Il lessico calcistico è più veloce della palla
Siamo al sesto minuto del secondo tempo supplementare della partita di calcio leggendaria per antonomasia: Italia-Germania, semifinale dei Mondiali messicani del 1970. I tedeschi h
Incontrando il diverso c’è il rischio di riconoscersi. E di essere trascinati fuori dalla confortevole schiera, ripiombando nella cosiddetta solitudine. Cosa sta accadendo sul lavoro.
Per natura, l’individuo si protegge dall’isolamento unendosi a un gruppo: più si annullerà a favore della coesione, più avrà quella confortevole sensazione di essere al sicuro, di non essere diverso, di essere come gli altri; e di essere salvo dalla solitudine.
Perdendo la possibilità di essere diversi, perdiamo il privilegio di essere liberi: per far parte della schiera, dobbiamo necessariamente attenerci a rigide regole e più o meno taciti dettami; dobbiamo amare ciò che tutti gli altri amano; indossare maschere intrecciate con i tessuti più adatti e neutri; non superare mai quella soglia che divide il “giusto” dall’abisso del “troppo”.
Essere impeccabilmente inquadrabili nella normalità affinché la nostra individualità non spaventi nessuno. La paura, d’altronde, in certi ambienti è inopportuna. Si teme la diversità per un semplice, banalissimo motivo: incontrando il diverso c’è il rischio di riconoscersi; di scorgere tratti comuni. E di essere trascinati fuori dalla confortevole schiera, ripiombando nella cosiddetta solitudine (o, secondo altre grammatiche esistenziali, libertà).
Ma ve lo assicuro, in quella libertà che chiamano “solitudine” ormai non si è più soli. È scorretto parlare di “inclusione della diversità”: il diverso non va incluso in quella terribile schiera di cui sopra, ma seguito nel territorio della libertà. Fortunatamente sempre più spesso la diversità è diventata un leitmotiv che tocca diversi ambienti: la società; la scuola; il lavoro.
Soffermiamoci su quest’ultimo, interrogandoci su alcuni quesiti.
Innanzitutto, rispettare, umanizzandole, le differenze delle persone. Un giorno, un mio amico mi ha consigliato di non soffermarmi con lo sguardo sulla sua protesi, perché in quel modo definivo indirettamente la sua identità tramite quel particolare. Mi sembra un’ottima metafora da applicare ad ogni diversità: di genere, di etnia, di religione, di orientamento sessuale, di età o di estrazione sociale.
La diversità genera ricchezza: di opinioni, di creatività, di prospettive e… di talenti. Un’azienda non inquadrata nei recinti della normalità ha una maggiore attrattiva per una più ampia gamma di professionisti, provenienti non solo da diversi background, ma da diverse esperienze esistenziali (ahimè, non sempre accettate).
Avete presente quando da bambini, terrorizzati dai mostri, vi nascondevate in spazi chiusi e protetti (il mio preferito era l’armadio)? Il meccanismo è lo stesso. C’è ancora chi preferisce una confortevole chiusura che certo tutela dalla spaventosa diversità, ma che relega la normalità nello spazio di quattro mura: in quel luogo, unica è l’opinione, sterile è la creatività, cieca la prospettiva.
Invece, pensateci: l’unica cosa che abbiamo davvero tutti in comune è l’essere completamente differenti. È una verità valida ovunque.