La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
La formula giusta è un misto tra online e offline dove vita sociale e lavorativa procedono insieme. E tutto è a portata di passeggiata.
«Questo è il tempo dei più grandi cambiamenti urbani degli ultimi decenni. Molte città si sono ricostruite durante la pandemia, installando piste ciclabili o trasformando i parcheggi in terrazze per le caffetterie. Gli uffici si sono svuotati e i negozi sono stati chiusi, alcuni per sempre. La città, vecchia di diecimila anni, ovviamente non morirà, ma si evolverà velocemente. Lo sta già facendo. Ci vorrà tempo, ma è un percorso chiaro e realistico verso una città migliore: più verde, più economica, più felice, più sana, più equa e produttiva, meno inquinata ed elitaria». Il futuro negli spazi abitati è stato raccontato poche settimane fa da Simon Kuper sulle pagine del Financial Times. “Il percorso verso la città del dopo-COVID19″, il titolo scelto. Ovvero come un anno di pandemia ha messo a nudo i difetti delle nostre grandi metropoli e in fondo le nostre false consapevolezze, aggiungo io.
Così in un momento in cui si ragiona di ripartenza, seppure graduale e col rischio calcolato, proviamo a gettare il cuore oltre l’ostacolo e ad andare controcorrente, oltre la mera imminenza, ipotizzando ciò che potrebbe essere nel lungo termine. Ad offrici una visione prospettica ci aveva provato tre anni fa anche il Guardian, con un video cartoon intenso ed inquietante: la protagonista si chiama Alice, l’ultima lavoratrice in un mondo digitalizzato e robotizzato. Un’idea apocalittica, ma oggi anche molto lontana da quelli che sono gli scenari futuri. Perché la città del domani sarà molto simile a quella del passato, soltanto più sicura, più protetta, più pulita. E soprattutto più connessa. Già, la convivenza con le tecnologie sarà sempre più centrale. La parola chiave però è ibridazione, una formula mista tra online e offline per costruire una città ibrida. Una partita che si basa sul gioco di squadra e sulla capacità di ripensarsi. «In ogni crisi c’è la necessità di reinventare i rapporti tra individui, imprese e governi», ha scritto sul Washington Post, ripreso poi dal Sole24Ore, Alex Pentland, informatico e imprenditore seriale americano, docente all’MIT e autore del best seller “Building the new economy”.
Una riflessione che arriva a lambire anche gli spazi di lavoro, che si ripenseranno sempre nella logica di ibridazione. Anzi, lo stanno già facendo. «L’ufficio non sparirà, ma si restringerà. Rimarrà come centro di scambio e di idee. Le aziende ridurranno gli spazi e una gran parte dei lavoratori potrà godere dei due mondi: quello fisico e quello virtuale legato allo smartworking. In futuro, i lavoratori potranno venire una o due volte alla settimana per incontrare colleghi e clienti. Ciò consentirebbe alle aziende di ridimensionare o chiudere gli uffici: le riunioni settimanali dei team potrebbero essere tenute durante il brunch in un bar o in uno spazio in affitto. Alcune aziende potrebbero riunire il personale per un paio di giorni al mese in una casa di campagna o in un resort», precisa Kuper.
Molti abitanti delle città non possono lavorare per sempre nelle loro case, troppo piccole e poco luminose. Così Kuper ipotizza che si moltiplicheranno nuovamente gli spazi di coworking flessibili nelle principali strade delle città o dei sobborghi, generando un indotto per le periferie impensabile in passato. «Il sogno della classe media del Secondo Dopoguerra era una grande macchina fuori da una casa di periferia. Adesso si tratta di abitare in alloggi multifamiliari o di usufruire di buoni ristoranti in quartieri periferici», ricorda Kuper.
In città si è così abituati alle auto parcheggiate che raramente ci si rende conto di quanto spazio occupino. Nel prossimo futuro le città potrebbero convertire sempre più quegli spazi in parcheggi per biciclette o scooter elettrici. Perché le biciclette elettriche sono una soluzione incredibilmente pratica e completamente sottovalutata. D’altronde le e-bike hanno venduto più di cinque volte le auto elettriche in Europa nel 2019, l’anno prima della pandemia. Ecco allora la moltiplicazione delle cargo bike, che trasportano anche fino a decine di chili di merce. D’altronde questa è l’intuizione di Antonella Pesenti, mamma imprenditrice che a Milano ha deciso di aprire un atelier di cargo bike e di chiamarlo come sua figlia, Frida. Siamo in Ca’ Longa, cento metri quadrati nel cuore di Milano tra Cenisio e corso Sempione. Oggi Fridabike, navigabile online su Fridabike.com, è un laboratorio con spazio di esposizione dedicato esclusivamente alla vendita e al noleggio di cargo bike.
Infine la rivoluzione del commercio. Kuper ricorda che prima della pandemia le città avevano troppi negozi. Oggi molti stanno scomparendo, soprattutto grandi magazzini e quei punti vendita anonimi. I sopravvissuti diventeranno showroom con clienti fidelizzati ed integreranno le soluzioni di vendita e servizi digitalizzati. Le vetrine dei negozi in contesti centrali e ritenuti prestigiosi, come Oxford Street di Londra, potrebbero essere per brevi locazioni, con la moltiplicazione dei temporary shop. La riscossa dei piccoli sui grandi colossi, grazie all’alleanza con le tecnologie, verso un futuro sempre più ibrido.