Mani o cervello? Il futuro del lavoro

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Mani o cervello? Il futuro del lavoro

Cosa potrebbe succedere se l’IA super-potente fosse in grado di realizzare robot super-umanoidi? Smetteremo di lavorare?

In “Wall-e”, un film di animazione uscito nel 2008, gli umani vivono in quella che potrebbe essere descritta come una “società collettivista di lusso” completamente automatizzata. Nel mondo descritto nel film, oltre agli umani ci sono dei robot guidati da cervelli artificialmente intelligenti che assumono forme gradevolmente diverse e che sono anche gli unici esseri a svolgere attività lavorative. Gli umani invece si nutrono abbondantemente, stanno seduti comodamente sulle loro poltrone e guardano la televisione. La serie fantascientifica “Culture” del romanziere scozzese Iain M. Banks – uscita negli anni dal 1987 al 2012 – si spinge oltre, descrivendo un mondo in cui l’intelligenza artificiale è diventata super-intelligenza, facendo cose oltre ogni previsione. Nel mondo pensato da Banks, la scarsità è diventata una cosa del passato e le “menti super-intelligenti“ dirigono la maggior parte della produzione. Gli esseri umani si dedicano all’arte, esplorano le culture dell’intero universo e si concedono piaceri profondamente edonistici.

Le storie descritte in “Wall-e” e “Culture” possono certamente apparire inverosimili. Tuttavia, i progressi avvenuti negli ultimi mesi nel campo dell’intelligenza artificiale generativa hanno sicuramente indotto molti a non considerarli più come semplice fantasia, bensì come esempi di ciò che potrebbe diventare il nostro mondo in un futuro non lontano. Anche gli stessi fondatori di OpenAI – la società che ha sviluppato ChatGPT – sembra che siano di questa idea, poiché lo scorso 22 maggio  hanno pubblicato un post sul loro blog in cui hanno affermato che «è concepibile che entro i prossimi dieci anni, i sistemi basati sull’intelligenza artificiale supereranno il livello di abilità degli esperti nella maggior parte dei settori e svolgeranno la stessa attività produttiva delle più grandi società oggi esistenti». Analogamente, Metaculus – la piattaforma online di previsione preferita da molti uomini della tecnologia – se fino alla scorsa estate prevedeva che avremmo dovuto attendere fino ai primi anni del decennio ’40 di questo secolo per realizzare un’intelligenza artificiale in grado di indurre gli umani a pensare che un loro interlocutore artificiale fosse umano dopo una chiacchierata di due ore e che avesse capacità robotiche adeguate per assemblare un’automobile intera, oggi prevede che questo potrà già accadere entro i primi anni del decennio ’30.

Inoltre, è opportuno evidenziare che i soldi per la ricerca sull’IA non mancano, anzi «piovono abbondanti». Dall’inizio dell’anno sono infatti già nati cinque nuovi unicorni attivi nell’IA Generativa, cioè startup che sulla base dei finanziamenti che hanno ricevuto hanno un valore pari o superiore al miliardo di dollari. Tutto questo solleva ovviamente la domanda di cosa rimarrà da fare agli esseri umani quando arriverà un’IA super-potente, quella che i tecnici chiamano Intelligenza Artificiale Generale.

Scenari futuri

Proviamo a pensare un po’ più in profondità per dare una risposta. Innanzitutto, è opportuno partire da alcune ipotesi. Possiamo pensare ad un primo scenario in cui l’IA sarà “buona”, controllabile e distinguibile dagli esseri umani. Supponiamo inoltre che la nostra cultura occidentale – ma si potrebbe pensare allo stesso modo per quella orientale – non sia stata nel frattempo modificata in maniera profonda dall’evoluzione tecnologica e che quindi le persone non hanno stabilito legami emozionalmente forti con esseri artificialmente intelligenti. In questo scenario l’IA è semplicemente uno strumento, un bot virtuale super-intelligente al nostro servizio.
Supponiamo poi che i vincoli all’uso diffuso dell’IA, come ad esempio i vincoli derivanti dal consumo energetico siano stati risolti. Ovviamente, niente di tutto questo è stato risolto, tuttavia l’esercizio previsionale che sto facendo aiuta a capire cosa potrà succedere. A questo scopo farò riferimento a dei modelli sviluppati da diversi economisti negli ultimi anni, che hanno cercato di quantificare l’impatto dell’IA sulla crescita dell’economia. Sostanzialmente tutti evidenziano che la crescita economica potrebbe essere esplosiva se l’IA potrà essere utilizzata in tutti i settori economici, compreso quello dell’IA stessa, garantendo cioè una sorta di auto-sviluppo.

