Teenager che rifiutano i social

Society 3.0


Teenager che rifiutano i social

L’uso e l’abuso di una vita sempre connessa causa dipendenza. Ma cresce il partito di chi pensa si stia meglio senza un like su Facebook o una notifica su Instagram.

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L’uso e l’abuso di una vita sempre connessa ai social causa dipendenza. Ma cresce il partito di chi pensa si stia meglio senza un like su Facebook o una notifica su Instagram.

«Ero con un gruppo di amici e stavamo facendo shopping», ha raccontato una 17enne al quotidiano britannico. «Una mia amica aveva da poco aperto Instagram e continuava a controllare la quantità di like ricevuti a un post: 40, 42. Non ho potuto fare a meno di pensare: ‘tutto questo è ridicolo’». Per altri, invece, è stato un processo graduale, causato da quella che viene chiamano la zombificazione degli amici: «Tutti si estraniavano dalle conversazioni, come se si fosse perso il piacere nel parlarsi faccia a faccia. Sembrava quasi che volessero il tuo numero di telefono per continuare a chiacchierare via chat», racconta la 18enne Isabelle. «Non avevo nessuna voglia di essere risucchiato da tutto questo».

In diverse occasioni, infine, il momento di illuminazione anti-social è giunto dopo aver vissuto o assistito a brutti episodi di cyberbullismo; o semplicemente rendendosi conto di quanto tempo andava perduto a scrollare per ore, senza alcuna attenzione, i post degli amici su Instagram, Facebook o Snapchat. Quale che sia la ragione, una cosa è certa: gli adolescenti della Generazione Z sembrano aver conquistato una certa consapevolezza riguardo la dipendenza da social network e da smartphone.

Lo dimostrano anche numerosi studi: secondo una ricerca condotta nel 2017 in Gran Bretagna, il 63% dei ragazzi in età scolastica preferirebbe che i social network non fossero mai stati inventati. Un altro studio, condotto dalla società Ampere Analysis su 9mila utenti di internet, ha scoperto che i ragazzi tra i 18 e i 24 anni stanno significativamente cambiando la loro attitudine nei confronti dei social: nel 2016, il 66% riteneva questi strumenti “importanti per la mia vita”; nel 2018 la percentuale è scesa al 57%.

In effetti, secondo le ricerche della società di marketing Hill Holliday, circa la metà degli appartenenti alla Generazione Z ha segnalato di aver riflettuto sull’opportunità di abbandonare almeno una delle piattaforme a cui è iscritto (e non pochi l’hanno fatto). La sensazione è che questo trend abbia appena iniziato a disvelarsi e che, nei prossimi anni, la tendenza verrà confermata.

Le insidie del social Instagram

Fin qui, i numeri e qualche esempio personale. Da un punto di vista più strutturale, il caso di Instagram è probabilmente quello che meglio di qualunque altro racconta le insidie che si nascondono dietro un abuso dei social. «A livello superficiale, Instagram può apparire come un luogo molto piacevole», ha spiegato la ricercatrice Niamh McDade, autrice di uno studio della britannica Royal Society for Public Health. «Ma quel modo di scrollare senza sosta, privo di qualunque vera interazione, non può avere nessun impatto positivo sulla nostra salute mentale e benessere complessivo».

Non solo: il fatto stesso che su Instagram sembrino tutti sempre in viaggio, circondati da amici durante feste esclusive o a prendere il sole su spiagge esotiche rischia di aumentare il senso di inadeguatezza di chi, invece, è banalmente sul proprio divano con in mano lo smartphone. Un senso di inadeguatezza provocato anche dalla quantità di fisici maschili e femminili perfetti che circolano sulla piattaforma e dall’esibizione consumistica: «Qualcuno magari osserva un feed pieno di macchine sportive e avverte un senso di ansia e depressione per la sua impossibilità di permettersi quegli oggetti del desiderio», prosegue McDade.

Da un certo punto di vista, stare su Instagram è come guardare la televisione senza riuscire a distinguere la pubblicità – con il suo corollario di famiglie perfette, uomini e donne di successo e viaggi fantastici – dalla realtà. Un po’ perché sul social network di proprietà di Facebook il confine tra i post promozionali pubblicati dai vari influencer e tutto il resto è effettivamente molto sfumato; un po’ perché tutti noi pubblichiamo solo gli aspetti più positivi e fotografabili della nostra vita, anche per prenderci la rivincita proprio su quel senso di inadeguatezza che proviamo osservando le vite degli altri sulla piattaforma.

In questo modo, però, Instagram si trasforma in un concorso di popolarità quantificabile con estrema precisione, attraverso indicatori come il numero di followers o i like ricevuti. Che questo possa avere un impatto negativo sul benessere dei più giovani è tutt’altro che sorprendente. Ed è per questo che non ci si dovrebbe stupire che proprio loro, i più giovani, siano anche i primi a ribellarsi.

​Milanese, classe 1982, si occupa del rapporto tra nuove tecnologie, politica e società. Scrive per La Stampa, Wired, Il Tascabile, Esquire e altri. Nel 2017 ha pubblicato “Rivoluzione Artificiale: l’uomo nell’epoca delle macchine intelligenti” per Informant Edizioni.