La musica dopo Sanremo

Society 3.0


La musica dopo Sanremo

La pandemia ha impattato duramente sull'industria dei live musicali. I grandi festival, i locali e gli artisti si stanno attrezzando per riportare il pubblico sotto i palchi, tra rigore e un po' di sana follia.

“Che succede?”. La domanda che esattamente un anno fa si poneva un fintamente spaesato Morgan sul palco sanremese del Teatro Ariston, mentre il suo collega Bugo lo piantava in asso, non solo è diventata tormentone social e fonte di infiniti meme ma ha assunto una involontaria rilevanza profetica. Chi poteva sapere cosa sarebbe successo, su scala planetaria, da Sanremo a poche settimane? Chi può davvero spiegare “che succede” nel 2021, dopo un anno di pandemia, alla musica dal vivo? Più precisamente: che succederà ai festival rock, pop, jazz, di musica classica o elettronica,mentre si naviga ancora a vista nel mare agitato della lotta al Covid-19 e nessuno comprensibilmente osa fare previsioni?

Inevitabile che fosse un comparto come quello dei live musicali, nel cui Dna è inscritto il concetto stesso di “assembramento”, a soffrire maggiormente le norme di distanziamento sociale, al pari e forse più (in prospettiva) di cinema, teatri e musei. Un ambito nel quale tutto è congelato da un anno e si teme potrà rimanere ancora a lungo, con le ovvie e disastrose ripercussioni economiche su un indotto che parte dagli artisti e prosegue con organizzatori, maestranze, tecnici, operatori alberghieri e della ristorazione, service e così via. In attesa di certezze a lungo termine che solo il piano vaccinale potrà dare, il mondo della musica sta cercando soluzioni di vario genere: da quelle “scientifiche” a quelle più fantasiose, passando da quelle semplicemente goffe e inadeguate. Partiamo da queste ultime e, nuovamente, da Sanremo. Dopo settimane di polemiche, il Comitato Tecnico Scientifico ha posto l’aut-aut: niente pubblico in sala, oppure niente Festival. A nulla sono valse le disquisizioni terminologiche (per cui Sanremo sarebbe da considerare un evento televisivo e non teatrale) e neppure idee surreali come quella di riempire l’Ariston con un pubblico di figuranti, a due a due conviventi.  Come se un virus facesse differenza tra pubblico vero e “finto”. Tanto valeva, a questo punto, proporre una platea di cartonati.

Oppure farsi venire un’alzata d’ingegno come quella dei Flaming Lips. Questi ultimi sono una gloriosa, e oggi un po’ stagionata, band americana di rock alternativo che ha spesso sperimentato modalità psichedeliche e al limite dell’assurdo di riproduzione e presentazione della propria musica. Ad esempio un concerto per centinaia di auto parcheggiate le cui radio dovevano riprodurre all’unisono lo stesso nastro, oppure un disco che poteva essere riprodotto solo da quattro sistemi stereo contemporaneamente. L’ultima follia del gruppo è stata un concerto nel loro Oklahoma nel quale sia i musicisti che il pubblico erano avvolti da bolle trasparenti. Dentro ognuna di queste potevano stare fino a tre persone – ovviamente “congiunti” –  con uno speaker, una bottiglia d’acqua, un ventilatore a batterie e un segnale luminoso da accendere quando si doveva andare alla toilette (con intervento di inservienti opportunamente mascherinati). Divertente, ma anche parecchio inquietante. Potrebbe davvero essere questo il futuro? Se proprio si vuole vederla come una metafora, in realtà il “bubble concert” dei Flaming Lips rappresenta in modo colorato e giocoso una tendenza sociale che in fondo la pandemia ha solo brutalmente accelerato. Tutti avvolti nella propria “bolla”, di relazioni o comunicativa. Vicini eppure separati.

Ma ci sono anche strade meno distopiche, e sicuramente più pratiche da percorrere. Un esempio lo fornisce il Primavera Sound, festival rock che si tiene a Barcellona. Una kermesse che richiama ogni anno a fine maggio tra le cinquanta e le settantamila persone al giorno, con un centinaio di band e musicisti ad alternarsi su più palchi contemporaneamente, e che nel 2020 avrebbe festeggiato la ventesima edizione. Al momento le possibilità che non riesca a celebrarla pure quest’anno sono piuttosto alte, ma nel dubbio l’organizzazione si è mossa autonomamente promuovendo un vero e proprio test a freddo. A metà dicembre 2020 è stato organizzato un trial nella sede del festival, con svariate ore di concerti e dj set, al quale – in collaborazione con un comitato etico e le autorità sanitarie locali – sono intervenute un migliaio di persone selezionate in base a vari criteri (età, stato di salute, dichiarazione di non vivere con persone a rischio). A tutte sono stati fatti sul posto un test antigenico e un tampone, e a metà del pubblico è stato poi concesso di partecipare al live senza nessun obbligo di distanziamento, eccetto quello di indossare una mascherina con fattore di protezione. Libertà totale di avvicinarsi, abbracciarsi, ballare (cantare forse un po’ meno). Ai controlli successivi, a distanza di otto giorni, nessuno dei partecipanti è risultato positivo. Non si sa quale reale attendibilità scientifica possa avere questo esperimento, ma quanto meno dal punto di vista statistico è una indicazione interessante. Nel frattempo in alcuni locali inglesi – ad esempio lo storico 100 Club londinese – si sono svolti test simili in situazioni indoor, previa applicazione di un sistema innovativo di riciclo dell’aria. Anche in questo caso i risultati sono stati incoraggianti.

La strada, naturalmente, è ancora lunga e tortuosa. Nonostante questi lampi di ottimismo, l’orizzonte rimane fosco. Come dimostra l’annullamento di Glastonbury, il più antico ed elefantiaco (in termini di artisti e audience) dei festival pop britannici. D’altro canto, tuttavia, c’è anche chi dimostra sprezzo del pericolo e pensiero positivo. Come gli organizzatori del W-festival di Ostenda, in Belgio. Loro a fine agosto ci saranno, hanno dichiarato baldanzosamente. La particolarità della rassegna è che il cartellone è composto esclusiva​mente di vecchie glorie della new wave anni 80: dagli Human League a Midge Ure, da Jimmy Sommerville ai Matt Bianco. In questo caso, probabilmente, si punta sul fatto che per la data di inizio del festival sia i musicisti che il pubblico siano già stati vaccinati per ragioni di età. Anche questa, in fondo, è una strategia.​

Copywriter, giornalista, critico musicale e docente di comunicazione. In pubblicità ha ideato campagne per brand come Fiat, Sanpaolo Intesa, Lancia, Ferrero, 3/Wind. Insegna comunicazione presso lo IAAD di Torino e la Scuola Holden. Collabora con testate quali Rolling Stone, Il Fatto Quotidiano, Rumore. Ha scritto e tradotto diversi volumi di storia e critica musicale per case editrici come Giunti e Arcana.​