La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Chief Digital Officer e Data scientist sono le figure più ricercate per guidare la digital transformation. Ma non sono ancora stati formati dagli atenei. Occorre investire sulla formazione delle risorse interne e su partnership scuola e impresa.
«La tecnologia è dominata da due tipi di persone: quelli che capiscono ciò che non dirigono e quelli che dirigono ciò che non capiscono». Si chiama legge di Putt ed è stata scritta da Arthur Bloch, autore e umorista statunitense padre della più famosa Legge di Murphy. Sintetica e incisiva, descrive con leggerezza la situazione che oggi si vive nelle aziende made in Italy, dove in questi anni l’Information technology ha fatto passi da gigante ma non altrettanto hanno saputo fare i manager che dovrebbero gestirla e governarla per traghettare le imprese nel futuro. Già perché la tecnologia è diventata un tassello strategico fondamentale per mantenere alta la competitività delle imprese chiamate a sfornare nuovi prodotti con ritmi sempre più veloci e a costi sempre più contenuti. Ma per guidare il cambiamento servono professionisti in grado di interpretare le nuove opportunità di business e agire di conseguenza. Così si è aperta la caccia alle digital capability anche nel gruppo Unipol come dimostrano gli ultimi annunci di lavoro che ricercano figure specializzate a gestire l’evoluzione verso l’Internet of things anche in campo assicurativo.
A confermare la scarsità di risorse sul mercato è l’ultima ricerca condotta dall’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, secondo la quale le organizzazioni già dal 2015 hanno registrato difficoltà a reperire figure come l’ eCRM & Profiling Manager, Digital Marketing Manager, Chief Innovation Officer. «Sia ben chiaro, non è che non ci siano bravi manager It sul mercato», afferma senza esitazione Patrizia Fontana, partner di Carter& Benson, società internazionale di Executive Search. «È che sono troppo pochi rispetto alla domanda del mercato e poi c’è da dire che oggi le imprese vogliono professionisti debitamente preparati, con una managerialità a tutto tondo ovvero con buone skill tecniche, manageriali e capacità di visione. E scarseggiano. Molto».
Il trend è destinato a durare ancora qualche anno visto che i profili senior di 35-40 anni usciti dall’ Università 10-15 anni fa, quando l’impatto dell’It sul mondo aziendale non era ancora così invasivo, «non hanno le competenze giuste per gestire l’evoluzione digitale che sta travolgendo le nostre organizzazioni», incalza Francesca Contardi, managing director di EasyHunters, società di ricerca e selezione di personale qualificato e di quadri e dirigenti. «Questo significa che dobbiamo aspettare magari anche altri 10 anni prima di avere a disposizione personale con le skill adeguate a rispondere alle esigenze sul mercato moderno». Un problema che affligge la maggior parte dei paesi Europei, ad eccezione di Germania e Regno Unito, dove per tradizione gli studi tecnici e informatici sono da sempre più sviluppati. «Oggi anche in Italia c’è un orientamento maggiore verso lo studio di materie scientifiche e tecniche e anche le iscrizioni ai corsi universitari di Ingegneria, Statistica, Informatica sono aumentate, ma dobbiamo dare il tempo ai ragazzi di prepararsi e di crescere», aggiunge Contardi.
Tra tutte le figure digital, la più introvabile è il Chief Digital Officer, seguito dal Chief Innovation Officer (It manager). «Due ruoli fondamentali per la crescita delle imprese contemporanee», precisa Fontana. «Il primo infatti è un membro dell’esecutivo che affianca l’amministratore delegato e sovraintende alle strategie digitali della società guidandone la crescita. Il secondo, invece, ha il compito di comprendere i processi di cambiamento e organizzare l’impresa per poterli anticipare. Una figura quest’ultima, a dire il vero ancora poco diffusa in Italia e non solo tra le Pmi, dove troppo spesso l’innovazione continua a essere legata a doppio filo al settore della Ricerca & Sviluppo». Introvabili anche i Cyber Security manager, «professionisti destinati a essere sempre più ricercati sul mercato», aggiunge Contardi. «Perché la necessità di proteggere i nostri conti correnti, piuttosto che i nostri dati personali sul web sarà pressante nei prossimi anni e a oggi le competenze in questo ambito in Italia sono veramente poche». Così come scarseggiano quelle in grado di progettare e gestire la digital transformation delle aziende. «Che variano a seconda della necessità delle singole aziende e dei loro obiettivi di crescita», sottolinea Contardi per la quale oggi le imprese hanno sete anche di Data scientist, scienziati capaci di leggere i trend socio-culturali, individuare, aggregare ed elaborare fonti di dati, interpretare le informazioni raccolte e darne una traduzione a livello di impatti di business. «Oggi sul mercato ci sono troppi dati che le aziende non sono in grado di leggere e di tradurre in azioni strategiche mirate per anticipare i nuovi trend di mercato e il conseguente lancio di prodotti in grado di soddisfarli», prosegue Contardi.
In tempi di globalizzazione, però, la velocità d’azione è tutto e nell’attesa che dalle università escano i manager It di nuova generazione, le aziende più evolute hanno deciso di reperire i profili di cui hanno bisogno ricorrendo allo sviluppo interno. Come? «Individuando tra le risorse umane in organigramma quelle con maggior potenziale che, se adeguatamente formate, possono assumere le conoscenze tecniche necessarie per rispondere agli obiettivi di business», dice Fontana. Una operazione che gli esperti in training chiamano Re-skilling (riorientare) o Up-skilling (potenziare). «Ma le aziende che si muovono in questa direzione sono ancora troppo poche perché è un intervento che richiede prima di tutto mirati investimenti in formazione e poi tempo visto che, come prima cosa, occorre fare una mappatura della popolazione aziendale per individuare le risorse con potenziale», avverte Contardi. «Fra poco, però, le imprese saranno costrette a imboccare questa strada se non vogliono perdere terreno sul delicato fronte della competitività», chiosa l’head hunter.
Accanto alla formazione continua in azienda serve un patto per i giovani che si stanno affacciando al mondo del lavoro dopo un percorso universitario. A questo obiettivo punta, per esempio, The European Pact for Youth, l’impegno sottoscritto a fine 2015 da CSR Europe e dalla Commissione Europea che ha come obiettivo lo sviluppo di almeno 10 mila partnership tra impresa e sistema educativo come approccio distintivo per rafforzare l’occupabilità dei giovani, favorendo lo sviluppo di competenze digitali, imprenditoriali, nel mondo della green economy e i cosiddetti soft skills (it manager).
Impronta Etica e Sodalitas, le due organizzazioni partner di CSR Europe, insieme al MIUR e al Ministero del Lavoro, guidano la messa a punto del Piano di Azione Italiano 2017 che può già contare sul supporto di una Rete di Promotori. Tra le Imprese aderenti si segnalano IMA (tra le prime ad aver sottoscritto il Patto a livello europeo), CAMST, Granarolo, Gruppo Hera, Gruppo Unipol. L’impegno di Unipol per i giovani nel corso del 2017 si concretizza anche con una serie di bandi per l’attivazione di 50 tirocini curriculari nelle sedi del Gruppo di Bologna, Firenze, Genova, Milano, Roma, Torino, e Verona. Il primo bando si è aperto il 20 febbraio 2017 e la chiusura dell’invio delle candidature è prevista il 10 marzo 2017 per dare spazio allo svolgimento del tirocinio da aprile 2017 a luglio 2017. Il secondo bando si aprirà il 15 giugno 2017 fino al 14 luglio 2017 con le medesime modalità di invio candidatura con il tirocinio previsto tra ottobre e dicembre 2017.