Crash test: perché sono importanti

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Crash test: perché sono importanti

Questi test vengono eseguiti su tutti i modelli di vettura, anche quelli di lusso. La domanda è quindi immediata: perché si fanno? La risposta è nella sicurezza passiva dei veicoli.

Sarà certamente capitato di vedere in un video il crash test di una vettura: un veicolo, nuovo, viene lanciato contro un muro o uno ostacolo fisso, con a bordo dei manichini che simulano il guidatore e i passeggeri. Sembra certamente un vero peccato sfasciare volontariamente un veicolo nuovo, completo e perfettamente funzionante. Questi test vengono eseguiti su tutti i modelli di vettura, anche quelli di lusso. La domanda è quindi immediata: perché si fanno? Sono veramente indispensabili?

Quali sono le tipologie di sicurezza stradale

La mobilità su strada ha, fin dai primordi, comportato un costo in termini di vite umane, feriti e danni economici dovuti agli incidenti. Quando la mobilità individuale è diventata alla portata di tutti, negli anni Sessanta dello scorso secolo, questo costo è diventato enorme: nel decennio degli anni Sessanta sono morte, solo in Italia, 56.335 persone. L’anno peggiore è stato però il 1972, con 11.078 decessi. E il numero di veicoli era decisamente inferiore a quello di oggi. Nel 2022 i morti per incidenti stradali in Italia sono stati 3159 (fonte ISTAT). Quasi un quarto rispetto al 1972, con un traffico enormemente maggiore.

Questo risultato è stato possibile perché dagli anni Settanta in poi si è lavorato per migliorare la sicurezza stradale, in tutti i suoi aspetti:

  • miglioramento della sicurezza delle strade, migliore segnaletica, limiti di velocità;
  • miglioramento dei veicoli, maggiore affidabilità soprattutto dei dispositivi di sicurezza (freni);
  • migliore sicurezza passiva dei veicoli, riducendo le conseguenze degli incidenti;
  • migliore sicurezza attiva con sistemi (ABS, ESC) che permettono un migliore controllo del veicolo in condizioni di emergenza;
  • migliore sicurezza preventiva, con sistemi che aiutano il guidatore a evitare l’incidente o a mitigarne le conseguenze, ad esempio radar anticollisione;
  • migliore sicurezza “dopo l’incidente”, con sistemi automatici di chiamata di emergenza e istruzioni chiare per chi interviene sull’incidente, per estricare gli occupanti dall’auto;
  • migliore educazione stradale, attraverso campagne e controlli.

La Commissione europea ha, fin dall’anno 2000, promosso una riduzione degli incidenti del 50% ogni decennio, con l’obiettivo, al 2050, di azzerare completamente questo triste bilancio di vite umane perse o gravemente colpite. Soffermiamoci sul terzo punto, la sicurezza passiva dei veicoli, che ha contribuito in modo molto significativo a conseguire i risultati ottenuti fino ad oggi.

Cos’è la sicurezza passiva in auto

La sicurezza passiva ha come obbiettivo quello di ridurre le conseguenze di un incidente. Non evita quindi il verificarsi dell’incidente stesso, ma che questo comporti conseguenze gravi agli occupanti del veicolo stesso. Quando una vettura ha un incidente ci sono due fattori che portano a conseguenze per gli occupanti del veicolo:

  • il veicolo di deforma in conseguenza dell’urto;
  • il veicolo rallenta bruscamente per effetto dell’urto.

Anche se sembra naturale pensare che il primo fattore sia il più importante, è invece il secondo quello a cui occorre prestare molta attenzione, e soprattutto è il più difficile da controllare. Per evitare che la deformazione del veicolo in seguito ad un urto porti a “schiacciare” gli occupanti è sufficiente creare una “gabbia di sicurezza” intorno agli occupanti stessi, in grado di resistere agli incidenti, almeno fino ad una certa gravità. Occorre subito dire che le misure che vengono adottate sono tarate sulle velocità previste nei test stessi. Nel test omologativo il veicolo viene lanciato a 56 Kmh sulla barriera fissa. La “gabbia di sicurezza” viene quindi progettata per questa velocità.

