Digital workplace: l’ufficio è ovunque

Society 3.0


Digital workplace: l’ufficio è ovunque

Workplace di Facebook, Asana, Wrike, sono tutte piattaforme che consentono di organizzare il lavoro del proprio team in digitale senza obbligo di presenza fisica in un luogo. E le aziende diventano meno gerarchiche e più veloci.

Workplace di Facebook, Asana, Wrike, sono tutte piattaforme che consentono di organizzare il lavoro del proprio team in digitale senza obbligo di presenza fisica in un luogo. E le aziende diventano meno gerarchiche e più veloci.

Siete stati assunti da poco e nel kit di benvenuto, oltre a comunicarvi valori, business, ruoli dell’azienda ecc…, avete ricevuto l’invito a usare Slack o Facebook Workplace. O magari in azienda lavorate da tempo e a un certo punto vi è stato detto di limitare le email, usare meno Power Point e di “trasferirvi” in piattaforme cloud dove incontrate le persone del vostro team o quelle con cui lavorerete su un determinato progetto. In qualunque situazione vi trovate, sappiate che siete tra i protagonisti di quel processo di cambiamento che sta investendo le aziende e le sta portando a un maggior impiego di nuove tecnologie e servizi digitali per migliorare l’efficienza operativa e la customer experience, innovare il prodotto e diversificare i modelli di business. Quella che viene chiamata “digital transformation” in cui rientra la digital collaboration che, come può intuire anche chi mastica poco l’inglese, non è altro che la collaborazione attivata tramite strumenti digitali.

Questo a volere sintetizzare perché la digital collaboration presuppone tantissimi cambiamenti, altrettanti processi e molti attori coinvolti. E tool che creano ambienti di lavoro non solo fisici, ma digitali, i cosiddetti digital workplace. «Indubbiamente», scrive Silvia Spattini nell’ebook La nuova grande trasformazione del lavoro, «il lavoro sarà sempre più condizionato dalla tecnologia. Sarà interconnesso, mobile, non più localizzato nello spazio (ufficio) e nel tempo (orario di lavoro fisso); la collaborazione tra colleghi avverrà attraverso la rete. L’organizzazione delle imprese sarà sempre meno gerarchica e sempre più snella, con maggiore responsabilità dei lavoratori con riferimento ad attività e processi».

I digital workplace: una necessità per le aziende

Ecco perché, come spiega Jennifer Colusso, project manager nell’ambito della digital transformation, «c’è una maggiore insistenza sui digital workplace che si stanno sostituendo alle intranet, limitate alle reti aziendali. Con team globalmente distribuiti e che si occupano di progetti via via diversi, il digital workplace è necessario. Risponde infatti alle esigenze di avere in unico posto la rubrica di tutti i colleghi, di far sì che le comunicazioni possano essere trasversali e fluide a più livelli tra singoli dipartimenti e anche tra singoli utenti, di avere persistenza di documenti e condivisioni, oltre che di gestire tutte le attività legate al delivery work quotidiano. Di strumenti ce ne sono tanti ed è difficile orientarsi, al momento vanno quelli in cloud, più semplici dal punto di vista della gestione tecnica e dei costi, ma che possono rispondere meno bene alle esigenze di customizzazione pertanto le grandi aziende che vogliono maggiore controllo e hanno delle farm interne possono preferire una versione ‘on premise’ con installazione del software su macchina locale». 

Asana e Trello

Ma di quali tool parliamo? Asana, Slack, Trello e Facebook Worplace sono tra i più noti. Asana è usato per il project management, per poter assegnare e calendarizzare i compiti, attivare discussioni sul singolo task e condividere informazioni e documenti. Perfetto per vedere se si rispetta la tabella di marcia, carente per le comunicazioni immediate – possibili solo messaggi privati e commenti sotto i task – pertanto richiede l’uso di una messaggistica istantanea a parte.

Trello è una piattaforma di task management con cui si possono suddividere le attività in “board”, lavagne. Ogni board può essere arricchita con scadenze, commenti, liste e avere chiaro, con tanto di faccina, chi eseguirà quel compito. Adatto per team editoriali ad alta produttività come Milano Weekend, testata online su news ed eventi a Milano e dintorni, che pubblica circa 180 notizie al mese. Associato a Drive e a Whatsapp Web, permette alla redazione di essere ‘in cloud’ ossia produrre contenuti online ma lavorare prevalentemente in remoto (si riunisce una volta al mese) con un coordinamento digitale totale e distintivo. A differenza di una redazione digitale dove si producono sì contenuti online, ma si lavora essenzialmente in ufficio e il coordinamento digitale è parziale e accessorio.

