La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Il ruolo cruciale delle Academy nelle aziende può allontanare lo spauracchio della tecnologia che mangia posti di lavoro, aumentando l’occupazione addirittura del 5%.
Il ruolo cruciale della formazione nelle aziende può allontanare lo spauracchio della tecnologia che mangia posti di lavoro, aumentando l’occupazione addirittura del 5%.
Lo diceva Henry Ford, in tempi (quasi) non sospetti: «Chiunque smetta di imparare è vecchio, che abbia 20 o 80 anni. Chiunque continua ad imparare resta giovane». Tema affrontato di recente anche durante il Milano Luiss Hub for Makers and students, laboratorio di manifattura digitale, in cui si è parlato di evoluzione delle competenze, di upskilling e reskilling. E se non masticate l’inglese, poco male: con queste parole non si fa che affidare alla sinteticità del mondo anglosassone due tendenze legate all’apprendimento. Con upskilling si intende l’acquisire nuove competenze da parte del lavoratore mentre il reskilling è l’invito a riaggiornare le competenze che si hanno già. Un diritto quasi universale dell’uomo, quello ad apprendere, ma non solo: pare che la formazione continua riuscirà ad allontanare lo spauracchio di questi anni, cioè che la tecnologia possa rubare posti di lavoro, aumentando l’occupazione addirittura del 5%.
Un concetto che è chiaro, ovviamente, nelle università e negli enti di formazione, ma che ormai è diventato sempre più appannaggio delle aziende. Avete mai sentito parlare di Corporate University o Corporate Academy? Non delle semplici università ma dei veri e propri atenei aziendali. Per dirla con le parole di Adele Corbo, ricercatrice di Adapt (Associazione per gli studi internazionali e comparativi sul diritto al lavoro e le relazioni industriali, fondata da Marco Biagi) si tratta di realtà che introducono «una nuova concezione di formazione, non più intesa come catalogo di corsi one shot prevalentemente incentrati sulla formazione obbligatoria (es. sulla salute e sicurezza dei lavoratori prevista dal D.Lgs 81/2008), tecnica o manageriale, bensì come luogo, sia fisico sia virtuale, finalizzato alla produzione e condivisione continua della conoscenza».
L’Academy aziendale pertanto rientra a pieno titolo nella strategia di un’organizzazione: fornisce il suo prezioso e ricco contributo per il raggiungimento degli obiettivi di business, ma non solo; crea valore e occupabilità. Per i dipendenti, ma anche per i collaboratori esterni e per il territorio nel quale si trova.
In Italia, stando all’ultimo rapporto di Assoknowledge, Associazione Italiana dell’Education di Confindustria, ci sono ben 43 Academy che rappresentano una realtà piuttosto eterogenea, ma soprattutto svolgono un ruolo cruciale nella formazione per adulti, anche alla luce del fatto che il nostro Paese, rispetto all’Europa, non è messo così bene. A dirlo è il XVIII Rapporto sulla formazione continua, curato dall’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro sugli anni 2016-2017: il livello di fruizione della formazione degli adulti (25-64 anni) è dell’8,3%, 2 punti percentuale in meno rispetto alla media europea del 10,8%, ma molto sotto rispetto ad altri Paesi. Qualche esempio? La Svezia con il 29,6%, la Danimarca con il 27,7% per proseguire con il 18,8% di Paesi Bassi e Francia. Uno stacco significativo è vero, ma c’è un miglioramento: sono aumentate le imprese formatrici – imprese, cioè, che hanno svolto una o più attività di formazione – che sono il 60% del totale delle imprese esistenti e sta crescendo il livello di partecipazione dei lavoratori alla formazione che è del 46%.
A puntare sulla formazione, stando alla ricerca, sono in particolare le imprese che operano nei settori finanziari e assicurativi (93,8%) e attività ausiliarie dei servizi finanziari (90%), seguono quelle che si occupano di fornitura di energia elettrica, gas e acqua (77,4%) mentre nei servizi di alloggio e ristorazione, per dire un settore lontano dai primi posti, investe sulla formazione solo il 38,9%. Quanto alle modalità formative, i corsi d’aula sono i più diffusi (52,3%).
