Inno alla noia profonda

Society 3.0


Inno alla noia profonda

L’economia digitale accelera le nostre giornate e ci priva dei preziosi momenti di profondità in cui dar spazio alla creatività e ai pensieri alternativi. È possibile trovare una soluzione? Per capirlo ci servono un viaggio in Italia e poi uno in Germania.

Siamo nel 1789 e stiamo perdendo lo sguardo nella campagna romana all’ombra di un olmo. All’orizzonte abbiamo le rovine dell’Impero, un gregge di pecore, un capitello e qualche colonnato scardinato dal tempo. Di fianco a noi un signore tedesco di trentotto anni è in piedi e guarda attentamente l’uomo davanti a lui, sempre tedesco e vestito bianco panna, con un cappello antracite a falde larghe. È adagiato su una roccia e consegna il suo sguardo alla nostra destra.

È evidentemente immerso nella noia e cerca di rilassarsi, probabilmente in una delle tante pause di un lungo percorso, di quelli che han fatto molti intellettuali del tempo, nel loro Viaggio in Italia. Non a caso l’uomo in piedi si chiama Wilhelm Johann Heinrich Tischbein ed è un pittore così importante per l’Italia che nello stesso anno sarà nominato dal Re di Napoli rettore dell’Accademia di Belle Arti. Sta dipingendo un quadro che diventerà tra più famosi in Germania: è il ritratto di Johann Wolfgang von Goethe mentre è seduto e si annoia, da viandante, tra una escursione e l’altra. Si chiama proprio Goethe nella campagna romana.

Ma torniamo ad oggi. Riportiamo il nostro Goethe nella campagna romana, magari fuori da un’area di sosta del Grande Raccordo Anulare. Molto probabilmente lo troveremmo intento a prestare lo smartphone a un turista americano per farsi fare una foto. Non gli servirebbe un pittore ed amico come Tischbein per rappresentare il suo stato emotivo, e sicuramente non starebbe vivendo quel perder tempo così prezioso che è la noia, emozione respinta dall’animo di artisti e poeti, ma estremamente feconda per la loro produttività.

Pause da riempire

Il Goethe di oggi avrebbe quindi in mano uno smartphone o un tablet. Ma perché? Perché oggi ogni momento di pausa, ogni interstizio tra una cosa e l’altra, ogni infinitesimo spazietto che si mette tra le nostre attività quotidiane va cacciato, fuggito, e soprattutto riempito. L’idea di perder tempo e del vuoto che si genera quando accade è terribilmente in contrasto con l’odierno every-time, everything, everywhere. Fa a botte con la promessa di una vita intensa consegnataci in un pacco regalo dalle tecnologie dedicate all’informazione, e con l’inevitabile sindrome dell’agenda piena che ne è derivata.

Il vuoto fa dunque paura alla nostra vita mondana e va riempito in ogni modo; meglio se con i prodotti più famosi della Silicon Valley di oggi: i click, i like, le condivisioni e gli schermi video di cui ormai è piena la nostra giornata. Non è un caso se una delle infinite ricerche oggi accumulate sul tema – forse la più interessante – la cataloga tra le emozioni mondane (Mundane emotions: losing yourself in boredom, time and technology) e la associa inevitabilmente al tempo ed alle tecnologie. Un vuoto di pensieri e di azioni, di solitudine e di silenzio, di attesa ma anche di divagazione, di fantasticherie e di viaggi con l’immaginazione che non tutte le ricerche scientifiche inequivocabilmente descrivono come utile alla creatività.

Due tipi di noia

Ma quindi, l’odierna fuga dalla noia è davvero un danno e una perdita di qualcosa di prezioso per l’intelletto? Per capirlo meglio abbandoniamo la California degli algoritmi e dei social network e torniamo in Germania. È il filosofo tedesco Martin Heidegger ad aver ragionato di noia dividendola in due.

Vide una noia superficiale ed una noia profonda. E possiamo prendere in prestito questa suddivisione per capire cosa accada oggi. Viviamo una noia superficiale nei momenti vuoti e nelle pause brevi e frequenti, il cui senso è amplificato dal desiderio immediato e dalla proposta continua di essere sempre in connessione (tecnologica e sociale) con il mondo e gli altri.

Accelerazione e tempi stretti ci inducono a respingerla, ma la risposta tecnologica che ne ricaviamo è un’illusione di riempimento: finito il gesto supremo della noia odierna, lo skroll, torniamo alla realtà convincendoci di aver davvero perso tempo per nulla. C’è però anche una noia profonda, quella che probabilmente abbiamo visto nel quadro di Tischbein o possiamo trovare in uno qualsiasi del pittore americano Edward Hopper, e può portare i nostri pensieri altrove.

Qualcuno di noi l’ha forse provata durante i lock-down della recente pandemia. E sa bene quanto ci abbia fatto toccare un fondo esistenziale poi rivelatosi così prezioso per ritrovare senso, ristabilire priorità, ed orientare meglio idee ed energie.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).