Caro e prezioso de-risking

Society 3.0


Caro e prezioso de-risking

In tempi di globalizzazione le azioni utili a non rompere col nemico ma contenerlo esistono, ma sono tutte costose.

Da quando c’è la globalizzazione si è scoperto che con certi nemici non puoi rompere completamente. È molto meglio contenerne l’ascesa, anche se ad un prezzo molto elevato, benché inferiore a quello di una netta rottura.
È il caso della Cina, da cui l’Occidente, dal Covid19 in poi, ha scoperto di non essere autonomo dal punto di vista economico ed industriale. Anzi, negli anni di pandemia e di scarsità di prodotti e materie prime ha compreso tutta la propria pericolosa vulnerabilità.

Vulnerabilità pericolosa

In The Titanium Economy (How industrial technology can create a better, faster, stronger America, Hachette Book Group2022), tre noti manager di estrazione McKinsey – Asutosh Padhi, Gaurava Batra e Nick Santhanam – scrivono proprio che «gli Stati Uniti sono in una corsa con molti Paesi per vincere nello spazio industriale. La Cina, di conseguenza, investe fino a 200 volte il livello dei finanziamenti statunitensi per fornire sovvenzioni e supporto a una vasta ed emergente rete di centri di ricerca».

La vulnerabilità occidentale sviluppatasi fino ad oggi è infatti a largo spettro, e riguarda:

  • la disponibilità di prodotti, materie prime ed energia;
  • la capacità di produzione industriale e distribuzione;
  • la presenza sul suolo patrio di infrastrutture economiche strategiche;
  • la capacità di creare, produrre ed assemblare tecnologie.

Fidati, ma controlla

Fatto sta che negli ultimi quindici anni, per molti paesi occidentali si sono formate alcune linee di faglia geopolitiche con conseguenze tutte economiche, cherendono ben evidente questa nuova vulnerabilità:

  • dal Covid19 appunto, è emersa la dipendenza dalla produzione cinese;
  • dal conflitto russo-ucraino il bisogno di energia, fertilizzanti e grano dall’area caucasica;
  • dalle frizioni nel Mar Cinese Meridionale il predominio asiatico (Taiwan) di semiconduttori, microchip e tecnologia;
  • e ne sorgeranno sicuramente altre negli anni a venire…

Si è dunque preso il corso florido della globalizzazione economica solo per il lato positivo, dimenticando il proverbio suggerito dalla studiosa di Russia Suzanne Massie al presidente Ronald Reagan quando era in ballo la riduzione dello sviluppo nucleare sovietico: «Доверяй, но проверяй», ovvero «doveryay, no proveryay», che sta «per fidati, ma controlla».

Militarizzazione

E quale fiducia s’è data, senza controllare? Si è permesso lo sviluppo cinese e di tutti quei paesi che hanno compreso di poter utilizzare la globalizzazione non (solo) per arricchirsi, ma per aumentare la propria influenza sugli altri. La ricchezza è stata così trasformata in potenza politica, in forza militare. Tanto che proprio oggi si parla di weaponization, di militarizzazione dell’economia e di tutti i suoi elementi, come i capitali ed i prodotti, i servizi ed il capitale umano.

Contenimento economico

C’è anche un elemento importante a confermare questa torsione dell’economia che diventa arma politica. È aumentato il ricorso ad armi di contenimento economico, in luogo di quello militare.

Questo contenimento economico si esprime oggi con:

  • sanzioni ed embarghi;
  • limitazioni a viaggi e trasporti;
  • congelamento di beni finanziari e restrizioni al commercio ed agli investimenti.

Gli Stati Uniti ne stanno applicando attivamente 35 a paesi come Iran, Russia, Cuba, Corea del Nord, e Venezuela. E l’Unione Europea a Russia, Bielorussia, Iran, Corea del Nord, Siria…

De-coupling impossibile

Ci sono, però, Paesi con cui è impossibile applicare un contenimento economico netto (chiamato qualche anno fa de-coupling) fatto di un insieme compatto di sanzioni e blocchi, tariffe globali restrittive e limitazioni rigide. Con la Cina, difatti, è pressoché impossibile farlo per le ragioni ben elencate dall’economista Agathe Demarais:

  • è un’economia troppo grande;
  • si frammenterebbe il paesaggio economico globale;
  • si ridurrebbe la capacità di leva economica americana proprio sulla Cina.

Per questo la scelta è virata sul de-risking, una versione del de-coupling molto più morbida, che dimostra come la politica oggi debba, in certi casi, scendere forzatamente a patti con l’economia.

I princìpi del de-coupling

I principi dell’azione di de-coupling sono guidati da due obiettivi: limitare l’avanzamento cinese in alcune specifiche aree produttive, tecnologiche e militari e allo stesso tempo conservare o aumentare lo sviluppo occidentale (che si traduce in americano) nei medesimi campi.

Azioni

Ed ecco finalmente le azioni con cui praticarlo:

  • la riduzione di rapporti economici per alcuni prodotti o tecnologie con l’idea di evitare dipendenza oppure offrire un vantaggio all’avversario;
  • il controllo costante dello sviluppo altrui in queste specifiche aree;
  • la diversificazione dei fornitori di questi comparti.

De-coupling contro de-risking

Se il de-coupling ha un raggio d’azione ampio, il de-risking è invece selettivo: controlla, colpisce ed opera solo nei settori critici, lasciando relazioni aperte e scambi fluidi negli altri. Si abbassa il volume di alcuni rapporti, se ne recidono altri, e se ne evitano altri ancora. Diversificazione, selezione, controllo, sono tutte azioni complesse e che richiedono un dispiegamento paziente e costante di energie.

Uno sforzo a cui va aggiunto il costoso ed incerto dispiegamento di energie per le azioni di politica industriale, come:

  • la delocalizzazione e quindi l’installazione di impianti fuori dal territorio pericoloso;
  • i sussidi, gli aiuti fiscali e gli incentivi diretti agli investimenti privati in patria;
  • gli investimenti pubblici diretti in casa.

Tra le incognite di questo contenimento selettivo, lungo e delicato, se ne possono immaginare certamente due: l’inflazione portata a casa producendo in patria e che avrà “costi occidentali”, ed il ventaglio di risposte del soggetto interessato. Perché è sicuro che la Cina non starà a guardare.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).