Il lavoro è diventato liquido

Society 3.0


Il lavoro è diventato liquido

Leadership diffusa, percorsi di reverse mentoring, spazi flessibili. Le aziende cambiano con i Millennials. Che nel 2025 saranno il 75% della forza lavoro globale.

Leadership diffusa, percorsi di reverse mentoring, spazi flessibili. Le aziende cambiano con i Millennials. Che nel 2025 saranno il 75% della forza lavoro globale. Ecco il lavoro liquido.

Spesso vengono dipinti come apatici, distaccati, pigri, viziati e con poca voglia di lavorare, ma i Millennials, in realtà, hanno idee ed esigenze molto chiare a cui non intendono rinunciare, tanto che stanno lentamente rivoluzionando le organizzazioni aziendali. Anche perché, secondo le ultime statistiche, nel 2025 rappresenteranno il 75% della forza lavoro globale. L’avanzata di questo esercito però è già iniziata. Da Washington, infatti, il prestigioso think tank Pew Research Center racconta che in Usa nel 2015 la generazione Y ha già numericamente superato quella dei Baby Boomer. «Stiamo parlando di persone tra i 25 e i 33 anni che vivono i social network in maniera naturale e per le quali aggregarsi, imparare dagli altri, lavorare per progetti, avere un equilibrio tra lavoro e vita privata rappresenta una cosa naturale», ha detto Stefano Scabbio, Presidente per l’Europa Orientale e l’Area Mediterranea di ManpowerGroup, multinazionale delle risorse umane che ha da poco diffuso uno studio sui Millennials da cui emerge che hanno fiducia nel futuro anche se sanno di dover lavorare ben oltre i 65 anni e, in alcuni casi, fino alla morte. Adorano cambiare metodo di lavoro e se dovessero perdere il posto sono certi di riuscire a trovarne uno migliore in soli tre mesi. Tutt’altro che sfiduciata la nuova generazione di lavoratori ha un tasso di scolarizzazione e di esposizione agli stimoli molto elevato e una forte familiarità con tutto ciò che ruota attorno al concetto di digitale.
Una formazione che porta i Millennials ad avere un rapporto con il lavoro completamente diverso rispetto a quello delle generazioni precedenti. Per questo viene definito lavoro liquido. Per esempio, hanno un concetto di libertà e flessibilità molto più elevato, sono allergici allo spazio dell’ufficio classico e sono alla ricerca di occupazioni che consentano di lavorare anche dall’esterno supportati dalla tecnologia. Non sono ossessionati dal posto fisso, preferiscono parlare di “impiegabiltà”. Per questo aspirano a lavorare in organizzazioni che ne aumentino le competenze così da migliorare le possibilità di cambiare velocemente occupazione anche in contesti di mercato complessi. Come? Con percorsi di formazione tagliati su misura delle loro esigenze. E ancora: credono nel self management, che li porta a pensare di poter “risolvere da soli” i problemi. Non hanno fiducia nelle gerarchie, piuttosto in una organizzazione aziendale liquida. E il lavoro lo scelgono in linea con i propri interessi personali preferendo imprese che hanno un impatto positivo sulla società esterna.