Questa velocità potrebbe sembrare bassa ma occorre considerare che:

  • se anche si viaggiava ad una velocità superiore, il guidatore, prima dell’urto, dovrebbe avere avuto tempo per ridurre la velocità frenando;
  • considerare velocità superiori, visto che l’energia cinetica che deve essere dissipata nell’urto è proporzionale a quadrato della velocita, diventa rapidamente impossibile.

Esistono, e si trovano sul web, dei test di vetture lanciate a 130 Kmh contro un muro. Il risultato rende evidente come sia impossibile proteggere gli occupanti da incidenti a queste velocità.
L’eccessiva velocità non è sempre “la causa” dell’incidente, anche se è quasi sempre una concausa. Ma è sempre causa delle gravi conseguenze dell’incidente stesso. Finire a 56 Kmh contro un muro in un veicolo di nuova produzione significa sicuramente dover buttare via il veicolo, ma se ne esce illesi o con poche contusioni, se si indossavano correttamente le cinture di sicurezza. La “gabbia di sicurezza” ci protegge, quindi, dai danni dovuti alla deformazione del veicolo e delle sue parti durante un incidente, ma esiste il secondo fattore, molto più importante: la decelerazione.

Cos’è il fattore decelerazione

Il veicolo in movimento possiede una energia “cinetica”, proporzionale (ahimè al quadrato) alla velocità. Per fermarsi questa energia deve essere in qualche modo consumata. Sappiamo, dalla fisica, che l’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma. Quando freniamo l’energia cinetica del veicolo viene trasformata in energia termica dai freni (nelle vetture elettriche viene anche recuperata, per ricaricare le batterie). Nell’urto l’energia del veicolo viene dissipata nella deformazione del veicolo stesso e delle sue parti e componenti.
Ma anche gli occupanti hanno una energia cinetica accumulata, anche questa deve essere in qualche modo “trasformata”. Durante una frenata brusca, gli occupanti trasferiscono questa energia “spingendo” il veicolo, tramite le cinture di sicurezza, il volante o le maniglie. Il veicolo riceve questa energia “supplementare” e la dissipa con i freni (o la recupera per caricare le batterie).
Una frenata dura molti metri: ad esempio per fermarsi, una vettura lanciata a 100 Kmh, ha bisogno di almeno trenta metri. In un urto invece il veicolo si ferma in uno spazio molto minore, dell’ordine del metro. Le decelerazioni sono quindi molto più elevate, considerando l’esempio del veicolo che viaggia a 56 Kmh e si ferma in un metro (la lunghezza del cofano, se fosse maggiore ci sarebbe uno schiacciamento del guidatore), questa è mediamente pari a 13g. Una persona che pesa 70 Kg spingerà sulle cinture di sicurezza con una forza pari a 910 Kg, quasi una tonnellata, per poco più di un decimo di secondo. Questa decelerazione può provocare danni, ad esempio alle costole, ma non è ancora il problema più grave. Gli organi interni del corpo umano devono anch’essi “fermarsi”, dissipando la loro energia cinetica “spingendo” ciò che li circonda: il cervello spinge verso il cranio, il cuore verso la gabbia toracica e così via.

Decelerazioni eccessive e per tempi troppo elevati possono portare a danni gravi agli organi interni. Nel test omologativo si richiede, ad esempio, di non superare una decelerazione superiore a 80g per più di 3 millisecondi, all’interno della testa. Per evitare queste eccessive decelerazioni l’utilizzo di airbag è la soluzione più semplice e diffusa.

Perché vengono eseguiti i crash test?