Ridurre mail e call con Slack

Slack ha 4 milioni di utenti attivi ogni giorno di cui uno pagante (tutte queste piattaforme sono freemium, ossia presuppongono servizi free e servizi a pagamento) e di recente è stato giudicato da Tech Crunch la migliore startup del 2016. Il segreto? Non essere un tool di project management, ma avere creato una chat evoluta e perfetta per il mondo business, organizzata con canali che indirizzano le conversazioni per progetti, con possibilità di taggare persone e assegnare loro task. Obiettivo dichiarato: ridurre la quantità di email di lavoro e portare tutte le comunicazioni in unico posto.

«Slack supporta la direzione che la nostra azienda sta prendendo: meno struttura verticale con comunicazione da manager a sottoposti e viceversa, ma più liquida in cui ci sono gruppi di lavoro legati a determinati argomenti e progetti» dice Andrea Saviane, country manager Italy di BlaBlaCar con sedi a Parigi, Milano e in altre città d’Europa oltre che a San Paolo. «Ci serviva uno strumento che, vista l’eterogeneità delle persone, ci aiutasse a creare gruppi di progetto facilmente. E le mail, con gli alias, non erano funzionali. Così come non lo sono Skype e Google Hangouts perché non permettono di creare canali con persone diverse, per progetto o team. Con Slack i canali sono molto flessibili: si possono impostare regole di notifica come quella di ricevere messaggi e aggiornamenti solo su un determinato argomento o di ricevere notifiche ogni volta che c’è la nuova versione di un report: Slack ha ridotto significativamente la quantità di mail che ora utilizziamo in contesti più formali. Il rapporto è di 7/8 a 1». Ridotte anche le call «sostituite dal thread (filo, ndr) delle discussioni che permette di risalire facilmente a ciò che viene detto sull’argomento. A mio avviso, più call si fanno più vuol dire che la comunicazione non va bene: troppe persone, si perde tempo e spesso non si riesce ad affrontare tutti i punti».

Facebook Workplace e il lato piacevole del business

Facebook Workplace funziona come il noto social network, ma declinato dal punto di vista professionale: bacheca con notizie aziendali, gruppi (aperti, chiusi, segreti, interaziendali) e Messenger. Per approfondire vi consigliamo questo articolo con video di Matteo Pogliani, ma intanto cerchiamo di capire perché le aziende lo scelgono.

«Abbiamo iniziato a fine ottobre, in quanto pa​rtner di Facebook»​ spiega Nereo Sciutto, presidente e cofounder di Webranking, media agency indipendente di web e search marketing, con sede a Correggio, uffici a Milano e Vancouver e a breve uno a Shangai. «Lo abbiamo scelto per far sentire le nostre persone più connesse e tenere in contatto sedi così diverse. Per noi la vicinanza tra i dipendenti è fondamentale, non solo per lavoro, ma anche per gli aspetti legati al leisure (tempo libero, ndr). All’interno del “nostro” Facebook coesistono, per esempio, gruppi in cui si parla di studi di mercato e new media e gruppi in cui si postano selfie o si organizza l’aperitivo del venerdì. L’aspetto piacevole è importante per noi tant’è che la nostra sede principale è all’interno di un’area che comprende un grande parco, piscina e palestra attrezzata. Inizialmente usavamo Slack ma non era trasversalmente distribuito in tutta l’azienda mentre Facebook Workplace ha dalla sua che, essendo conosciuto da tutti, la rampa di apprendimento è molto veloce. Mira a superare Slack con una creazione di gruppi più agevole e immediata per tutti e con Messenger si possono fare video e audio conferenze senza dovere per forza avere il numero di telefono. Inoltre, grazie alla timeline si riesce a trovare tutto in pochi minuti».

