Il futuro dell’economia dello sport è Live

Negli anni a venire, la crescita dell’economia dello sport passerà sempre più dagli eventi dal vivo e dallo sfruttamento intensivo e strategico degli impianti sportivi. Dopo an
Nel 2080 secondo l’ISTAT il nostro Paese avrà 45 milioni di abitanti e di questi più di un terzo saranno anziani con conseguenze non solo economiche, ma anche politiche e sociali. Changes ne ha parlato con il demografo Gianluigi Bovini.
Il nostro Paese sta attraversando una trasformazione profonda e silenziosa: l’Italia invecchia, le culle si svuotano e il futuro appare sempre più incerto. Secondo l’ISTAT, nel 2080 la popolazione scenderà a 45 milioni di abitanti, di cui oltre un terzo sarà composto da anziani. Un dato che richiama l’attenzione su una crisi strutturale, l’inverno demografico, con conseguenze sociali, economiche e persino politiche.
Il termine “inverno demografico” è usato per descrivere un periodo prolungato di calo delle nascite e invecchiamento della popolazione. In Italia, questa fase è iniziata da tempo: tra il 2008 e il 2023 le nascite sono diminuite del 34,2%, passando da 576.000 a 379.000. Il tasso di fecondità è sceso a 1,2 figli per donna, ben al di sotto della soglia di sostituzione di 2,1.
A tutto questo si aggiunge l’innalzamento dell’aspettativa di vita: 81,1 anni per gli uomini e 85,2 per le donne. Se da un lato questo rappresenta un successo sanitario, dall’altro pone sfide gigantesche a un sistema che non è pronto a gestire un invecchiamento così rapido.
Le implicazioni dell’inverno demografico sono molteplici. Un numero crescente di anziani richiede maggiori risorse sanitarie e previdenziali, mentre il calo della popolazione attiva mette in crisi il mercato del lavoro, la scuola e il sistema dei servizi. Un Paese vecchio rischia di bloccarsi: meno lavoratori significa meno contributi, meno consumi, meno innovazione. Ma non solo: anche le città e le infrastrutture devono adattarsi, con abitazioni, trasporti e spazi pubblici progettati per una popolazione sempre più anziana. Questo articolo di Changes esplora a fondo le implicazioni di una longevità non accompagnata da politiche adeguate.
Dietro la denatalità non ci sono solo numeri, ma anche scelte e condizioni sociali. Precarietà lavorativa, costo della vita elevato, mancanza di servizi di supporto alla genitorialità rendono difficile per molte coppie anche solo immaginare una famiglia.
L’età media al primo figlio è salita a 32 anni. La maternità è spesso rimandata o rinviata a tempo indeterminato, soprattutto per le donne che affrontano carriere instabili o mancanza di politiche di conciliazione.
Come evidenziato in questo approfondimento di Changes, i giovani non rinunciano del tutto all’idea di fare famiglia, ma la mettono in secondo piano, travolti da un contesto che rende sempre più difficile la costruzione di un progetto di vita stabile.
La crisi demografica si manifesta in modo particolarmente drammatico nel Mezzogiorno. Secondo la SVIMEZ, entro il 2080 il Sud potrebbe perdere quasi 8 milioni di abitanti, dimezzando la popolazione attuale. Un esodo silenzioso, fatto soprattutto di giovani che emigrano al Nord o all’estero, alla ricerca di opportunità di studio e lavoro.
Questo spopolamento non solo desertifica i territori, ma sposta altrove la capacità di generare futuro: i giovani che se ne vanno faranno figli altrove, contribuendo ad accelerare il declino demografico delle regioni meridionali. La mancanza di innovazione, competenze e capitale umano rischia di rendere strutturale il divario tra Nord e Sud.
La demografia influenza anche la politica. In un’Italia sempre più anziana, il peso elettorale si sposta verso chi ha superato i 60 anni. Alle ultime elezioni europee, solo il 49,69% degli aventi diritto ha votato e la maggior parte degli astenuti erano giovani.
Questo sbilanciamento genera un circolo vizioso: i partiti tendono a privilegiare politiche orientate agli interessi degli anziani, trascurando i temi del futuro, come la natalità, l’innovazione, l’ambiente. Un elettorato più vecchio rischia di produrre scelte meno lungimiranti, penalizzando le nuove generazioni anche dal punto di vista della rappresentanza politica. Come ha osservato il demografo Gianluigi Bovini, che da anni collabora con ASviS e Forum disuguaglianze diversità sulle tematiche dello sviluppo sostenibile legate all’Agenda Onu 2030.: «Oggi l’elettore medio ha 55 anni e tra vent’anni ne avrà 60. Come può una popolazione così anziana interpretare il futuro?».
Il calo demografico non è una condanna ineluttabile, ma un fenomeno che può essere affrontato con politiche coraggiose e visione di lungo periodo. Serve un nuovo patto tra generazioni, capace di valorizzare i giovani come risorsa per tutto il Paese.
Investire in istruzione, lavoro giovanile, politiche abitative, welfare familiare e accoglienza migratoria può ridare slancio a una società che rischia l’immobilismo. Come sottolinea Bovini, se non possiamo fermare l’esodo, possiamo aprire le porte a nuovi ingressi e trasformare l’Italia in un luogo attrattivo per talenti da tutto il mondo. Ribaltare la prospettiva sull’inverno demografico significa guardare oltre l’emergenza e costruire un futuro inclusivo, sostenibile e generazionale.
*Articolo pubblicato il 17 luglio 2024 e sottoposto a successivi aggiornamenti