Accendiamo la luce sul futuro
La serie di fantascienza Star Trek è ambientata nell’anno 2264. Gli esseri umani viaggiano nella galassia insieme agli alieni, aiutati da computer, propulsione più veloce d
Carlo Ratti spiega a Changes come le nuove automobili abbiano il potere di ridefinire le aree urbane del ventunesimo secolo. Rimettendo al centro l’uomo e aprendo l'era della tecnologia calma.
Carlo Ratti spiega a Changes come le nuove automobili abbiano il potere di ridefinire le aree urbane del ventunesimo secolo. Rimettendo al centro l’uomo e aprendo l’era della tecnologia calma.
Oggi potremmo dire di essere agli esordi di una nuova rivoluzione: Internet sta entrando nello spazio fisico – lo spazio delle nostre città, in primo luogo – e si sta trasformando nel cosiddetto “Internet of Things”, l’Internet delle cose, portando con sé nuovi modi in cui interpretare, progettare e abitare l’ambiente urbano. Alcuni definiscono questo processo con il nome smart city, la città intelligente. Ma si tratta di mutazioni più profonde, quasi l’inizio di una nuova era: quell’era “della tecnologia calma” descritta dal grande informatico americano Mark Weiser. Un’era in cui la tecnologia è così radicata nello spazio che abitiamo da potere finalmente “recedere sullo sfondo delle nostre vite”, elemento onnipresente ma discreto.
Siamo sommersi, invasi, assediati dai dati, Big Data. Nel 2015 l’umanità ha prodotto più informazioni di quante ne fossero state generate in tutta la precedente storia della civiltà umana. Ogni volta che inviamo un messaggio, facciamo una telefonata, ordiniamo un libro su Amazon lasciamo tracce digitali. Ci stiamo avviando rapidamente verso quella che lo scrittore italiano Italo Calvino chiamò, con un’intuizione che precedeva i tempi, la «memoria del mondo»: una copia digitale completa del nostro universo fisico. Non dobbiamo però immaginare un futuro distopico, come quello descritto nel racconto. Possiamo sfruttare i Big Data a nostro favore. In primo luogo per comprendere al meglio l’ambiente urbano. In secondo luogo, per innescare azioni che coinvolgano i cittadini, dal basso, il vero motore di cambiamento nella città del presente e del futuro, per una città intelligente.
In questo contesto l’ambiente urbano, gli oggetti, diventano capaci di rispondere alle nostre esigenze, una città intelligente. Ci piace allora l’idea di una città sensibile, e “capace di sentire”. La chiamiamo Senseable City, perché pensiamo che sia un nome capace di mettere al centro del discorso l’uomo, prima della tecnologia. Come sarà la mobilità nella città del futuro? Credo si tratti di un elemento fondamentale: così come l’automobile ha dato forma alla città del ventesimo secolo, i nuovi modelli di mobilità definiranno la città del ventunesimo secolo. I cambiamenti in corso sono molto interessanti. Già oggi stiamo già vivendo la trasformazione del car sharing. In un futuro non molto prossimo, le auto che si guidano da sole – nuovi mezzi figli dell’Internet della Cose – avranno un impatto straordinario sulle nostre vite. La nostra auto, dopo averci portato al lavoro la mattina, invece di restare parcheggiata potrebbe rimettersi di nuovo sulla strada, per dare un passaggio a scuola a nostro figlio o al figlio del vicino, o a chiunque altro nel quartiere. In altri termini, si tratterebbe di un sistema misto tra trasporto pubblico e trasporto privato.
Quali sono le conseguenze di tutto questo? Alcune nostre ricerche al MIT mostrano come con un sistema di questo genere basterebbe il 30% dei veicoli oggi in circolazione per coprire le esigenze di mobilità dei cittadini di una metropoli – e questo numero si potrebbe ridurre di un ulteriore 40% nel momento in cui le persone fossero pronte a condividere i loro spostamenti. La somma di questi due effetti potrebbe – in linea puramente teorica – portare a città in cui la mobilità dei cittadini è soddisfatta con soltanto il 20% delle autovetture oggi in circolazione. Tutto dipenderà da come useremo le nuove tecnologie, dato che potrebbe verificarsi anche uno scenario alternativo, in cui le persone smettono di usare i mezzi pubblici di massa (metro e così via) e gli ingorghi sulle strade aumentano. Ma in ogni caso si tratta di cambiamenti potenzialmente interessanti – da seguire e gestire, per far divenire la città intelligente.
Sappiamo che lo sprawl e gli infiniti sobborghi americani, cresciuti a dismisura nella seconda metà del Novecento, sono stati prodotti dall’automobile. Questo trend continuerà con le auto che si guidano da sole o no? Ci sono due teorie contrastanti: la prima è che i meccanismi di condivisione – che sono alla base dell’incipiente rivoluzione nei trasporti, come dicevamo prima, hanno bisogno di densità e quindi dovrebbero contrastare i trend urbani espansivi. D’altro canto, tuttavia, le auto che si guidano da sole ci permettono un pendolarismo di più lunga distanza, usando magari il tempo trascorso nel veicolo per lavorare, dormire, fare all’amore. Lo scopriremo nei prossimi anni, anche in funzione di diverse scelte sociali e politiche.