Anche questa versione punta sul mobile. «È con l’app che sfrutti a pieno il sistema delle notifiche ed essendo quella di Facebook, non c’è particolare resistenza a scaricarla. Per esempio, è grazie ad essa che due prime linee al momento in maternità si tengono aggiornate semplicemente navigando con il cellulare nei loro minuti liberi. Riescono così a restare in contatto su certe cose senza ricevere mail (che comunque visto il periodo tendiamo a non inviare). Segui infatti le persone che vuoi seguire e i cui contributi ti sembrano interessanti anche se non fai parte del team né dei loro progetti. L’azienda così impara più facilmente. Inoltre, l’analytics ti informa su quanta gente si è loggata, quante interazioni ci sono state, quanti post e permette di capire quanto lo strumento si è diffuso in azienda. Lato negativo: non consente l’archiviazione di documenti tramite tag perciò devi scorrere manualmente».

Indispensabile per “trattenere” i talenti

«Slack» aggiunge Saviane «è il modo migliore per lavorare con i talenti che non vogliono più sentirsi ingabbiati in ufficio. La nostra area sviluppo opera da diverse parti del mondo pertanto è assolutamente normale lavorare con un collega che non è vicino. Abbiamo delle persone che per impegni personali si sono trasferite in Nord America e, pur non avendo un ufficio lì, tutto funziona. Spostare la comunicazione sul digitale permette paradossalmente di vivere la propria vita non digitale».

Funziona solo se c’è collaborazione anche offline

Ma bastano questi tool ad attivare la digital collaboration? «No, sono come dei moltiplicatori a effetto: se l’azienda non ha collaborazione al suo interno, utilizzarli non l’aiuterà, anzi ne enfatizzerà il sentimento negativo», precisa Nereo Sciutto. «La nostra è un’azienda molto aperta: abbiamo tanti momenti in cui lavoriamo insieme e un pomeriggio alla settimana non ci dedichiamo ai clienti, ma alla formazione interna. Abbiamo costruito un ambiente organizzativo eccezionale per trattenere i talenti e avere un modello simile ci costa sicuramente il triplo, ma fa sì che ci sia l’humus giusto. Più che lo strumento, ci devono essere energia e coinvolgimento, dapprima con alcuni dipendenti che fanno da evangelist e che coinvolgeranno gli altri».

È invece più complicato con aziende non digitali e con un’organizzazione verticale: «Più le aziende sono tradizionali, più sono abituate a usare lo stesso strumento e fanno resistenza al cambiamento», precisa Jennifer Colusso, «anche quando è evidente che spostare certe cose sul digitale può fare risparmiare tempo e ridurre, per esempio, lunghi processi di approvazione che formano colli di bottiglia. L’adozione di sistemi simili non è semplice neanche in termini di governance perché è necessaria la partecipazione trasversale di più reparti: risorse umane (si tratta di dipendenti), tecnico, comunicazione interna, marketing e digital (ufficio che di fatto segue queste cose), anche se poi dipende dal tipo di azienda. Per l’adozione e la diffusione, svolgono un ruolo fondamentale sia gli AD che i manager: devono essere i primi a usarli. E quando si mettono in moto progetti complessi, è necessario iniziare con una serie di interviste a manager e figure chiave per capire qual è la loro visione del futuro. Se un manager vuole che i suoi dipendenti accedano alle informazioni ovunque si trovino, va da sé che sarà importante utilizzare un’app e declinare il tutto dal punto di vista mobile».

E quando il processo di digital collaboration è concluso? «Non si può dire davvero, c’è una fase di partenza in cui si fissano obiettivi concreti e misurabili come ridurre del 50% la circolazione delle mail. Ci sono poi dei KPI intermedi in cui ci si rende conto che un tool è diventato di riferimento per l’azienda, ma il processo di digital collaboration, una volta innescato, va avanti all’infinito perché cambiano i lavoratori, cambiano gli strumenti e cambiano le tecnologie».

E di strada da fare ce n’è se, come emerge dallo studio di Avanade del 2015, l’84% degli intervistati ritiene che bastino una piattaforma e-mail e social media per avere un digital workplace. Come sempre: la trasformazione prima di essere digitale, deve essere culturale.


Milanese, laureato in Economia e commercio alla Università Cattolica del Sacro Cuore, è giornalista del quotidiano ItaliaOggi, co-fondatore di MarketingOggi, esperto di storia ed economia dei media, docente di comunicazione ed economia dei media per oltre 10 anni allo IED di Milano.