Un numero quasi illimitato di intelligenze artificiali potrebbe lavorare assieme su un singolo problema, generando possibilità di miglioramento praticamente illimitate. Tuttavia, i modelli degli economisti hanno anche evidenziato un’altra cosa importante. Se l’IA fosse utilizzata in molti settori, ma non in tutti, allora la crescita economica non sarebbe più esplosiva, bensì limitata dalla crescita di quei settori in cui l’IA non sarebbe utilizzata.

È noto, infatti, che lo sviluppo della tecnologia ha favorito la crescita della produttività in alcuni settori, mentre in altri settori non ha avuto alcun effetto, come ad esempio nel settore artistico. Ci sono studi che evidenziano ad esempio che la produttività di un violinista è rimasta invariata, anche negli ultimi 3 secoli, nonostante l’evoluzione tecnologica che nel frattempo si è verificata. D’altra parte, a noi umani (non violinisti) negli ultimi 3 secoli è sempre piaciuto ascoltare un violinista che suona il suo strumento, e poiché il nostro reddito nel corso degli ultimi 3 secoli è aumentato, siamo stati anche disposti a pagare un prezzo crescente per ascoltare un violinista. Tutto questo ha determinato un aumento del prezzo relativo dell’arte, che ha così causato un aumento dell’incidenza dell’arte sul PIL, che a sua volta – essendo l’arte rimasta a bassi livelli di produttività – ne ha frenato la crescita.

Questo tipo di “crescita asincrona” si è verificata nel corso del ventesimo secolo in maniera estesa. La tecnologia ha automatizzato ampie fasce della produzione industriale e dell’agricoltura, determinando una riduzione dei prezzi dei beni prodotti in quei settori. Le persone hanno invece destinato una quota crescente del loro reddito in istruzione, assistenza sanitaria, ospitalità, ristorazione, giochi e attività sportive, settori questi ultimi che invece non hanno visto aumenti significativi della loro produttività.

Questo primo scenario è certamente da considerare se gli sviluppi delle tecnologie intelligenti non riusciranno a prendere il posto degli umani nelle attività lavorative di tipo più fisico. Pensate ai settori dell’edilizia, ma anche all’assistenza sanitaria, nei quali la presenza di un umano è necessaria, nel primo caso poiché l’automazione intelligente è tecnicamente molto difficile, mentre nel secondo caso, l’empatia di un’infermiera che assiste una persona ammalata, non è sostituibile con quella di un bot intelligente. E sono innumerevoli le forme di occupazione che richiedono una combinazione di mani e cervello. Questi mestieri aumenteranno certamente di importanza, anche se il lavoro a maggior contenuto cognitivo sarà svolto da intelligenze artificiali.