L’evoluzione delle aree urbane in smart city ha fatto emergere due diverse tendenze: coprogettazione e multidisciplinarietà. L’architettura si sta trasformando in una disciplina ibrida, che riguarda non solamente lo spazio costruito, ma, in modo più generale, l’esperienza dell’ambiente urbano. Servono allora competenze ed esperienze diverse per progettare in modo coerente ed efficiente. Per gran parte del Ventesimo secolo ha dominato il paradigma dell’architetto-eroe, che lottava per imporre al mondo la sua verità – con risultati spesso opinabili per la vita dei cittadini. Oggi sta emergendo un paradigma nuovo, quello dell’Open Source (dal libro Architettura Open Source, Einaudi 2014). Ci piace allora pensare a progetti in codice aperto, da portare avanti con il contributo attivo di un team multidisciplinare e degli utenti finali, magari abbandonando l’idea dell’archistar e aprendo invece la porta a un architetto corale, capace di armonizzare le diverse voci in un accordo consonante.
Le soluzioni della nuova urbanistica sono temporanee se guardiamo alla dimensione digitale: le nuove tecnologie non necessitano di grandi e ingombranti infrastrutture; sono leggere e invisibili, pronte a rinnovarsi e ad aggiornarsi in modo veloce. Non dobbiamo però dimenticare la dimensione permanente della città – quasi un antidoto alla vita che scorre. Le pietre dei nostri centri storici, che c’erano già quando siamo nati e ci saranno ancora quando non ci saremo più. Vengono in mente Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. I passaggi sulle città sono memorabili – soprattutto quelli legati a Antinopoli, città che l’imperatore, ormai avanti negli anni, dedica al suo giovane amore scomparso, proprio per perpetuarne il ricordo nel tempo. Marguerite Yourcenar gli fa pronunciare queste parole: «Construire, c’est collaborer avec la terre: c’est mettre une marque humaine sur un paysage qui en sera modifié à jamais; c’est contribuer aussi à ce lent changement qui est la vie des villes». Per poi finire con: «Fonder des bibliothèques, c’était encore construire des greniers publics, amasser des réserves contre un hiver de l’esprit qu’à certains signes, malgré moi, je vois venir».
Quando si pensa alla città del futuro, si parla di miglioramento della qualità della vita e della produttività. Oggi si parla molto sia di Industria 3.0 sia di Industria 4.0, un’industria, quest’ultima, interconnessa e automatizzata, basata sull’Internet of Things e sui dati. Ci piace immaginare questa condizione come uno sviluppo di quanto immaginato dai Situazionisti negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso – tra cui l’artista olandese Constant. In questa concezione la tecnologia, operando in qualche modo al nostro posto, permette a tutti di applicare la creatività a ogni momento della vita quotidiana e di utilizzare il mondo come un grande playground – un tappeto da gioco. L’uomo viene descritto come Homo Ludens. Per l’Italia – seconda nazione manifatturiera in Europa – queste trasformazioni nel mondo della produzione potrebbero essere una grande opportunità. Le nostre città storiche non sono mai riuscite ad adattarsi veramente alle tecnologie del secolo scorso, che erano tecnologie pesanti, invasive, incompatibili con il patrimonio culturale e la conformazione urbana del nostro Paese. Le nuove tecnologie sono invece invisibili e leggere e possono trasformare i luoghi, l’organizzazione del lavoro e i processi produttivi. Credo dovremmo iniziare a pensare alla tecnologia come a un possibile fattore di rilancio, anche di fronte ai molti disastri naturali che hanno colpito le zone dell’Italia centrale, da Amatrice a Norcia, negli ultimi mesi. Il tema dell’energia e della lotta ai cambiamenti climatici è centrale nella progettazione delle aree urbane. Seguo costantemente la discesa del costo di produzione dell’energia solare – oggi in alcune parti del mondo arrivata sotto la soglia dei 40 dollari per MWh. A questi prezzi diventa più competitiva di tutte le altre forme di energia. D’altronde è proprio l’energia del sole che sta dietro alla maggior parte delle fonti che abbiamo usato finora: petrolio (potremmo dire “sole fossile”), idroelettrico, eolico, eccetera. Ora dobbiamo solo imparare a usarlo direttamente.
Per rendere una città davvero intelligente sono poche le linee guida: la progettazione aperta; il coinvolgimento dei cittadini nella gestione dello spazio urbano e tutti gli strumenti che lo rendono possibile; le dinamiche di condivisione, e l’applicazione di regolamentazioni flessibili; l’informazione e la condivisione dei dati, che possono generare molti cambiamenti sia dal punto di vista dell’ottimizzazione dei processi, sia dal basso mediante la partecipazione dei cittadini.