Chi abiterà il mondo di domani?
Uno studio recentemente pubblicato nei Proceedings of the National Academy of Sciences, tra le più autorevoli pubblicazioni scientifiche statunitensi, ha previsto come cambieranno
Perché instabilità e conflitti preoccupano i capi d’azienda più di inflazione, volatilità dei prezzi dell’energia e delle risorse e tassi di interesse.
Oggi le informazioni preziose riguardano i rapporti con i paesi esteri e i conflitti tra di essi, perché modificano, e spesso rendono obsolete e fallaci le previsioni economiche che ogni impresa fa abitualmente.
Secondo un’analisi della società di consulenza McKinsey di marzo 2022, infatti, l’instabilità geopolitica e i conflitti sono al primo posto nelle preoccupazioni dei capi d’azienda e sorpassano quelle per l’inflazione, la volatilità dei prezzi dell’energia e delle risorse e i tassi di interesse.
Per scelta o per forza, quindi, oggi la geopolitica entra in azienda. E lo fa molto dolorosamente: riducendo le vendite, bloccando le forniture, rallentando la logistica e i trasporti, incrementando i prezzi e stralciando intere fette di mercato.
L’azienda ha quindi bisogno di prepararsi per il conflitto perpetuo, per quella piccola o grande dose di guerra costante e diffusa sul pianeta che può avere per oggetto o avere effetto su:
Ognuno di questi elementi è causa o conseguenza, ogni anno, di colpi di stato, violenze, improvvisi cambi di regime. E quando un paese cambia di mano, non si sa più:
Ridurre le incognite che riguardano l’economia e derivano però dalla politica (di altri paesi) è dunque una capacità molto richiesta. Ed è il motivo per cui – in Italia come all’estero – sono molto ricercate le competenze, le idee ed i pareri di persone come Ian Bremmer, Lucio Caracciolo, Dario Fabbri e anche Mark Lowe e Francesco Galietti.
Esperti di geopolitica, di politica estera e di rischi connessi ad altri paesi, sono infatti sempre più richiesti da imprese, organizzazioni ed associazioni di imprese, per mitigare le conseguenze di eventi avversi o cogliere le opportunità di eventi improvvisi.
Un’analisi sempre di McKinsey sul settore del tessile retail, ha calcolato che per la produzione e la commercializzazione di una semplice maglietta in cotone negli USA, i paesi coinvolti nella catena del valore sono 14 (Australia, Bangladesh, Brasile, Cambogia, Cina, Honduras, Hong Kong, India, Indonesia, Messico, Nicaragua, Pakistan, Sri Lanka, Vietnam).
Dunque, ogni settore ha un luogo – tra quelli con cui è connesso – che può diventare un punto di debolezza, trasformarsi in una causa di stop della produzione, di crescita dei prezzi, o di pericolo per le persone che vi si trovano a lavorare o di passaggio.
A meno che le catene globali del valore si riducano davvero da un mese all’altro, è molto probabile che la figura di un CGO – Chief Geopolitical Officer – diventi una delle nuove professionalità richieste dalle imprese.
Cresce il bisogno di informazioni di qualità
La politica degli altri paesi, i conflitti tra Stati e tutto il pacchetto di informazioni che ne derivano, continuano ad avere influenza su chi produce, distribuisce, vende, finanzia prodotti ed attività economiche.
Ogni impresa, anche la più piccola, per definizione è un’impresa globale ed ha ramificazioni internazionali grazie ai suoi rapporti di fornitura o di mercato. È quindi esposta ad influenze oltre-confine, che devono essere considerate, analizzate, e valutate nei contesti aziendali in cui si prendono decisioni e si scrivono strategie.
Per questo il chief geopolitical officer aiuterebbe il Ceo e l’imprenditore a farsi domande nuove, a immaginare l’inimmaginabile, ed anche comprendere al meglio il bisogno informativo relativo a quella fetta benché piccola di globalizzazione che lo riguarda.
In questo modo, per l’azienda, la geopolitica si trasformerebbe da esotico oggetto di studio, a elemento di previsione e di anticipazione, indispensabile a connettere le attività immateriali – decisionali e strategiche – con quelle materiali – produttive e organizzative – sul dove si fanno le cose.
La necessità crescente di adattarsi a paesaggi competitivi nuovi, ne fa oggi un elemento imprescindibile, che non dovrebbe più uscire di scena, soprattutto nei tempi apparentemente tranquilli.