Ma cosa potrebbe succedere se l’IA super-potente fosse in grado di realizzare robot super-umanoidi? Smetteremo di lavorare? Dare una risposta a queste domande è quantomeno azzardato, tuttavia si possono fare alcune considerazioni e azzardare delle previsioni. Già John Maynard Keynes nel 1930 ipotizzò che 100 anni più avanti nel futuro le persone avrebbero lavorato meno di 15 ore alla settimana, consentendoci di rivolgere la nostra attenzione ad attività intrinsecamente piacevoli. Certo, la settimana lavorativa di 15 ore di Keynes non è arrivata, ma i livelli più alti di ricchezza hanno ridotto in maniera significativa le ore di lavoro. Il numero medio di ore lavorate a settimana nel “mondo ricco” è sceso infatti da circa 60 alla fine del ventesimo secolo a meno di 40 di oggi. Nonostante questa riduzione ci sono però alcuni desideri che caratterizzano profondamente la natura umana, e che solo gli esseri umani stessi possono soddisfare. E tra questi desideri potrebbe esserci pure il lavoro, un certo tipo di lavoro, che per certi versi assomiglia al gioco e che quindi rappresenta un’attività intrinsecamente piacevole. Si tratta di quei lavori svolti da una classe emergente di lavoratori, i cosiddetti creatori, sia digitali che ibridi, di cui già ho scritto su Changes nello scorso ottobre. In quel mio articolo avevo evidenziato che il numero di creatori digitali fosse stato stimato in 50 milioni a livello globale. Successivamente, alcune ricerche più recenti hanno rivisto al rialzo quel numero portandolo a oltre 300 milioni. Oggi posso senza alcun dubbio affermare che l’IA darà un ulteriore gigantesca spinta all’attività di creazione digitale, portando il numero di creatori digitali a valori decisamente più alti. La Rete è piena di esempi di persone che senza alcuna competenza informatica, in poche ore di “lavoro creativo”, hanno raccontato di avere sviluppato parti di mondi virtuali piuttosto che realizzato token fungibili e non fungibili.

È di pochi giorni fa la notizia di un papà canadese che insieme ai suoi due figli di 10 e 7 anni, ha trasformato un hobby di famiglia in una startup innovativa che ha sviluppato un nuovo gioco su Roblox utilizzando ChatGPT e Midjourney.

Un altro caso è quello dell’artista digital Rhett Dashwood – nome d’arte Mankind – che realizza opere d’arte digitale vendute anche da Sotheby’s. L’artista – che ha dichiarato di non avere alcuna competenza di programmazione informatica – lo scorso mese di aprile ha raccontato su Twitter come in soli 2 giorni sia riuscito a realizzare un token fungibile abbinato ad un meme partendo da una richiesta sottoposta a ChatGPT che suona più meno in questo modo: «Come posso realizzare il coin di un meme che abbia successo con un budget di 69 dollari?».

D’altra parte, in una mia recentissima ricerca svolta su un campione di creatori digitali, ho potuto misurare che quasi il 70% di loro già utilizza strumenti di IA generativa, e quasi il 90% di questi riporta pareri positivi in termini di crescita della propria “produttività creativa”, crescita che tocca tutte le fasi del processo di creazione, come pure le fasi successive di sviluppo di un’audience e di generazione di reddito. Alcuni hanno evidenziato valori di crescita superiori al 30% dopo poche settimane di utilizzo.

Spazio ai creatori ibridi

Se l’impatto per i creatori digitali è quindi estremamente positivo, si può affermare che altrettanto lo sarà per i creatori ibridi, cioè coloro che usano strumenti non digitali per creare prodotti o servizi di tipo fisico. Si tratta di una classe di creatori molto diffusa, in particolare in Italia, che comprende ovviamente gli artigiani, ma anche coloro che “inventano” gustosissime ricette, piuttosto che i decoratori di interni, i personal trainer, gli insegnanti di yoga o gli organizzatori di eventi. Solo per dare un’indicazione numerica, in Italia oltre 5 milioni di persone possono essere considerati creatori ibridi. E per spiegare come l’IA potrà aiutare i creatori ibridi, vorrei raccontare una storia, la storia di un creatore ibrido italiano, che per motivi di riservatezza chiamerò Franco. Franco è un uomo di circa 50 anni, titolare di un noto ristorante situato nel centro di una grande città italiana. Ho conosciuto Franco poco tempo fa, nell’ambito di un progetto che sto conducendo per un noto brand assieme al quale stiamo realizzando delle comunità di creatori sia digitali che ibridi.