Ma perché la formazione ha un ruolo sempre più centrale? Sicuramente anche per il fatto che è cambiato il modo di considerarla, nonché di fruirla. In passato c’era un netto divario tra il periodo in cui si stava tra i banchi e quello in cui si iniziava a lavorare. E in questa “seconda parte di vita”, si partecipava a corsi solo in modo occasionale e perché “costretti”. Oggi, come precisa Federica Pizzini, responsabile di Unica, la Corporate Academy del Gruppo Unipol, si sta vivendo «una situazione oggettiva che mette le persone di fronte alla necessità di elaborare continuamente i contenuti e le modalità di apprendimento per mantenere il ritmo con le evoluzioni e i cambiamenti nei processi che il contesto via via manifesta». Ecco perché le aziende non possono restare a guardare, ma diventano sempre più protagoniste del modo di aggiornare le competenze, hard ma anche soft, e sono sempre più quelle che danno vita alla propria Corporate Academy.
Tra le ultime c’è la Dallara Academy nata in autunno nella sede storica di Varano de’ Melegari (Parma), focalizzata su temi molto cari all’azienda, come il legame con il territorio, la tecnologia e la formazione.
Dallara per altro, grazie ad Andrea Pontremoli, amministratore delegato e direttore generale, è tra le 10 aziende della cosiddetta Motor Valley (Ferrari, Lamborghini, Ducati, HPE Coxa, Magneti Marelli, Maserati, Pagani, Toro Rosso, Haas F1 Team) che insieme a 4 università (Bologna, Modena e Reggio Emilia, Ferrara e Parma) hanno dato vita a MUNER (Motorvehicle University of Emilia Romagna). Un centro di formazione sui generis che mira a creare un polo di eccellenza, nel territorio e che nasce dal territorio. E cosa si impara alla MUNER? Due sono i corsi di laurea, in lingua inglese, in Advanced Automotive Engineering e Advance Automotive Electronic Engineering, che, come si legge sul sito, devono contribuire a «formare e inserire nel mondo del lavoro gli ingegneri di domani e i professionisti che progetteranno veicoli stradali e da competizione».
Ma se MUNER è una University che mette insieme più realtà, è invece figlia della lungimiranza di Illy l’Università del Caffè, nata 20 anni fa, che propone percorsi su misura – dal vivo e in e-learning – per i coltivatori e partner della filiera, ma anche per i professionisti del bar e della ristorazione. Ci sono poi il Ferrero Learning Lab con programmi per neoassunti, per manager e direttori di funzioni e le “know how Academies” per condividere le best practice e la Scuola dei Mestieri di Solomeo (PG) ideata da Brunello Cucinelli, con sede in un borgo di 500 abitanti, per giovani tra i 18 e 26 anni che vogliono imparare l’arte della sartoria.
Per non parlare, poi, della TIM Academy nata nel 2016, con 8 sedi in tutta Italia (da Torino a Napoli) e una piattaforma digitale di corsi open. O la Landi Renzo Corporate University con sede a Cavriago (Reggio Emilia), nata per volere dell’omonima azienda che si occupa di produzioni di impianti a gas auto GPL e Metano, che vuole “contribuire allo sviluppo di una cultura adeguata sulla modalità sostenibile e stimolare la generazione di innovazioni sia di tipo tecnologico che manageriale”. Nelle Marche, Loccioni, impresa familiare nel settore manifatturiero, ha dato vita a una university con programmi per tutte le età: studenti che vogliono avvicinarsi al mondo dell’impresa coinvolti già sui banchi di scuola con modelli di alternanza scuola lavoro, collaboratori, consulenti, manager che sono interessati alle iniziative del gruppo.
Finiamo con il citare l’innovativa Digital Bros Game Academy, creata dal Gruppo Digital Bros, multinazionale per il Digital Entertainment, con l’obiettivo di formare professionisti dei videogiochi: Game Designer, Game programmer e game artist.
Come si può vedere, da quando è nata la prima Academy aziendale – il Master Corporate Medea sugli Idrocabruburi di Eni nel 1954 – a oggi, il mondo delle università aziendali si è molto evoluto e, a differenza di quello che si può credere, ha il suo cuore in Emilia Romagna. Regione che, come ci spiega Pizzini, «ha avuto nell’ultimo triennio il maggior tasso di crescita del Pil e dove anche per il lavoro congiunto tra impresa ed istituzioni si è avuto il maggior tasso di utilizzo dei finanziamenti per Industria 4.0, ossia la digitalizzazione spinta dei processi produttivi in cui l’essere umano ha una parte sempre più centrale per lo sviluppo dell’impresa nel tempo».
