Disabili: più inclusione con la carta europea

Nell’Unione Europea sono oltre 30 milioni le persone con una condizione di disabilità riconosciuta, ma secondo i dati Eurostat del 2023, il numero reale potrebbe superare i
C’è un nuovo fenomeno che si sta diffondendo come ennesima conseguenza negativa dell’utilizzo eccessivo e talora patologico dello smartphone che caratterizza questi nostri tempi. Cos’è e come funziona.
Il suo nome è doom shopping, o doom spending. Si può tradurre come fare shopping, o spendere, come reazione alla catastrofe imminente. Ancora più sinteticamente: “acquisto catastrofico” o “spesa catastrofica”. Dove la catastrofe è rappresentata dalla policrisi, l’insieme delle tante crisi in cui siamo purtroppo contemporaneamente immersi a livello globale: quella climatica, quella ecologica, le guerre alimentate dalla narrazione bellicista che ne prefigura sempre di più in futuro, la crescita delle disuguaglianze socio-economiche, con il boom dei super-ricchi da una parte e dall’altra quote crescenti di popolazione che si trovano a combattere ogni giorno con l’aumento del costo della vita e il lavoro sempre più precario. Per non dire degli strascichi della pandemia Covid-19, il cui impatto chissà quando abbandonerà le profondità del nostro inconscio collettivo: di doom shopping, del resto, si è cominciato a parlare proprio durante l’emergenza pandemica, quando costretti fra i quattro muri di casa il tempo disponibile si è espanso a dismisura insieme all’ansia per l’immediato futuro.
Il meccanismo alla base del fenomeno presenta forti assonanze col carpe diem dei latini, o col chi vuol esser lieto sia, di doman non v’è certezza di Lorenzo de’ Medici, rivisti in salsa moderna e ipertecnologica. Funziona così: le crisi ci stanno già colpendo duramente. Senza cambiamenti radicali, che non sono alle viste, è molto probabile che peggiorino. Per cui non si può che prevedere un futuro anche più nero del presente: alla “Don’t look up”, per intendersi, il film interpretato da Leonardo Di Caprio in cui alla fine il meteorite si schianta sulla Terra scatenando l’apocalisse, come previsto dagli scienziati.
Come biasimare, allora, chi non riesce a non cadere nel doomism, nel catastrofismo più acuto? Cosa che accade con frequenza soprattutto ai più giovani, specie quando passano ore e ore, magari perdendo il sonno, a cercare, leggere e rileggere notizie una peggiore dell’altra “scrollando” (cioè facendo scorrere compulsivamente) lo schermo del cellulare, con quel doom scrolling (neologismo già intercettato dalla Treccani) che finisce fatalmente per aumentare ansia e angoscia. Con cui in qualche modo bisogna fare i conti se si vuole andare avanti.
Prendendo allora una parte di doom scrolling, una parte di angoscia da catastrofe imminente, e shakerandole con una parte di spinta all’acquisto d’impulso online – a cui oggi siamo esposti H24, visto che ormai con un clic si può acquistare praticamente qualsiasi cosa e la si può ricevere a casa in tempi strettissimi, per non dire all’istante quando basta un download per averla -, ecco servito il micidiale cocktail del doom shopping. Dove cliccando e acquistando si crede di fare qualcosa per il proprio benessere psicofisico. Di recuperare un minimo di controllo, e di piacere, da una realtà che sembra andare a rotoli e di fronte alla quale ci sentiamo impotenti. Il doom shopping diventa così una fuga alla ricerca di un po’ di dopamina per lenire lo stress. Una gratificazione personale immediata, che appare come ancora più appagante quando si pensa di essersi imbattuti in offerte super-scontate irripetibili che o si colgono al volo, o nel giro di pochi minuti si teme spariranno per sempre.