Affinché i costruttori di veicoli applicassero misure minime per proteggere gli occupanti del veicolo durante un urto, i vari governi nazionali hanno adottato dei regolamenti che prevedono dei requisiti minimi che i veicoli devono avere per poter essere immessi sul mercato. L’Italia, come tutta l’Europa e molti paesi extraeuropei (Giappone e Corea del Sud ad esempio) adotta i regolamenti definiti dall’organizzazione UNECE (Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite). Questi requisiti sono espressi i termini di sollecitazioni fisiche (compressioni e decelerazioni) massime misurate dai manichini durante le prove. Ecco le due tipologie di test.

  • Crash test omologativi

Il regolamento UNECE numero 94 definisce il test per l’urto frontale. Il veicolo viene lanciato a 56 kmh, contro una barriera deformabile. Solo il 40% della parte frontale del veicolo è interessata dall’urto, lato guidatore. Il manichino è sistemato nel posto guida.

Il regolamento UNECE numero 95 definisce invece il test per l’urto laterale. Il veicolo è fermo e viene colpito lateralmente, lato guida, da una barriera deformabile lanciata a 50 kmh. Il manichino è sistemato nel posto guida.

  • Crash test EuroNCAP

EuroNCAP ha l’obiettivo di misurare oggettivamente la sicurezza dei veicoli, per poter fornire una corretta informazione ai potenziali clienti di nuovi veicoli. La sicurezza passiva è un parametro oggettivamente difficile da misurare, ma di importanza notevole, e quindi EuroNCAP è particolarmente attenta a questi aspetti.

I test previsti da EuroNCAP sono i seguenti

  • Urto frontale con barriera mobile deformabile. L’auto viene lanciata a 50 Km/h verso un trolley che trasporta una barriera deformabile, che viaggia anche lui a 50 km/h in direzione opposta. La sovrapposizione è al 50%, cioè solamente metà del veicolo, quella del guidatore, urta contro la barriera del trolley. Questo test simula un tipico urto frontale. La barriera deformabile è progettata per simulare un veicolo nella sua deformazione in seguito all’urto. Nel veicolo sono posti quattro manichini, due nei posti anteriori simulano un uomo medio, due nei posti posteriori che simulano bambini nei loro relativi seggiolini.
  • Urto frontale con barriera non deformabile. La vettura viene lanciata a 50 km/h contro la barriera fissa. A bordo sono disposti due manichini che simulano una donna piccola, uno al posto guida e uno nel posto posteriore lato passeggero.
  • Urto laterale con barriera deformabile. Il trolley con la barriera deformabile viene lanciato a 60 km/h lateralmente contro il veicolo fermo, sul lato guidatore. Due manichini sono posti sul lato guidatore, uomo medio nel posto guida e bambino sul sedile posteriore.
  • Urto laterale con palo. L’auto viene lanciata lateralmente a 32 km/h contro un palo fisso. Un manichino (uomo medio) viene sistemato nel posto guida.

Crash test: le tipologie d manichini

I manichini (dummy) sono strumentazioni molto sofisticate che simulano una persona, e le sue parti, nelle caratteristiche fisiche: peso, dimensioni, struttura e possibilità di movimento. Ogni parte è strumentata con sensori che misurano le decelerazioni, le compressioni e il movimento. I manichini sono i componenti più costosi che vengono impiegati in un crash test. Ad esempio, il manichino più recente e sofisticato (THOR 50M) utilizzato nei test di crash frontale EuroNCAP costa circa 650.000 euro. Esistono diversi manichini per simulare persone fisicamente diverse. Tipicamente si utilizza l’uomo “medio” (76,6 kg), ma si utilizza anche la donna “piccola” (47,3 Kg), l’uomo “grande” (101,2 Kg) e manichini che simulano bambini di diverse età. I manichini sono diversi secondo il tipo di urto, frontale o laterale, per la diversa direzione da dove arrivano le sollecitazioni e quindi la necessaria disposizione dei sensori. I manichini possono ovviamente danneggiarsi durante le prove di crash. Sono progettati in modo da permettere una facile sostituzione delle parti danneggiate.