Quando mi sono seduto assieme a Franco di fronte a ChatGpt per mostrargli qualche esempio su come lo strumento intelligente avrebbe potuto aiutarlo per “creare nuove esperienze” all’interno del suo ristorante, lui era piuttosto scettico. Diceva che «il computer non potrà mai capire come si fa il mio lavoro». Ho chiesto allora a Franco cosa gli sarebbe piaciuto fare di nuovo nel suo ristorante, per migliorare la sua offerta e alzare il punteggio medio su TripAdvisor. Lui mi ha risposto che avrebbe voluto creare nuove ricette per attirare i turisti americani, visto che «se ne prevedono molti durante il prossimo periodo estivo». Abbiamo così chiesto a ChatGpt di proporci una serie di menù alternativi che avrebbero potuto soddisfare il palato degli americani. Lo strumento intelligente ne ha proposti diversi, e la cosa ha iniziato ad incuriosire Franco.

Tra quelli proposti, Franco ne ha scelto uno a base di tapioca, per il quale lo strumento ci aveva proposto un menù che comprendeva una specie di lasagna come primo piatto, un’insalata a base di tapioca con gamberi e avocado, e per finire un dessert di tapioca al cocco. Abbiamo ovviamente chiesto anche quale genere di bevande poteva essere abbinato ai tre piatti, e qui la risposta di ChatGpt ha fatto allargare le pupille di Franco. Pensate che per il dessert la bevanda proposta è stata un tè freddo alla frutta, «fatto con frutta fresca e tè verde o nero, una bevanda leggera e rinfrescante che si abbina bene con il dolce cremoso del budino di tapioca al cocco».

A quel punto le pupille di Franco si sono dilatate a dismisura, ha deciso di prendere l’iniziativa e mi ha chiesto di “chiedere al computer” quali esperienze di tipo non culinario avrebbe potuto offrire nel suo locale. La risposta – che non rivelo, per stimolare la vostra curiosità – ha generato una tale sorpresa in Franco il quale è sobbalzato dalla sedia ed ha esclamato: «Questo coso è veramente bestiale, voglio proprio provare a fare quello che dice».

Dopo un mese, nel locale di Franco, i clienti che avevano scelto il menù a base di tapioca avevano espresso una valutazione media su TripAdvisor superiore di quasi un punto rispetto a quella degli altri clienti dello stesso periodo. Ciò che poi ha maggiormente sorpreso è che le recensioni a cinque stelle provenivano per circa la metà da americani, e per un’altra metà da italiani, evidentemente attratti dal menù, nonché dalle esperienze proposte nel locale le quali erano particolarmente “visibili e udibili” e che sono state ideate con l’aiuto dello strumento intelligente.

Qualche giorno fa Franco mi ha chiamato per chiedermi: «Senti Alessandro, questo coso mi ha fatto tornare giovane, pensi che potremmo farci aiutare da lui per progettare un ristorante completamente nuovo? Vorrei realizzare il ristorante più eccitante d’Italia».

Torniamo allora alle domande iniziali per rispondere dicendo che il lavoro nell’Economia del Futuro – quella che io chiamo Economia della Creazione – sarà formato per la grand parte da mestieri che combinano le nostre mani e il nostro cervello creativo. Grazie allo straordinario contributo dell’IA, l’economia potrà continuare a crescere e garantire standard di vita in aumento. D’altra parte, l’Economia della Creazione rappresenta molto di più di una nuova e importante fonte di crescita economica. Essa è anche una fonte di significato e di scopo per milioni di persone nonché una fonte di comunità in un mondo in cui sempre più persone stanno diventando pericolosamente isolate. Forse per la prima volta nella storia, l’ulteriore sviluppo della nostra economia e della nostra società si accende letteralmente grazie allo sviluppo della nostra innata e naturale creatività, favorita da una tecnologia che paradossalmente si chiama intelligenza artificiale.

Docente presso il POLIMI - la Graduate School of Management del Politecnico di Milano - con oltre 3 decenni di esperienza come advisor di brand globali. I suoi principali campi di attività sono la strategia di brand e il comportamento dei consumatori. Nella sua attività di consulenza ha aiutato brand iconici a posizionarsi nella mente dei consumatori e nei loro progetti di crescita, sia nei mercati fisici che metaversiani.