nella storia. Si chiama “Me at the zoo”, dura 19 secondi ed è stato creato da Jawed Karim, uno dei co-fondatori della piattaforma, nata il 14 febbraio 2005 grazie all’idea di tre ex dipendenti di PayPal (Chad Hurley, Steve Chen e appunto Jawed Karim). A vent’anni dalla sua nascita, YouTube è ancora una delle piattaforme principali del web e rappresenta il servizio che più di tutti nella storia ha rivoluzionato il consumo mediatico digitale. «La sua forza è dipesa dal fatto di non essere stata sin dall’inizio una semplice library, una repository di video, ma una piattaforma che ha fondato sulle immagini in movimento tutti i suoi aspetti relazionali, andando ad influenzare nei fatti i successivi social network», evidenzia Enrico Menduni, sociologo dei media esperto di linguaggi multimediali. Rivoluzione, ma anche longevità, visto che nell’anno in cui Karim girò il suo video il web era popolato da social come MSN, My Space, Net Log, che oggi praticamente non esisto più. YouTube, invece, solo è ancora in auge, ma vanta numeri in costante crescita.

I numeri di YouTube oggi

Con oltre 2,5 miliardi di utenti nel 2024, solo Facebook presenta un numero di utenti mensili attivi più alto di YouTube, utilizzato anche come motore di ricerca (superato solo da Google) e come servizio di streaming, tanto che negli USA, secondo Nielsen, ha numeri persino superiori a Netflix.
Non solo, YouTube è oggi l’app assieme a TikTok dove gli utenti trascorrono più tempo ed è la piattaforma più vista in televisione, oltre che il servizio usato da più di due miliardi di persone per ascoltare musica e podcast, molto più dei 600 milioni di utenti di Spotify.
Aldilà dei freddi ma significativi numeri, è proprio la polivalenza a fare di YouTube il protagonista vincente dell’arena digitale. Social, motore di ricerca, piattaforma di streaming audiovideo, il servizio del gruppo Alphabet è sempre più una super app che può dire di aver vinto in ogni campo dove ha deciso di giocare.


Secondo Enrico Menduni, YouTube si colloca in un continuum nella storia dei media che ha visto dal secondo novecento l’audiovisivo vincere sulla parola scritta.  «L’ascesa di YouTube rappresenta un capitolo molto importante nella storia dei media», sottolinea Menduni. «La piattaforma ha infatti lanciato un proprio formato, con le sue regole a cui poi tutti gli altri attori si sono adeguati». Per questo YouTube non ha registrato quell’obsolescenza che hanno conosciuto gli altri social network come anche Facebook. «E questo si vede anche dall’età degli utenti, sempre più anziani quelli di Facebook e Instagram, sempre giovani quelli di Youtube». Inoltre, secondo il professore Menduni un altro tipico vantaggio dell’audiovisivo che YouTube ha saputo sfruttare è la sua caratteristica di «avere una circolazione planetaria. Le immagini non hanno bisogno di traduzione e la loro potenza abbatte confini e barriere culturali, sociali e quindi linguistiche». Con YouTube si è insomma accelerato il processo di globalizzazione dell’informazione e anche dell’intrattenimento.

Youtube, gli altri social e i mass media tradizionali

Il successo di una piattaforma basata sulle immagini ha presto convinto i diversi social network ad aprirsi ai video. Una scelta di grande fortuna che ha consentito a Facebook di uscire dalla sua fase d’esordio e diventare sempre più multimediale. La nascita dei reel di TikTok, presto adottati anche da Instagram, ha lanciato un formato audiovisivo alternativo a quello in voga su YouTube che negli ultimi anni ha risposto con il lancio dei cosiddetti “shorts”.

Secondo quanto emerso dall’ultimo YouTube News Summit a Parigi, come ha evidenziato sui suoi social il giornalista Francesco Oggiano, gli shorts di Youtube hanno raggiunto le 70mld views al giorno a livello mondiale e ogni mese vengono guardati da 2 mld di persone. Un formato che ha avuto un impatto deciso anche nel campo dell’informazione 2.0. Sempre secondo Enrico Menduni, a differenza del protagonista assoluto dello scenario mediatico novecentesco, ovvero la televisione, «la fruizione su Youtube è completamente diversa. Dallo zapping si è passato allo scrolling (caratteristica tipica anche degli altri social network), ma anche alla visione consecutiva e ininterrotta di video simili o di simile argomento». È questa la modalità di utilizzo dei contenuti alla base di quella che secondo molti rappresentano le cosiddette bolle cognitive, fenomeno tipico del mondo social, che imprigiona le persone in camere dell’eco di informazioni che rafforzano opinioni, credenze e quindi pregiudizi.

L’ibridazione tra fruizione e creazione e l’avvento dell’AI

Aldilà del discorso etico, sociologico e pedagogico, tuttavia, si deve a YouTube anche il lancio un ulteriore novità nel panorama digitale: quella di uno spettatore che diventa anche creatore di contenuti. In questo scenario si è registrata la rilevante avanzata della figura dei creator, nati proprio su YouTube. Nei primi anni di questa piatta


Come evidenzia Menduni, «nell’era dei mass media il ruolo dei creator era esercitato da professionisti, che lavoravano seguendo regole standardizzate in strutture formalizzate come le aziende editoriali. I creator digitali non hanno queste regole. La grande rivoluzione del web 2.0 è che chiunque diventa media e può assicurarsi una circolazione virale dei contenuti». Questa apparente democratizzazione però comporta anche dei rischi insiti nella “deresponsabilizzazione” di questi nuovi attori. Rischi che, come sottolinea Menduni, potrebbero crescere ulteriormente con «l’affermarsi dei modelli di Intelligenza artificiale generativa capaci di supportare i creator nella loro azione, ma anche creare contenuti fittizi e inquinanti. Nell’epoca della postverità questa è una prospettiva purtroppo realistica. Ecco perché il discorso deontologico non è più rinviabile».

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Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.