L’inclusione della diversità o l’inclusione nella diversità?

Society 3.0


L’inclusione della diversità o l’inclusione nella diversità?

Incontrando il diverso c’è il rischio di riconoscersi. E di essere trascinati fuori dalla confortevole schiera, ripiombando nella cosiddetta solitudine. Cosa sta accadendo sul lavoro.

Per natura, l’individuo si protegge dall’isolamento unendosi a un gruppo: più si annullerà a favore della coesione, più avrà quella confortevole sensazione di essere al sicuro, di non essere diverso, di essere come gli altri; e di essere salvo dalla solitudine.

Perdendo la possibilità di essere diversi, perdiamo il privilegio di essere liberi: per far parte della schiera, dobbiamo necessariamente attenerci a rigide regole e più o meno taciti dettami; dobbiamo amare ciò che tutti gli altri amano; indossare maschere intrecciate con i tessuti più adatti e neutri; non superare mai quella soglia che divide il “giusto” dall’abisso del “troppo”.

Essere impeccabilmente inquadrabili nella normalità affinché la nostra individualità non spaventi nessuno. La paura, d’altronde, in certi ambienti è inopportuna. Si teme la diversità per un semplice, banalissimo motivo: incontrando il diverso c’è il rischio di riconoscersi; di scorgere tratti comuni. E di essere trascinati fuori dalla confortevole schiera, ripiombando nella cosiddetta solitudine (o, secondo altre grammatiche esistenziali, libertà).

Ma ve lo assicuro, in quella libertà che chiamano “solitudine” ormai non si è più soli. È scorretto parlare di “inclusione della diversità”: il diverso non va incluso in quella terribile schiera di cui sopra, ma seguito nel territorio della libertà. Fortunatamente sempre più spesso la diversità è diventata un leitmotiv che tocca diversi ambienti: la società; la scuola; il lavoro.

Soffermiamoci su quest’ultimo, interrogandoci su alcuni quesiti.

Cosa significa accogliere la diversità in un’azienda?

 Innanzitutto, rispettare, umanizzandole, le differenze delle persone. Un giorno, un mio amico mi ha consigliato di non soffermarmi con lo sguardo sulla sua protesi, perché in quel modo definivo indirettamente la sua identità tramite quel particolare. Mi sembra un’ottima metafora da applicare ad ogni diversità: di genere, di etnia, di religione, di orientamento sessuale, di età o di estrazione sociale.

Quali sono i principali vantaggi di questa semplicissima scelta?

La diversità genera ricchezza: di opinioni, di creatività, di prospettive e… di talenti. Un’azienda non inquadrata nei recinti della normalità ha una maggiore attrattiva per una più ampia gamma di professionisti, provenienti non solo da diversi background, ma da diverse esperienze esistenziali (ahimè, non sempre accettate).

Perché dobbiamo ancora parlarne?

Avete presente quando da bambini, terrorizzati dai mostri, vi nascondevate in spazi chiusi e protetti (il mio preferito era l’armadio)? Il meccanismo è lo stesso. C’è ancora chi preferisce una confortevole chiusura che certo tutela dalla spaventosa diversità, ma che relega la normalità nello spazio di quattro mura: in quel luogo, unica è l’opinione, sterile è la creatività, cieca la prospettiva.

Invece, pensateci: l’unica cosa che abbiamo davvero tutti in comune è l’essere completamente differenti. È una verità valida ovunque.

Economista, consulente strategico e corporate trainer. Si è formato all’Università Bocconi di Milano e all’INSEAD di Fontainebleau, e ha girato il mondo per lavoro e per passione: Head of Business Development Unit di Finmeccanica in Russia, Senior Manager di McKinsey a Londra e Principal di AlphaBeta a Singapore, dove ha gestito progetti con aziende del calibro di Google, Uber e Microsoft. In precedenza, ha lavorato anche presso Goldman Sachs e le Nazioni Unite a New York. Tornato a Bari, ha fondato la Disal Consulting e si occupa di ricerca, consulenza, comunicazione e formazione per grandi aziende italiane (Ferrari e UniCredit), colossi digitali (Netflix e Amazon), istituzioni multilaterali (World Economic Forum) e governi nazionali (Francia, Cina e Germania). Insegna alla IE Business School di Madrid e alla Nanyang di Singapore, e dirige il Master in Digital Entrepreneurship presso H-Farm, dove cerca di trasmettere l’importanza dello storytelling per la riuscita di un progetto imprenditoriale. Dopo il successo del suo primo libro Flow Generation - manuale di sopravvivenza per vite imprevedibili, ha pubblicato con Hoepli Phygital - il nuovo marketing tra fisico e digitale.