E in Emilia, a San Lazzaro di Savena (BO) nel 2016 il Gruppo Unipol ha dato vita a Unipol Corporate Academy (Unica) «un vero e proprio campus universitario con facoltà, dipartimenti, calendari accademici, corsi, docenti certificati, tutor qualificati, fornitori certificati, biblioteca digitale e aule e centri di competenza con sede in molte città italiane tra cui Milano, Torino, Roma, Genova, Firenze e Napoli, oltre a Bologna dove il Gruppo Unipol ha le sue radici».
Obiettivo dichiarato, come spiega la responsabile è «accrescere tutte le competenze necessarie per rispondere alle esigenze di un mercato e di una clientela sempre più informata che, soprattutto nella copertura dei bisogni primari (sicurezza, previdenza, malattia, credito, risparmio), valuterà in futuro sempre di più le proprie scelte».
Al progetto partecipano non solo le persone del Gruppo, ma anche collaboratori esterni «portatori di esperienze e best practices del mondo accademico e della formazione aziendale. I pilastri su cui Unica si fonda infatti sono la qualità e la profondità delle competenze specialistiche e manageriali, la focalizzazione sugli economics, lo sviluppo di tutte le più opportune partnership nonché un’attività costante di benchmark e networking al servizio degli obiettivi perseguiti ed in coerenza con il valore del brand Unipol».
Un'”università” pensata sia per dipendenti che reti distributive per «assicurare la massima qualità nell’offerta formativa anche attraverso una puntuale e rigorosa certificazione dei docenti, dei contenuti e dell’efficacia didattica nel tempo, misurata anche sui risultati di business conseguiti».
Ma in concreto com’è organizzata l’Academy? «Si punta a utilizzare tutte le modalità, in modo singolo o combinato, per garantire la partecipazione attiva e costante», spiega Pizzini. Come per esempio: «gaming e gamification per stimolare e facilitare l’apprendimento tramite dinamiche associate al gioco, social learning, apprendimento collaborativo che grazie al confronto tra i discenti permette di rafforzare i concetti, favorire la condivisione di conoscenze, di esperienze, anche tra persone di funzioni e/o agenzie diverse e di creare identità e senso di appartenenza al Gruppo, ma anche di sviluppare nuove idee/proposte. O il microlearning: contenuti ridotti e sintetizzati in “pillole” facilmente fruibili, per una formazione sempre più “diffusa” e continua».
Un esempio sono i percorsi in Gestione e Sviluppo dei collaboratori rivolti ai 1800 responsabili del Gruppo Unipol, realizzati per mettere a fuoco il ruolo e svilupparne le relative competenze, diffondendo valori e stili di gestione comuni in Azienda. Oppure il Laboratorio Unipol Innovation per la crescita di 84 giovani risorse del Gruppo, nel quale vengono sviluppati progetti innovativi di business. O ancora il Master in Business Insurance, in cui assuntori e liquidatori insieme possono acquisire una conoscenza a 360° del business assicurativo. Infine, il Master Innovation Manager d’Agenzia, nato per fornire ad Agenti selezionati gli stimoli e gli strumenti per portare l’innovazione in Agenzia, che ha recentemente vinto il Premio Olivetti di sezione dell’Associazione Italiana Formatori.
Fondamentale, poi, l’engagement degli allievi che vengono coinvolti, ancor prima dell’inizio del corso, con «campagne teaser o con pre-work, durante la formazione con comunicazioni di diverso genere (es. newsletter su temi del percorso), oppure lancio di sondaggi e tramite community che possono proseguire dopo la conclusione della formazione tout court. Senza dimenticare poi i consueti feedback (questionari di gradimento) sull’attività svolta che vengono richiesti per migliorare l’offerta didattica dell’Academy». Tutto questo fa capire «quanto è diventato importante investire nella formazione permanente degli adulti, soprattutto per mantenere sempre attiva l’employability (occupabilità) evitando obsolescenza professionale», conclude Pizzini. Ruolo sottolineato anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel luglio scorso durante un forum economico in Georgia: puntare sul lifelong learning «significa rafforzare non soltanto le aziende, ma l’intero capitale sociale di un Paese».