Il lessico calcistico è più veloce della palla
Siamo al sesto minuto del secondo tempo supplementare della partita di calcio leggendaria per antonomasia: Italia-Germania, semifinale dei Mondiali messicani del 1970. I tedeschi h
Il selfie su Instagram ritrae un gruppo di amici in riva al mare: si abbracciano e sorridono, dopo una frugale colazione in un bar affollato, e una notte, chissà, in qualche discoteca o ristorante del litorale. Gli amici avranno soggiornato in albergo, oppure in qualche più conveniente home sharing della zona ed ora si apprestano a vivere la loro giornata al mare.
Tranquillità, sicurezza, fiducia, spensieratezza. Sono tanti i sentimenti associabili a quell’immagine. Sensazioni che oggi appaiono davvero lontane. Dopo la crisi legata al nuovo coronavirus, dopo il confinamento domiciliare, dopo il lockdown e le città deserte, torneremo a vivere quella sicurezza nel presente? Ritroveremo la leggerezza di quel “prendere e partire”? Insomma, torneremo a voler viaggiare?
«Probabilmente nel lungo periodo sì, l’istinto turistico è forte e rinasce. Ma sicuramente nei prossimi mesi no». Ce lo dice il professore Gabriele Menella, docente di Sociologia del Turismo all’Università di Bologna. «Anche quando le misure si allenteranno, nel breve e nel medio periodo il settore turistico andrà incontro ad un cambiamento radicale, con un’inevitabile crisi inziale dovuta alla paura e a un senso generalizzato di insicurezza». Il settore turistico, tra tutti i diversi comparti, è senza dubbio quello che maggiormente si fonda sulla fiducia. Da sempre le stagioni caratterizzate da alti indici di fiducia dei consumatori, sono quelle con il maggiore incremento dei flussi turistici. L’equazione è semplice: senza fiducia non si viaggia.
E allora nei prossimi mesi resteremo a casa in una sorta di confinamento volontario, aspettando un vaccino liberatore? Non proprio, almeno a sentire gli esperti. Il professore Arsenio Savelli è un sociologo, autore di Sociologia del Turismo, edito da Hoepli, uno dei più studiati manuali che indagano il comportamento alla base del consumo turistico. «La tendenza potrebbe essere quella di sfuggire dalle situazioni di massa e ritrovare la distanza – ha dichiarato Savelli a Changes – Nelle nostre vacanze cercheremo un modello diverso, basato sulla singolarità dell’esperienza, sceglieremo per spostarci mezzi privati, in un turismo di prossimità ce ci farà riscoprire i tesori delle nostre regioni e città». Una fuga dal turismo di massa, insomma, dopo una crisi che ha portato con sé una straordinaria dose di ansia da contatto fisico. «Quello a cui potremmo assistere nei prossimi mesi – sottolinea sempre il Prof. Savelli – è un’accentuazione di tendenze già presenti nell’evoluzione del turismo degli ultimi anni. Il passaggio dalla società industriale a postindustriale, infatti, è stato caratterizzato nel campo turistico da un abbandono delle esperienze di massa, che pur sopravvissute, sono state affiancate dallo sviluppo di un turismo soggettivo, legato alla propria cultura individuale e individualizzato».
Come in altri campi, anche in quello turistico, emergeranno movimenti sino ad oggi sottotraccia, destinati a incidere su un comparto che vale il 13% del PIL nazionale. Sono svariate le stime sul crollo dei fatturati, perdita di posti di lavoro e di quote di mercato, ma «a preoccupare oggi maggiormente è l’impossibilita di stimare il periodo di durata della crisi», come spiega a Changes Marina Lalli, vicepresidente di Federturismo. «A differenza del settore manifatturiero, che appena riparte ricomincia a produrre, noi quando riapriremo inizieremo solo a programmare la ripartenza». Un processo lungo, quello turistico, che sarà sicuramente investito da un cambiamento di regole e prassi: dalla ricezione, alla ristorazione, dalla fruizione culturale al mondo dei trasporti. «Noi siamo consapevoli che ci saranno delle regole da scrivere – ammette Marina Lalli – per questo vogliamo partecipare in prima persona alla loro redazione. Siamo noi in primis che vogliamo ripartire in sicurezza».
Nei prossimi mesi cambieranno le nostre abitudini, ci dicono da più parti. Viaggeremo con mezzi privati, evitando aeroporti e stazioni, dove gli stringenti controlli potrebbero scoraggiarne la frequentazione. E poi dovremmo abituarci (chissà per quanto tempo) a lunghe file, a musei con ingressi molto cadenzati, a mascherine sempre indossate forse anche in spiaggia e a ristoranti con tavoli distanziati e meno affollati (con il rischio che la diminuzione dei coperti faccia aumentare i prezzi). Un drastico cambiamento, insomma, vero discrimine con le crisi del passato.
«Rispetto al calo turistico causato dal terrorismo, per esempio, oggi la minaccia è più pervasiva – sottolinea il professore Savelli – Non c’è Parigi o Nizza, c’è il mondo percepito come tutto pericoloso. La minaccia è indefinita e riguarda tutto e tutti». Secondo un dossier dell’Organizzazione Mondiale del Turismo nel 2002, dopo gli attentati del World Trade Center a New York, il calo turistico fu del 2%, nel 2003, dopo l’epidemia di Sars dello 0,4%, mentre nel 2009, al culmine della crisi economica globale, il segno meno fu del 4%. Ed oggi? Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo la crisi da Covid-19 potrebbe avere un impatto globale sul turismo del 20-30%. Tutta un’altra storia.
Ma forse proprio da questo sommovimento può nascere anche qualcosa di innovativo e benefico. «La crisi economica del 2008 – conclude il Prof. Manella – favorì l’esplosione della sharing economy che andò incontro a budget economici ridotti mettendo in condivisione mezzi di trasporto e case, oggi potremmo assistere ad un turismo più responsabile e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, grazie alla maggiore percezione di sicurezza legata a questo turismo slow».
Tutto possibile, certo, ma anche tutto difficile da stimare. «Siamo imprenditori e siamo abituati a convivere con il rischio. Ma oggi – denuncia Marina Lalli di Federturismo – il nostro spaesamento sta proprio nel fatto che questo rischio è impossibile da determinare e prevedere». E convivere con qualcuno o qualcosa che non si conosce affatto non è mai troppo semplice.