Cosa è cambiato da stay foolish a be curious

Society 3.0


Cosa è cambiato da stay foolish a be curious

Da Steve Jobs a Jeff Bezos: come trovare il proprio spazio, il proprio senso della posizione, così che la mappa di sé diventi mappa della realtà che si vuole cambiare profondamente.

Sono passate poche settimane da quando Jeff Bezos, uno degli uomini più ricchi del pianeta, ha comunicato la decisione di lasciare il posto di amministratore delegato ad Amazon, azienda dominatrice del mercato mondiale che lui stesso fondò 27 anni fa a Seattle. Di acqua sotto i garage, da allora, ne è passata tanta, ma qui ci interessa spendere qualche parola sulle parole con cui Bezos ha salutato ufficialmente in una lettera i più di1.3 milioni di dipendenti della sua azienda: “Let your curiosity be your compass“.

Fate della curiosità il perno delle vostre vite. Jeff sicuramente lo potrà fare, perché da adesso in Amazon si dedicherà a un ruolo più strategico e, invece, spenderà più tempo per le iniziative filantropiche che, ad esempio, Bill Gates porta avanti già da anni con grande successo.

Ma sono certo che un’eco, nel leggere queste parole, è risuonata nei cuori di tanti, riportando i ricordi a un altro momento topico del mondo dell’innovazione: era il 1995 e Steve Jobs concludeva la sua prolusione davanti agli studenti di Stanford con il celebre motto “Stay hungry, stay foolish“.

Siate affamati, e qui c’è rima baciata con la curiosità. E restate folli.  Sul foolish, a dire il vero, per anni si è dibattuto se dargli l’interpretazione di ingenuità del poeta o di follia ribelle, ma la consonanza con il messaggio di Bezos arriva, semmai, da un altro punto del discorso di Jobs.

Quando, cioè, afferma che nel tempo limitato di una vita umana è necessario connettere i puntini, in modo che nel futuro restituiscano la figura che in qualche modo si stavano preparando a disegnare.

Connettere i puntini, usare il compasso della curiosità…

Quando uno slogan si fa geometria, è il segno soddisfatto dell’uomo che fa ordine dopo una vita di soddisfazioni. Jobs e Bezos, in modo radicalmente diverso, hanno saputo trovare sé stessi e la propria posizione nell’universo.

Mapparsi nell’incerto e confuso guazzabuglio di istinti e di idee che è la vita.  Il genio forse è proprio questo: trovare il proprio spazio, il proprio senso della posizione, così che la mappa di sé diventi mappa della realtà che si vuole cambiare profondamente.

Ed è allora che, guardandoti indietro, puoi dire come Faust: “Fermerei l’attimo”. È il cerchio del compasso curioso che si chiude per aprirsi a nuovi orizzonti.  È il quadrato di Flatlandia che, dopo avere visto dall’alto il mondo monodimensionale del punto che se la canta e se la suona, si eleva alla tridimensionalità della sfera che gli rivela la verità.

Quel che resta dei tre decenni di Bezos alla guida di Amazon, oltre alla curiosità intrinseca di un uomo che si spinge sempre verso la novità, è forse riassumibile in due altri punti che, in parte, lo distanziano da Jobs significativamente.

Il primo è la scelta delle persone con cui collaborare: è diventato celebre grazie a Netflix, ma la talent density è la filosofia che ispira le assunzioni in Amazon. Circondati di persone cui insegnare, sì, ma anche dai quali apprendere. Solo una squadra di eccellenze fa da terreno fertile per la curiosità. Il secondo, invece, concerne l’attitudine verso il rischio, meno erratica di Jobs, e più razionale.

Fare grandi scommesse, inso​mma, anche azzardate, ma senza mai mettere a repentaglio l’intero business. Il capolavoro di Bezos sta probabilmente in queste semplici (da raccontarsi, mica da mettere in pratica) pillole manageriali. E nella tenacia disumana di credere molto al proprio sogno sapendo anche quando cambiare strada, con la bussola della curiosità a segnare la rotta.​

​Laurea e PhD in Economia, si occupa di economia sperimentale, di qualità della vita e felicità. Collabora con diverse testate di divulgazione scientifica come lavoce.info, Gli Stati Generali, Infodatablog, Il Sole 24 Ore e ha una passione per la comunicazione scientifica in ambito economico. Responsabile scientifico del progetto AppyMeteo insieme ad Andrea Biancini, insegna economia sperimentale alla Scuola Enrico Mattei e collabora con diverse università. È​ iProf di Economia della felicità su Oilproject.​