Demografia: la sfida dell’invecchiamento e del declino delle nascite

L’Europa è il continente più vecchio sul pianeta, l’Italia è il Paese più vecchio nel continente più vecchio. Ancora pochi comprendono la reale portata della rivoluzione d
UNA DOMANDA ALL’IA - Sì, la stessa tecnologia che alimenta chatbot e automobili autonome sembra destinata a rivoluzionare anche la tassazione dei grandi patrimoni. Ma quanto è realistico?
La tecnologia è ormai parte della nostra vita quotidiana, e l’Intelligenza Artificiale sta entrando in ogni settore: dalla medicina all’energia, dall’arte all’istruzione. Ma può davvero intervenire anche nella tassazione dei grandi patrimoni? E, soprattutto, può rendere il sistema fiscale più giusto ed efficace? In questa puntata, proviamo a capirlo, con l’aiuto proprio dell’IA.
Negli ultimi mesi, l’Agenzia delle Entrate americana (IRS) ha fatto notizia per aver adottato strumenti di intelligenza artificiale per individuare strategie sofisticate di elusione fiscale. Il focus? I contribuenti che dichiarano oltre un milione di dollari e accumulano debiti superiori ai 250.000 dollari. L’obiettivo è usare l’IA per setacciare reti societarie complesse, transazioni opache e flussi finanziari globali, identificando con maggiore precisione chi potrebbe evadere il fisco.
Il primo test operativo riguarda 75 grandi partnership (tra hedge fund, società immobiliari e studi legali) con asset medi superiori ai 10 miliardi di dollari. Non si tratta di controlli “a tappeto”, ma di indagini mirate generate da modelli predittivi.
Anche in Europa l’intelligenza artificiale è già attiva in ambito fiscale. Francia, Malta, Italia e Irlanda stanno sperimentando algoritmi capaci di confrontare in tempo reale dati catastali, movimenti bancari, acquisti online e dichiarazioni fiscali. In Francia, per esempio, il 50% delle verifiche aziendali oggi nasce da un alert generato da un sistema IA.
Secondo una recente analisi di EY, queste tecnologie rappresentano un salto di paradigma: non si parla più di controlli casuali, ma di sistemi intelligenti che segnalano anomalie, incoerenze e pattern sospetti con un margine di errore sempre più basso.
Questa trasformazione introduce una discontinuità significativa nella storia della fiscalità moderna. Per la prima volta, l’efficacia della lotta all’evasione non dipende soltanto dalla volontà politica o dalla capacità degli ispettori, ma anche dalla potenza computazionale degli algoritmi.
Ciò ha conseguenze dirette su vari livelli.
Il tema si intreccia con molte delle sfide del nostro tempo. Sul fronte etico, la profilazione automatica dei contribuenti apre interrogativi importanti: quanto possiamo fidarci di algoritmi che analizzano comportamenti complessi come quelli finanziari? E chi garantisce che non ci siano distorsioni o bias nei modelli?
Dal punto di vista tecnologico, i Paesi si trovano a dover investire non solo in software ma anche in cultura dei dati e cybersecurity, per evitare che l’automazione si traduca in vulnerabilità.
C’è poi un tema geopolitico: l’IA fiscale potrebbe diventare una leva per armonizzare le politiche tributarie internazionali, o al contrario, per accentuare i conflitti tra Stati con sistemi normativi diversi. E infine, non va sottovalutato il costo ambientale: i sistemi di IA richiedono enormi quantità di energia e potenza di calcolo, aprendo un nuovo fronte di sostenibilità.
Come spesso accade con le innovazioni radicali, molto dipenderà da come verranno implementate. Proviamo a immaginare tre scenari.
L’intelligenza artificiale non risolve da sola il problema dell’evasione, ma cambia profondamente il modo in cui possiamo affrontarlo. Il vero tema non è se l’IA riuscirà a far pagare più tasse ai super-ricchi, ma come useremo questo strumento: per costruire un fisco più giusto, trasparente ed efficace – oppure per rafforzare diseguaglianze già esistenti.