Il lessico calcistico è più veloce della palla
Siamo al sesto minuto del secondo tempo supplementare della partita di calcio leggendaria per antonomasia: Italia-Germania, semifinale dei Mondiali messicani del 1970. I tedeschi h
In un’Italia sempre più vecchia dobbiamo provare a ribaltare il sistema dando più potere decisionale ai giovani. Changes ne ha parlato con il demografo Gustavo De Santis.
Come cambierà la popolazione mondiale di qui a 100 anni? Per quanto sia difficile fare previsioni, “soprattutto sul futuro”, come diceva ironicamente il Nobel per la Fisica Niels Bohr, qualcuno ci prova ugualmente: l’ufficio demografico delle Nazioni Unite che ha indicato alcune tendenze, riassunte dal demografo inglese Paul Morland in L’umanità di Domani: 10 numeri per comprendere il nostro futuro (Il saggiatore), che trasformeranno completamente il mondo di qui a fine secolo.
La prima sorpresa riguarda il numero degli umani: si stima che nel 2100 potremmo arrivare a 16 miliardi, il doppio di ora, con ben 4 miliardi di persone nella sola Africa: un balzo legato in particolare all’Africa subsahariana, dove all’alto numero di nati si associa una mortalità che va calando, per il miglioramento della sanità pubblica. «Così nell’unione Europea resteremo in circa 700 milioni di persone, mentre in Africa, già nel 2050 si supereranno i due miliardi», precisa Gustavo De Santis, professore di Demografia all’Università di Firenze e presidente di Neodemos. Basterebbero già queste cifre a farci interrogare sul senso delle chiusure dei nostri confini verso il sud del mondo. In più, il calo della popolazione nei Paesi ricchi travalica l’Europa: basti pensare che nel 1950 c’erano oltre 2 giapponesi per un nigeriano. Oggi siamo a quasi 1,5 nigeriani per un giapponese, e nel 2100 arriveremo a 9 nigeriani per ogni abitante del Giappone, Paese record per gli ultracentenari che sono 1 per ogni 2000 abitanti, la percentuale più alta di qualunque società nella storia.
La seconda caratteristica del mondo futuro sarà, appunto, che le nazioni sviluppate saranno sempre più vecchie. Il che non ha solo effetti sociali: ne ha anche di economici. Per esempio, poiché una popolazione attempata investe più capitale in iniziative a basso rischio, in genere dove prevalgono gli anziani l’economia nazionale rallenta. Di pari passo, inevitabilmente, negli stessi Paesi aumenta la spesa pubblica, per le pensioni e la sanità. E qui sta uno degli interrogativi suscitati dallo scenario previsto dalle Nazioni Unite: ha senso che a decidere le politiche sociali ed economiche degli Stati siano soprattutto i cittadini anziani, che sono numericamente di più ma che ovviamente non si preoccupano del futuro remoto?
«Premesso che anche gli anziani hanno figli e nipoti, e dunque possono votare in modo altruistico – anticipa Gustavo De Santis – in effetti esiste il rischio della cosiddetta “crescita cumulativa”, che si ha quando i gruppi che riescono a essere più forti in un certo momento modificano le regole a loro vantaggio, e questo li rafforza ulteriormente. Perciò, se per ipotesi, in Italia ci fosse una “lobby degli anziani”, e se questa lobby riuscisse a creare un sistema di trasferimento di risorse a proprio vantaggio (magari prevedendo pensioni generose da una parte, e pochi sostegni alle famiglie con figli dall’altra), tra le possibili conseguenze ci sarebbe uno scoraggiamento della fecondità, che creerebbe a sua volta una società ancora più anziana, in un processo circolare».
Molti esperti, in tutto il mondo si sono già interrogati su come tentare di arginare questa deriva. Una possibilità per bilanciare il “peso degli anziani” è quella di aumentare il tasso di natalità: eppure, «anche laddove le politiche familiari sembravano funzionare e aumentare le nascite, come in Francia e nel Nord Europa, dopo qualche anno il calo è ripreso», asserisce il docente. La ricetta della natalità felice, insomma, ancora non si vede.
Un’altra strada possibile quindi è quella della riforma elettorale, abbassando i limiti di età che consentono l’accesso al voto. In Italia, dai 21 anni in vigore fino al marzo 1975 si è passati agli attuali 18 e di recente si è discusso se consentire il voto ai 16enni. Ma l’efficacia di un simile provvedimento pare limitata: le persone di 16 e 17 anni, solo per il 2% circa dell’elettorato complessivo. Troppo poco per incidere sulla direzione da seguire, a dispetto dell’impegno, per esempio, dei giovani aderenti di movimenti come Fridays for Future.
C’è però anche un’altra soluzione possibile: permettere a tutti i cittadini di votare, minorenni compresi. Ma prevedendo che il diritto al voto dei minorenni sia esercitato dai loro genitori, che riceverebbero una scheda elettorale in più per figlio, al fine di far pesare di più il parere delle persone che si troveranno, domani, a fronteggiare le conseguenze delle scelte effettuate oggi. «Una riforma previdenziale insostenibile o una politica energetica miope producono effetti negativi per moltissimi anni – illustra De Santis -. Perché i bambini di oggi, che ne pagheranno i costi, non dovrebbero poter esprimere il loro parere, per il tramite dei loro genitori?». Una misura di questo genere equivarrebbe ad abbassare di circa 6 anni l’età dell’elettore mediano, dai 47 attuali a 41 anni. Certo, la tendenza all’invecchiamento non si arresterebbe per questo, ma alle elezioni del 2050 l’elettore mediano avrebbe 51 anni circa, anziché 57, come avrebbe con le attuali regole di voto. Sarebbe un bell’inizio di cambiamento, affinché l’Italia non diventi (sempre più) un Paese per vecchi.