Addio alle armi contro le fake news?
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Quali sono gli impatti degli strumenti digitali nella didattica? Nella Giornata Mondiale dell’Educazione Changes ne ha parlato con Lorenzo Redaelli.
Delle tante classifiche che vedono il nostro Paese arrancare, una delle più preoccupanti è sicuramente quella che periodicamente fotografa le scarse competenze intellettuali di base dei nostri studenti. Comprendere un testo, eseguire elementari operazioni matematiche, risolvere basilari test logici diventano compiti molto problematici per gli italiani, almeno a leggere i risultati dei vari test Invalsi o dei report dell’OCSE.
Una delle ultime indagini è quella dell’Ocse-PIAAC (Programme for the International Assesment of Adult Competencies), secondo cui ben un adulto su tre in Italia dispone di capacità linguistiche o matematiche scarse o molto scarse e riesce a comprendere al massimo testi brevi. Nei test a campione somministrati dalla rilevazione, inoltre, i laureati italiani hanno ottenuto punteggi medi addirittura inferiori rispetto IA diplomati finlandesi. Come dire: in Italia abbiamo pochi laureati e quei pochi che ci sono evidenziano anche importanti lacune.
L’effetto di queste classifiche sull’opinione pubblica nazionale, tuttavia, non dura mai più di qualche giorno. Si strillano titoli, si scrivono editoriali, ma tutto si ferma a discussioni di nicchia sul nostro sistema scolastico, sulle sue inefficienze e sulla necessità di una sua riforma. Tornare a citare questi magri risultati italiani nella Giornata dell’Educazione proclamata dall’ONU, quindi, serve perlomeno a rilanciare la discussione, anche perché potrebbe esserci all’orizzonte una luce inaspettata in fondo al tunnel: quella che riguarda le competenze digitali dei nostri giovani studenti. Nei mesi scorsi, infatti, l’indagine ICILS (International Computer and Information Literacy Study) ha posizionato gli studenti italiani al centro della classifica europea per capacità digitali e computazionali, con punteggi molto simili a quelli dei ragazzi francesi e spagnoli. Gli studenti italiani sono quindi pronti a cogliere le sfide future in materia di istruzione e apprendimento?
Smorza gli entusiasmi Lorenzo Redaelli, docente e formatore sui temi del digitale, nonché socio fondatore e presidente dell’Associazione Culturale Non Profit Didattica Innovativa. «Il fatto che i giovani studenti italiani usano bene gli strumenti non vuol dire che siano competenti e che si muovano con consapevolezza nell’ecosistema digitale, dove troppo spesso si espongono ai pericoli, dal cybercrimine al cyberbullismo», obietta.
Il digitale rappresenta una sfida enorme per l’istituzione scolastica italiana. Uno scenario, però, molto complesso, che vede la nostra scuola ancora molto indietro. «C’è tanto da lavorare, ma una prima riforma a costo zero potrebbe essere quella di includere le competenze digitali nei programmi scolastici. Non possiamo lasciare che i nostri giovani imparino ad usare gli strumenti fuori dal mondo scolastico, perché necessitano di essere guidati e indirizzati», sottolinea Redaelli. Per questo è importante anche l’aspetto della formazione dei docenti. «Molti professori non sono preparati, è vero. Ma in loro c’è un a grande voglia di formazione e aggiornamento», aggiunge Redaelli. A tal proposito la ricerca dell’Osservatorio EdTech del Politecnico di Milano sottolinea come uno degli ostacoli alla crescita della didattica digitale in Italia siano proprio le limitate competenze digitali dei docenti (50%) e lo scarso loro utilizzo della tecnologia (36%). Secondo l’indagine, in ben il 59% delle scuole la metà dei docenti non si sente poi a proprio agio nell’utilizzo delle nuove tecnologie. «Oggi però abbiamo una grandissima occasione che è quella del PNRR che ha individuato nella scuola digitale un obiettivo importante su cui investire», osserva Redaelli. «I fondi e i finanziamenti però non bastano, bisogna iniziare a ripensare la stessa metodologia didattica che deve coniugare sempre più l’empatia del contatto fisico, la tradizionale modalità di istruzione con le nuove e più coinvolgenti metodologie digitali».
Anche in questo campo a giocare un ruolo decisivo può essere l’intelligenza artificiale, specialmente quella generativa dei chatbot che si stanno rivelando, non senza timori, un valido strumento didattico. «La parola chiave è affiancamento, non sostituzione», avverte Redaelli secondo cui il libro può e deve coesistere con Chat-GPT. Le tradizionali ricerche, per esempio, possono essere svolte sulla vecchia enciclopedia dei nonni, così come su un portale online, su un social network, ma anche scrivendo efficacemente un prompt su un chatbot di IA generativa. «L’IA non è di certo la soluzione a ogni problema, ma non è neanche il grande demonio», rimarca ancora Redaelli. «Il grande successo dell’intelligenza artificiale e la confidenza che i giovani hanno con il suo utilizzo ci deve far capire come l’insegnamento distante e passivo non è più possibile e come tutti questi medium possono aiutare a coinvolgere quegli studenti che fuori dalla scuola hanno un mondo di stimoli completamente differente».
Qualche esempio pratico? Spesso nell’insegnamento delle materie umanistiche mi trovo dinnanzi a ragazzi che non leggono nessun libro e che quindi hanno zero capacità di scrittura creativa. A Chat-GPT in questo caso non chiediamo di eseguire in toto il compito, ma di darci spunti creativi, di offrirci idee e correggere errori. E questo approccio può essere esteso anche ad altri temi e ad altre materie. In questo scenario, rimane cruciale il ruolo del docente, che non può eclissarsi o scomparire dietro il computer. «La sua funzione rimane fondamentale», evidenzia Lorenzo Radaelli secondo cui il docente nell’era della didattica digitale deve assumere anche un nuovo ruolo: «Quello del moderatore, del facilitatore, del regista di un processo di apprendimento che si muove all’interno di una progettazione didattica integrata e multimediale, contro ogni preconcetta demonizzazione».