Perché non possiamo fare a meno di Taiwan
Una storiella americana – quasi una leggenda metropolitana perché di difficile attribuzione – racconta di una grande impresa manifatturiera, probabilmente una cartiera di Chic
Reale e virtuale stanno convergendo grazie alle tecnologie immersive. Dal mondo dei videogame avanza l’informatica spaziale e le sue tante applicazioni. Cos’è e come funziona.
Fateci caso: sin dalla nostra nascita siamo immersi in un mondo che vediamo, tocchiamo, esperiamo e persino ricordiamo in maniera tridimensionale. Eppure, tutt’oggi la maggior parte degli strumenti digitali che noi utilizziamo ha solo due dimensioni: larghezza e lunghezza. I vari dispositivi elettronici sono nostre estensioni, ma solo bidimensionali.
Il dualismo “reale contro digitale” continua, insomma, a giocarsi anche sul numero delle dimensioni. Eppure, il mercato è invaso da visori di realtà virtuale o aumentata sempre più raffinati (si pensi ai Vision Pro della Apple) e sempre più si parla di metaverso, di interazioni con avatar in uno spazio potenzialmente infinito e non coincidente con quello reale. Ecco perché in questo contesto si sta progressivamente imponendo lo Spatial Computing, ovvero quel campo dell’informatica basato sulla digitalizzazione di tutte le attività di computer, macchine, persone e oggetti che creano ambienti digitalmente interconnessi e la cui interazione è costante, nonché monitorabile e controllabile a distanza. Un classico esempio di questo nuovo scenario è quello di un operaio che dotato di dispositivi indossabili, visori e device per il movimento utilizza e interagisce con oggetti che sono gemelli digitali di quelli reali e che perciò possono essere utilizzati sfruttando tutte le loro proprietà, in uno spazio ricostruito e in uno schema interconnesso.
Fantascienza? Tutt’altro, infatti sulle tecnologie dello spatial computing molte aziende ci stanno concretamente puntando. Lo stanno facendo le big tech, da Meta (con il suo metaverso) ad Alphabet (ovvero Google), a Microsoft. Oltre a questi giganti, però, ad investire su queste tecnologie ci sono anche aziende meno note, che vogliono migliorare la propria logistica, oppure ottimizzare i propri sistemi di training nel campo della manutenzione industriale. A questo proposito, secondo uno studio della società di consulenza PwC, lo spatial computing sarà la prossima industria a superare presto il valore annuo di un triliardo di dollari, raggiungendo un triliardo e mezzo entro il 2030.
Per capire cosa sta succedendo lungo la strada che porta allo spatial computing, abbiamo raggiunto via Zoom in California Leandro Agrò, autore di diversi libri sul tema della digitalizzazione e noto esperto internazionale di design digitale. «Puoi immaginare un mondo in cui i computer e le nostre interfacce digitali continuino ad essere bidimensionali?», ci chiede immediatamente Agrò. «Certamente no – la sua risposta -. Viviamo in un mondo tridimensionale e continuando a interagire con strumenti 2D smettiamo di imparare, ecco perché indipendentemente dal settore industriale, tutti si stanno postando dal 2D al 3D. Prendiamo l’IPhone: oggi ha due fotocamere proprio per essere sempre più tridimensionale, le auto attraverso sensori raffinati riconoscono lo spazio e quindi le corsie delle strade, i robot attivi nel campo della logistica per muoversi da un punto A a un B utilizzano un orientamento spaziale. Tutto sta cercando di migrare verso un modo tridimensionale».
Alla base di tutto questo c’è una rapidissima evoluzione tecnologica digitale che riguarda, per esempio, lo sviluppo delle reti 5G, abilitatrici dell’internet of things e dell’interconnessione di oggetti, cose e macchine, con una sensoristica avanzata che capta e permette la gestione di una mole di dati enorme che diventano alimento basilare per il machine learning, alla base, a sua volta, dell’intelligenza artificiale che ha prodotto risultati sensazionali con l’AI generativa. Un mondo digitale concatenato e in fermento che tocca anche la fotonica e lo sviluppo di tecnologie di realtà immersiva che dal mondo del gaming sono arrivate nelle aziende, nelle università e nelle fabbriche.
«L’industria dei videogame è stata foriera di una serie di innovazioni che oggi si usano anche nell’industria o nel campo delle simulazioni – osserva Leandro Agrò -. Un caso esemplare che ci fa capire questo passaggio è quello di NVIDIA, che oggi è leader assoluto nel campo dei microprocessori e che è partita proprio costruendo e commercializzando processori grafici per PC e console di videogame». Il concetto di spatial computing, dunque, è figlio di quella ricostruzione della realtà che abbiamo visto crescere e svilupparsi sempre di più nei videogiochi, da quelli 2D basilari degli anni ’80 a quelli sorprendentemente realistici di questi ultimi anni.
Dal mondo dei videogame, questa computazione spaziale oggi viene utilizzata nel campo della navigazione e della geolocalizzazione, nel campo della cartografia e dei sistemi informativi geografici, nel settore della gestione delle risorse naturali e della geologia e anche in quello della pianificazione urbana. In sostanza, lo spatial computing opera una fusione e una convergenza tra mondo fisico e virtuale, che ne migliora la visualizzazione e l’interazione. Attenzione però, per Leandro Agrò il concetto di virtualità non è dicotomico rispetto a quello di realtà. Al massimo, ci dice Agrò, «la realtà virtuale è l’opposto della realtà fisica, non del mondo reale. Oggi assistiamo ad una dematerializzazione di tutta la tecnologia, ma questo non vuol dire che il virtuale sostituirà il fisico, tutt’altro. Le due dimensioni interagiranno e convergeranno».
Ma quanto siamo vicini a questo nuovo contesto di convergenza totale tra reale e virtuale? Quando saremo capaci massivamente di spostarci da un mondo all’altro a secondo dei bisogni e delle necessità che avremo? «Il futuro di tecnologie come lo spatial computing non è necessariamente quello di sostituirsi al mondo reale, giacché l’evoluzione della tecnologia segue logiche sono darwinistiche: sopravvivono le tecnologie più adottate – risponde Leandro Agrò – Sicuramente oggi la dematerializzazione dei luoghi fisici e la loro digitalizzazione è ancora ai primi vagiti e con lo spatial computing siamo solo all’inizio di un percorso in cui abbiamo già tutte le tecnologie a disposizione, ma l’era dello spatial computing vera e propria deve ancora iniziare». E come in ogni principio, avventurarsi in previsioni nette è piuttosto rischioso.