Addio alle gerarchie: vincono le soluzioni flessibili​ nel lavoro liquido

Le idee sul lavoro liquido e sulla vita aziendale della generazione Y stanno spingendo molte società a cambiare organizzazione e struttura per rispondere al meglio alle loro esigenze. Gerarchie e vertici, per esempio, iniziano a essere sostiuite da impostazioni più fluide. Numerose sono già le aziende che hanno imboccato la strada dell’holacracy, in italiano olacrazia, una forma di organizzazione aziendale a cerchi dove tutti i dipendenti discutono e decidono alla pari. Lo schema di leadership diffusa brevettato negli Stati Uniti dall’imprenditore Brian Robertson, è stato adottato da 300 aziende in meno di 10 anni e sta facendo parlare di sé anche in Europa. Italia compresa, dove è già una realtà in due aziende: la Breton di Castello di Godego, nel trevigiano, società produttrice di macchine e impianti per la lavorazione della pietra naturale e alla Arca, multinazionale Usa che nel 2014 ha acquisito due aziende italiane specializzate nel trattamento di documenti e banconote nel mondo bancario con sede a Bollengo e Ivrea. Altre imprese invece, hanno preferito adattarsi in modo più soft ai bisogni dei Millennials, partendo dalla base, ovvero cercando di prevenire lo scontro generazionale tra junior e senior, che spesso sono i capi a cui la nuova generazione deve rendere conto. E lo hanno fatto attivando percorsi di reverse mentoring, programmi con cui si avvia uno scambio win-win tra vecchia e nuova generazione dove i senior, prevalentemente manager o quadri, ricchi di esperienza, impiegano qualche ora del loro tempo confrontandosi con le giovani generazioni, che da parte loro mettono a disposizione dei colleghi più maturi le competenze digitali, piuttosto che i segreti delle nuove tecnologie per gestire in modo innovativo servizi, progetti, produzione, organizzazione, comunicazione e promozione. Sollecitando così una collaborazione costruttiva che può far solo bene al futuro dell’azienda, senza contare che trattenere i giovani talenti sarà una delle sfide più grandi per le imprese nei prossimi anni. ​
«Le nuove generazioni, infatti, sono disposte a stare in una società fino a che danno e ricevono valore aggiunto», ha detto Gabriella Bagnato, Direttore del master Organizzazione personale dell’Università Bocconi. «Ma non esitano a transitare in un’altra organizzazione se ritengono che là possono fare un’esperienza più qualificante dal punto di vista professionale».


​​
La cultura orientata alla flessibilità dei Millennials, unita alle esigenze di mercato delle imprese moderne, sta influenzando anche il modo di concepire gli spazi ufficio che non sono più solo un luogo di business, ma anche di piacere. «È in atto un profondo cambiamento degli ambienti dedicati al lavoro», ha spiegato Marco Predari Presidente Assoufficio. «Oggi per le imprese è importante poter fornire un ambiente professionale gratificante in grado di rispondere a esigenze di comfort dei dipendenti e di adattarsi velocemente al cambiamento della funzione lavorativa». Spariscono gli spazi chiusi, si fanno largo quelli allargati, ma senza divisioni nette tra gli uni e gli altri. Un mix compositivo con aggregazioni di posti di lavoro singoli e di gruppo, aree dove concentrarsi, rilassarsi e quelle dove confrontarsi con il team di riferimento. La scrivania fissa, dunque, non esiste più. Gli spazi diventano a fisarmonica per dare vita ad aree riunioni per piccoli o grandi team di lavoro. Ma anche spazi per la ricreazione, il relax e il co-working. Ambienti che rispecchiano pienamente le esigenze di un capitale umano nomade, che può lavorare in ufficio come a casa o da qualsiasi altra parte nel mondo. La fissazione delle nuove generazioni per il benessere sta spingendo, inoltre, molte società a creare zone dedicate al benessere all’interno della propria sede. Questo non vuol dire solo palestre, ma anche postazioni ergonomiche con scrivanie regolabili in altezza che consentano di alternare la posizione seduta con quella in piedi, mense bio o che utilizzano prodotti a kilometro zero, aule dove tenere corsi di ballo, di yoga o discussioni su temi di interesse, piuttosto che attività di coaching. Per non parlare della diffusione di App come RescueTime, che monitorano lo schermo del dipendente e suggeriscono di prendersi una pausa, oppure Mappiness, capace di tracciare le emozioni. La rivoluzione è già iniziata, benvenuti nell’era del lavoro liquido.

Ho lavorato per 20 anni nelle redazioni di riviste economiche (Gente Money, Panorama Economy) e digitali (News 3.0). Dal 2015 sono freelance. I temi che riguardano il lavoro e il management sono rimasti la mia passione, anche ora che scrivo per l’Italia dal Mozambico. ​​​