La geopolitica entra in azienda

Society 3.0


La geopolitica entra in azienda

Perché instabilità e conflitti preoccupano i capi d’azienda più di inflazione, volatilità dei prezzi dell’energia e delle risorse e tassi di interesse.

Oggi le informazioni preziose riguardano i rapporti con i paesi esteri e i conflitti tra di essi, perché modificano, e spesso rendono obsolete e fallaci le previsioni economiche che ogni impresa fa abitualmente.
Secondo un’analisi della società di consulenza McKinsey di marzo 2022, infatti, l’instabilità geopolitica e i conflitti sono al primo posto nelle preoccupazioni dei capi d’azienda e sorpassano quelle per l’inflazione, la volatilità dei prezzi dell’energia e delle risorse e i tassi di interesse.

Per scelta o per forza, quindi, oggi la geopolitica entra in azienda. E lo fa molto dolorosamente: riducendo le vendite, bloccando le forniture, rallentando la logistica e i trasporti, incrementando i prezzi e stralciando intere fette di mercato.

L’azienda ha quindi bisogno di prepararsi per il conflitto perpetuo, per quella piccola o grande dose di guerra costante e diffusa sul pianeta che può avere per oggetto o avere effetto su:

  • risorse energetiche;
  • risorse alimentari oppure idriche;
  • produttive, di terra o di mare;
  • o addirittura demografiche e riguardanti la forza lavoro (vedi alla voce migrazioni).

Ognuno di questi elementi è causa o conseguenza, ogni anno, di colpi di stato, violenze, improvvisi cambi di regime. E quando un paese cambia di mano, non si sa più:

  • a chi stringere la mano per propiziare (!) un contratto petrolifero;
  • chi contattare per firmare un contratto di costruzione di un’autostrada;
  • come raggiungere il responsabile del fondo sovrano che siede nel Cda della banca;
  • con chi parlare per garantire la piena sicurezza ai dipendenti fuori sede;
  • che fine hanno fatto le forniture di satelliti di controllo del territorio spediti mesi prima;
  • come recuperare crediti inesatti o pagamenti;
  • come rimborsare gli imprenditori che avevano impianti produttivi ora nazionalizzati.
  • Ognuna di queste eventualità è capitata proprio al nostro paese – negli ultimi 20 anni – ed ha avuto come oggetto i rapporti delle imprese con l’Egitto, la Libia, la Russia e l’Ucraina, la Cina, e molti altri…

Una nuova figura aziendale: il Chief Geopolitical Officer

Ridurre le incognite che riguardano l’economia e derivano però dalla politica (di altri paesi) è dunque una capacità molto richiesta. Ed è il motivo per cui – in Italia come all’estero – sono molto ricercate le competenze, le idee ed i pareri di persone come Ian Bremmer, Lucio Caracciolo, Dario Fabbri e anche Mark Lowe e Francesco Galietti.

Esperti di geopolitica, di politica estera e di rischi connessi ad altri paesi, sono infatti sempre più richiesti da imprese, organizzazioni ed associazioni di imprese, per mitigare le conseguenze di eventi avversi o cogliere le opportunità di eventi improvvisi.

Un’analisi sempre di McKinsey sul settore del tessile retail, ha calcolato che per la produzione e la commercializzazione di una semplice maglietta in cotone negli USA, i paesi coinvolti nella catena del valore sono 14 (Australia, Bangladesh, Brasile, Cambogia, Cina, Honduras, Hong Kong, India, Indonesia, Messico, Nicaragua, Pakistan, Sri Lanka, Vietnam).

Dunque, ogni settore ha un luogo – tra quelli con cui è connesso – che può diventare un punto di debolezza, trasformarsi in una causa di stop della produzione, di crescita dei prezzi, o di pericolo per le persone che vi si trovano a lavorare o di passaggio.
A meno che le catene globali del valore si riducano davvero da un mese all’altro, è molto probabile che la figura di un CGO – Chief Geopolitical Officer – diventi una delle nuove professionalità richieste dalle imprese.

Cresce il bisogno di informazioni di qualità

La politica degli altri paesi, i conflitti tra Stati e tutto il pacchetto di informazioni che ne derivano, continuano ad avere influenza su chi produce, distribuisce, vende, finanzia prodotti ed attività economiche.
Ogni impresa, anche la più piccola, per definizione è un’impresa globale ed ha ramificazioni internazionali grazie ai suoi rapporti di fornitura o di mercato. È quindi esposta ad influenze oltre-confine, che devono essere considerate, analizzate, e valutate nei contesti aziendali in cui si prendono decisioni e si scrivono strategie.
Per questo il chief geopolitical officer aiuterebbe il Ceo e l’imprenditore a farsi domande nuove, a immaginare l’inimmaginabile, ed anche comprendere al meglio il bisogno informativo relativo a quella fetta benché piccola di globalizzazione che lo riguarda.
In questo modo, per l’azienda, la geopolitica si trasformerebbe da esotico oggetto di studio, a elemento di previsione e di anticipazione, indispensabile a connettere le attività immateriali – decisionali e strategiche – con quelle materiali – produttive e organizzative – sul dove si fanno le cose.
La necessità crescente di adattarsi a paesaggi competitivi nuovi, ne fa oggi un elemento imprescindibile, che non dovrebbe più uscire di scena, soprattutto nei tempi apparentemente tranquilli.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).