Secondo una ricerca condotta negli Stati Uniti a fine 2023 da Qualtrics, per far fronte allo stress derivante in particolare dalla situazione economica oltre un quarto degli americani (27%) ricorre al doom spending. La percentuale è ancora più altra fra le generazioni più giovani: 35% per la generazione Z (i nati tra la seconda metà degli anni ‘90 del secolo scorso e la prima metà degli anni ‘10 del 2000, ad esempio dell’età di Greta Thunberg), 43% per i Millennial (nati tra anni ‘80 e fine XX secolo). Un’altra ricerca condotta ancora negli Usa da Simon-Kucher sugli acquisti nelle feste natalizie di fine 20204, ha rilevato un boom degli acquisti soprattutto in capo ancora alla generazione Z, che ha dichiarato intenzioni di spesa di oltre il 20% superiori in confronto all’anno precedente (prevalentemente per prodotti di bellezza e cura personale, accessori di moda, cibo e oggetti per animali domestici, viaggi ed esperienze, libri e riviste): il 5% in più dei Millennial e circa quattro volte tanto rispetto alla generazione X (nati tra 1965 e 1980).
La ricerca ha definito appunto questa tendenza come doom spending, motivandola anche col fatto che questa generazione, cresciuta intorno agli anni della grande crisi economico-finanziaria del 2007-08 e a quelli dei suoi contraccolpi, è stata continuamente esposta per non dire bombardata da notizie negative da cui non sapeva e forse non poteva proteggersi, con internet e soprattutto social media che proprio in quegli anni diventavano pervasivi. Una generazione che sente di avere un futuro molto a rischio. Ed è molto incerta sul fatto che in età adulta potrà permettersi ciò che le generazioni immediatamente precedenti invece hanno potuto: un lavoro che dia da vivere, una casa, una famiglia, un certo benessere. Da qui la scelta di gratificazioni che nascono e muoiono nel presente e in un certo senso esorcizzano quel futuro.
Sviluppare una dipendenza dal doom shopping, come per tutte le dipendenze, ovviamente non è sano. Limitando la riflessione alla dimensione economico-finanziaria, ciò può addirittura far aumentare quello stress che promette o, meglio, illude di allentare momentaneamente, solo che per rendersene conto occorre un briciolo di consapevolezza che invece nei momenti di maggiore sconforto facilmente manca. Spendendo in modo sconsiderato per beni generalmente superflui, infatti, si incide ovviamente sui risparmi e comunque sulla capacità di spesa futura per beni di prima necessità, per cui l’ansia per il futuro è destinata ad aumentare: il classico cane che si morde la coda, insomma.
Anche per questo chi si è esercitato a cercare risposte ai problemi posti dal doom shopping si è spesso concentrato sulla necessità di far comprendere l’importanza di pianificare, o quanto meno cercare di prevedere, le proprie esigenze economico-finanziarie del futuro. Per cui si consiglia di fissare un budget di spesa da non superare, di individuare precisi obiettivi finanziari da conseguire o comunque, se davvero si teme la policrisi, di allenarsi piuttosto a fare doom saving, cioè a risparmiare invece che spendere in previsione di tempi bui.
Allargando lo sguardo oltre economia e finanza, c’è chi invece consiglia prima di tutto di modificare l’uso dello smartphone e il tempo che vi si dedica, cum grano salis: ad esempio, spegnerlo a una certa ora per neutralizzare il rischio di fare scrolling tutta la notte. Poi, sconnettersi da internet e social media ogni volta che è possibile e riconnettersi, stavolta fisicamente, con le persone e con la natura, riscoprendo un modo di relazionarsi che fino a non molti anni fa era sempre stato la norma. C’è anche chi consiglia di lenire lo stress con altre attività che non necessariamente comportino esborsi monetari, in altre parole – udite udite – la gratuità. E poi c’è chi invita a immaginare come si sarà fra cinque, dieci o vent’anni, al di là di ogni catastrofismo anche giustificato: pensare che a quel tempo ci saremo ancora, infatti, già di per sé vuol dire avere fiducia che la catastrofe non avrà ancora avuto l’ultima parola.