Quanto siamo felici?

di Luciano Canova Negli ultimi anni, l’importanza del benessere personale e delle emozioni positive è sempre più al centro del dibattito pubblico, influenzando non solo la
Nel contesto lavorativo italiano rappresenta un ostacolo alla crescita di un’azienda. Attualmente, infatti, i residenti con 65 anni e più nel nostro Paese sono 14,6 milioni e rappresentano il 24,7% della popolazione totale.
Viviamo in una società che parla continuamente di inclusione, ma troppo spesso dimentica una forma di discriminazione silenziosa e diffusa: l’ageismo. Si tratta del pregiudizio verso una persona basato esclusivamente sulla sua età, una dinamica che colpisce sia chi è giovane sia chi è anziano. Pensiamo a chi viene definito “troppo vecchio” per un nuovo impiego o “troppo giovane” per avere voce in capitolo: l’età diventa un ostacolo, nonostante competenze, esperienze e potenzialità.
In questo articolo approfondiremo cos’è l’ageismo, dove si manifesta, quali sono le sue conseguenze e – soprattutto – come possiamo combatterlo ogni giorno.
«Ho letto che i musicisti non vanno in pensione: smettono quando non hanno più musica dentro. Beh, io ho ancora musica in me e su questo non ho alcun dubbio». È una battuta tratta da Lo stagista inaspettato, film con Robert De Niro che racconta la storia di Ben, un pensionato che decide di rimettersi in gioco facendo uno stage in un’azienda digitale.
Una commedia dall’apparenza leggera, ma che porta in superficie un tema profondo e spesso ignorato: l’ageismo, ovvero la discriminazione basata sull’età. Un problema che non riguarda solo gli anziani ma colpisce anche i giovani, escludendo entrambi da opportunità, diritti e spazi di partecipazione. Un fenomeno tanto diffuso quanto sottovalutato, che merita di essere riconosciuto e affrontato.
Il termine ageismo (o ageism in inglese) è stato coniato nel 1969 dal gerontologo statunitense Robert Neil Butler. Inizialmente indicava la discriminazione nei confronti delle persone anziane, ma oggi si utilizza per descrivere qualsiasi forma di pregiudizio, stereotipo o esclusione legata all’età, che può riguardare tanto gli over 60 quanto i più giovani.
L’ageismo si manifesta in molti modi:
In ambito sociale, sanitario e lavorativo, l’età diventa spesso un criterio di giudizio che limita la libertà e la dignità delle persone.
L’ageismo può colpire in diversi ambiti, creando disuguaglianze sistemiche. Tre sono i principali settori in cui questa discriminazione si manifesta con maggiore evidenza:
Secondo uno studio condotto negli Stati Uniti, il 64% dei lavoratori tra i 45 e i 74 anni ha sperimentato forme di ageismo sul lavoro. In Italia, la situazione non è molto diversa. Le persone anziane hanno minori probabilità di ottenere un colloquio a parità di competenze e, una volta disoccupate, fanno più fatica a reinserirsi.
Molti, per superare queste barriere, arrivano a falsificare la propria età sul curriculum. Questo non solo danneggia le opportunità individuali, ma priva le aziende di competenze preziose.
Nel sistema sanitario, l’ageismo si traduce spesso in diagnosi tardive, trattamenti sottovalutati o un approccio paternalistico nei confronti dei pazienti anziani. Questo riduce la qualità delle cure e contribuisce a una percezione distorta dell’invecchiamento.
Cinema, televisione e pubblicità tendono a rappresentare giovani e anziani attraverso stereotipi consolidati: l’adolescente inesperto, l’anziano incapace di usare la tecnologia, la nonna dolce e passiva. Questa narrazione influisce sul modo in cui le persone si percepiscono e vengono percepite.
L’ambiente lavorativo è forse il luogo dove l’ageismo si manifesta con maggiore evidenza e frequenza. Gli over 50 spesso faticano a trovare nuove opportunità, mentre i giovani vengono esclusi per “mancanza di esperienza”, creando un corto circuito generazionale.
Ma l’ageismo non colpisce solo chi è avanti con gli anni. Anche i più giovani, etichettati come “immaturi” o “incostanti”, possono subire forme di esclusione o delegittimazione. L’età, insomma, diventa una barriera bidirezionale, e non una risorsa.
L’ageismo si nutre di preconcetti opposti ma complementari. Da un lato, gli anziani sono visti come rigidi, superati o inadatti ai contesti moderni; dall’altro, i giovani vengono considerati troppo inesperti, volubili o incapaci di gestire responsabilità.
Questo genera un circolo vizioso di esclusione, che separa invece di unire. In realtà, giovani e anziani sono portatori di conoscenze, punti di vista e competenze che, se integrati, possono arricchire ogni contesto: dalla scuola al lavoro, dalle comunità locali alle istituzioni.
Combattere l’ageismo è possibile, a partire da piccoli gesti quotidiani e da politiche inclusive. Ecco alcune strade da percorrere:
Alcune aziende hanno già intrapreso questa direzione. Bosch ha avviato un programma di mentoring intergenerazionale; Engie Italia ha promosso l’iniziativa “Valore Over 50”; BMW ha lanciato campagne pubblicitarie per valorizzare l’esperienza degli over 60. Tutte scelte che dimostrano come inclusione ed età possano coesistere, anche (e soprattutto) nel mondo del lavoro.
Nel contesto lavorativo italiano rappresenta un ostacolo alla crescita di un’azienda. Attualmente, infatti, i residenti in Italian con più di 65 anni sono 14,6 milioni e rappresentano il 24,7% della popolazione totale secondo dati ISTAT. Riconoscere e superare l’ageismo non è solo un’urgenza sociale, ma una necessità economica e culturale. Perché nessuno dovrebbe sentirsi “fuori tempo massimo”, soprattutto se – come Ben – ha ancora musica dentro.
*Articolo pubblicato il 5 ottobre 2023 e sottoposto a successive revisioni