Come viene eseguito un crash test

L’esecuzione di un crash test è un processo piuttosto complesso. Il veicolo deve essere “preparato” opportunamente:

  • liquidi infiammabili devono essere rimossi e sostituiti da sostanze inerti, ma che permettono di tracciare eventuali perdite a seguito dell’urto;
  • la strumentazione per registrare i dati dei manichini deve essere fissata sul veicolo in un punto non interessato dall’urto, tipicamente il baule posteriore;
  • i manichini devono essere correttamente posizionati sul veicolo, eventualmente con ulteriori sensori, ad esempio telecamere fissate a bordo per osservare i movimenti;
  • il veicolo deve essere fissato correttamente alla piattaforma di lancio;
  • i sistemi bordo devono essere accesi, per poter attivare correttamente i vari dispositivi di sicurezza, airbag e pretensionatori;
  • sui manichini si dispone del grasso colorato nelle parti più esposte ad urti, per poter rilevare tali urti, se accadessero.

Nei veicoli che hanno una alimentazione in tutto o in parte di tipo elettrico, occorre poi fare attenzione, dopo l’urto, che non ci siano parti esposte sotto tensione e non ci siano perdite di elettrolita.

C’è una sicurezza passiva per i pedoni

Anche per l’urto con pedoni esistono norme per ridurre le conseguenze dell’incidente. I test consistono nel lancio contro il veicolo di “dummy” sensorizzati che simulano le gambe e la testa di un pedone e di misurare le decelerazioni e compressioni durante l’urto. Per superare questi test i veicoli devono essere progettati con le parti frontali e il cofano privi di spigoli e con una certa cedevolezza, per ridurre i valori massimi di decelerazione e compressione.

I veicoli moderni sono molto sicuri

Cinquanta chilometri all’ora è la velocità che raggiunge a terra un oggetto lasciato cadere dal quarto piano di un palazzo. È difficile che una persona possa sopravvivere in una caduta simile, se cade sul marciapiede. Invece in un veicolo moderno, che si schianta a 50 km/h contro un muro, ci sono buone probabilità di uscirne illesi, se si era correttamente posizionati sul sedile e con le cinture indossate. Indossare le cinture, anche nei sedili posteriori, e moderare la velocità sono quindi le condizioni per poter uscire da un incidente con conseguenze modeste, grazie alle misure di sicurezza passiva di cui è dotato il nostro veicolo. Ma la soluzione ideale è ovviamente evitare l’incidente e quindi, come se ne è parlato negli articoli precedenti di Changes, niente distrazioni e guidare sempre in condizioni fisiche buone, riposati e senza sostanze nel sangue.

Nato a Carmagnola il 14 Settembre 1956. Si laurea nel 1980 in Ingegneria Elettrica, con la votazione finale di 110/110 e lode. Specializzazione in Automazione Industriale. Dopo un paio di anni di esperienza come sistemista software entra nel 1982 al Centro Ricerche FIAT. Fino al 1990 si occupa di automazione industriale e robotica, realizzando sistemi innovativi per il montaggio e l’ispezione, utilizzando sistemi di visione artificiale. Nel 1990 la tecnologia della visione artificiale diventa matura per essere utilizzata anche sul prodotto, veicolo, e quindi inizia a sviluppare sistemi di ausilio alla guida (radar anticollisione, mantenimento corsia, sensore angolo cieco). Diventa dirigente nel 1995, e gestisce i team di sviluppo di sistemi di informativa di bordo, assistenza alla guida, telematica e interfaccia con il guidatore. Coordinatore di numerosi progetti a finanziamento Europeo. Nel 2003 coordina per Fiat il progetto regionale Torino Wireless. Nel 2012 assume l’incarico di direttore della sicurezza presso l’ACEA, l’associazione Europea dei costruttori di veicoli, a Bruxelles. Rientrato in Fiat Chrysler Automotive nel 2017, lascia l’azienda nel novembre del 2017, per avviare una attività in proprio di consulenza industriale.