La concorrenza dei non competitor

Society 3.0


La concorrenza dei non competitor

Se il digitale ha rotto ogni barriera di accesso al mercato, come è possibile individuare i propri concorrenti? I successi e i fallimenti recenti suggeriscono alle aziende di cambiare punto di osservazione: guardare settori e dimensioni diverse.

Se il digitale ha rotto ogni barriera di accesso al mercato, come è possibile individuare i propri concorrenti? I successi e i fallimenti recenti suggeriscono alle aziende di cambiare punto di osservazione: guardare settori e dimensioni diverse.

LE MINACCE OLTRE LA SIEPE

I recenti successi di molte aziende basate su web e digitale, a fianco dagli altrettanti insuccessi di molte imprese con modelli di business tradizionali, stanno disturbando o annullando la capacità di previsione di manager e imprenditori. Perché?

 “At our heart we’re a tech company; we hire engineers. We don’t hire reporters, no one’s a journalist, we don’t cover the news” ha detto pochi giorni fa la Chief Operation Officer di FacebookSherly Sandberg.

E cosa dovrebbero pensare gli editori, di fronte a un competitor dalle dimensioni di Facebook, e da cui passano ogni giorno tonnellate di informazioni, quando dice “noi siamo una azienda tecnologica”, rifiutando l’appellativo di editore?

Si potrebbe obiettare che prima gli editori producevano e distribuivano, ed oggi producono, mentre a distribuire sono le piattaforme come Facebook.

E cosa dovrebbero dire i produttori cinematografici di fronte ad aziende che non fanno cinema di mestiere, come Amazon e Netflix – a cui ora si aggiungeranno Facebook, Snapchat e Apple – eppure invadono il campo della produzione di contenuti?

Ad ognuna di queste aziende il digitale è stato utile in due modi: hanno realizzato prodotti innovativi, e non si sono fatte riconoscere.

I NON COMPETITORS

Se infatti il digitale elimina ogni siepe che delimita un business, allora le aziende che stanno dietro la siepe non sono visibili e riconoscibili. Ogni siepe è infatti costruita per proteggere e nascondere un modello di business, anche il più piccolo, e i suoi vantaggi competitivi.

Chi però nasce oggi, nel mondo del web, sa che le uniche attività che davvero meritano di essere difese e protette non sono il proprio modello di business, ma generalmente:

–    i propri dati (di vendita, di contabilità);

–    le informazioni dei propri clienti (le loro abitudini d’acquisto, i loro indirizzi email, i numeri delle loro carte di credito);

–    i propri brevetti.

A chi invece protegge o cerca di nascondere il proprio modo di fare business, in particolare a chi è nello stesso settore, manca una grossa fetta del paesaggio, perché la vista è ostacolata dalla siepe di casa propria: vede solo i concorrenti tradizionali, anche loro nascosti dietro la stessa barriera.

Mentre il mondo digitale porta altri concorrenti, i non competitor, che hanno una vista più aperta e proteggono solo le informazioni oggi preziose. Infatti, il più delle volte:

–    sono quelli che individuano per primi le asimmetrie informative dei mercati degli altri;

–    sanno quindi dove manchi qualcosa o dove ci sia qualcosa da sfruttare per “completare” l’offerta altrui;

–    provengono da settori “esterni” (più piccoli, diversi, o outsider) talvolta non ancora identificati;

–    conoscono molto bene clienti/utenti/consumatori e processi di mercati complementari e laterali (talmente bene da svolgerli meglio, utilizzando le proprie risorse o i propri sistemi);

–    hanno capacità e velocità di stravolgere modelli di business/strutture/mercati differenti.

Il motivo per cui poi fanno così male deriva da più fattori. Ma il più importante è proprio quello di non essere visibili. Essendo infatti provenienti da contesti così dissimili da quelli dei settori che naturalmente e normalmente preoccupano, non si è abituati a:

–    conoscere le loro caratteristiche, le loro attività e i loro prodotti;

–    riconoscere i segnali delle loro strategie e valutarne l’impatto sul proprio business;

–    proteggersi da loro e/o attaccarli in maniera efficace.

Dimensioni ridotte e forme diverse li rendono imprevedibili e consentono loro di guadagnare fette di mercato indisturbati, contando su un tempo medio molto utile in cui non sono né osservatiné ostacolati.

COME PROTEGGERSI

Tutti i grandi operatori di oggi, da Amazon, a Facebook, a Uber fino a eBay, sono stati piccoli, sconosciuti e innocui. E così hanno “rotto il mercato”, invadendo le siepi altrui da outsider. Aziende digitali sono diventate media company, giornali si sono tramutati in società che fanno eventi o business intelligence, società che fanno eventi che si sono trasformate in community che offrono servizi.

MPESA, per esempio, è un’azienda che consente piccoli scambi di denaro attraverso il telefono cellulare. È nata in Kenya, proprio dove i flussi di denaro nelle tasche dei giovani sono di cifre così limitate da rendere inutile il possesso di un conto bancario. Ed ecco il competitor (telefono) che invade la siepe della banca.

E non solo. L’azienda giapponese Nikon, da parte sua, sta pensando di chiudere la sua fabbrica cinese di macchine fotografiche economiche perché gli smartphone hanno in dotazione fotocamere digitali sempre più competitive per prezzi e qualità.

Allora da chi si devono guardare le aziende di oggi, e soprattutto dove devono guardare per prevedere un possibile attacco competitivo? Se la concorrenza e gli stimoli migliori arrivano da chi è fuori dal proprio settore e ha dimensioni ridotte, sarebbe utile, come ha elencato Boston Consulting Group:

–    cercare di soddisfare contemporaneamente più domande di mercato diverse, senza paura di restringersi;

–    tentare nuovi modi di ingaggio dei clienti, più vicini a quelli artigianali delle piccole aziende (eventi, esperienze dirette);

–    provare a pensare in piccolo, per essere vicini alla domanda dei consumatori;

–    prendere in prestito dalle piccole aziende la coordinazione, la capacità di focalizzazione sul cliente e su obiettivi specifici, la velocità, testando spesso servizi e prodotti nuovi, e realizzando frequenti prototipi.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).