Bioarchitettura: perché è un valore per tutti

Society 3.0


Bioarchitettura: perché è un valore per tutti

Al livello globale, le città costituiscono il 2% della superficie terrestre ma accolgono il 50% della popolazione e sono responsabili per il 75% del consumo energetico e per l’80% delle emissioni di CO2. Come proteggere l’ambiente grazie alla bioarchitettura.

Al livello globale, le città costituiscono il 2% della superficie terrestre ma accolgono il 50% della popolazione e sono responsabili per il 75% del consumo energetico e per l’80% delle emissioni di CO2. Come proteggere l’ambiente grazie alla bioarchitettura.

La bioarchitettura, anche definita architettura sostenibile, si pone come obiettivo quello di realizzare edifici il cui impatto ambientale sia minimo, garantendo, allo stesso tempo, il benessere della natura e degli abitanti. Gli edifici vengono progettati seguendo delle norme di rispetto dell’ambiente e del suo ciclo naturale: per questo motivo si cerca di realizzare edifici che si integrino in modo armonioso nell’ambiente, riutilizzandone in maniera intelligente le risorse.

Ma non è solo questo la bioarchitettura. Per costruire in maniera sostenibile bisogna garantire uno spazio che sia confortevole, che soddisfi i bisogni e le esigenze dei suoi abitanti: comfort e risparmio energetico diventano due delle parole chiave per chi progetta “green”.

Ormai, definire sostenibili edifici che non lo sono è diventato un fenomeno talmente diffuso che esiste un termine specifico per identificarlo: greenwashing. Per questo stabilire i confini del costruire sostenibile aiuta a capire davvero cosa vuol dire la bioarchitettura con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita.

Ma cosa significa sostenibilità e progettare in maniera “intelligente”? Il concetto di sostenibilità alla scala della città non è molto diverso da quello alla scala del pianeta, che si fa risalire al rapporto Our Common Future, noto anche come il Brundtland Report, e che evidenziava la necessità di attuare una strategia in grado di integrare le esigenze dello sviluppo e dell’ambiente. Questa strategia è stata definita con il termine sustainable development ovvero «quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere le possibilità delle generazioni future».

Le città hanno un grande impatto su scala globale. Direi che sono 4 i numeri che ne caratterizzano l’importanza: 2-50-75-80. Al livello globale, le città costituiscono il 2% della superficie terrestre ma accolgono il 50% della popolazione e sono responsabili per il 75% del consumo energetico e per l’80% delle emissioni di CO2. Se le miglioriamo, anche solo leggermente, possiamo avere un grande impatto sull’intero pianeta.

Per quanto riguarda l’intelligenza, oggi si tratta di integrare nei metodi di progettazione “tradizionali” una dimensione digitale. Le reti sono diventate il sistema nervoso delle nostre città. Raccolgono di continuo dati sull’ambiente costruito, che ci permettono di capire meglio la città e quindi di saperla progettare a ragion veduta. Le città del futuro saranno tanto più intelligenti quanto più saranno ricche le relazioni che si sviluppano nell’ambiente fisico: questa, in fin dei conti, la vera funzione della tecnologia. La bioarchitettura si avvale di materiali eco sostenibili a basso impatto sulla natura: il legno, per le sue qualità tecniche, diventa una delle risorse sostenibili più utilizzate in architettura.

Di volta in volta, con ciascun progetto, possiamo pensare ai materiali più adatti: magari quelli che esprimono un legame importante con il luogo nel quale nasce il progetto. Per esempio, mentre con il nostro studio affinavamo il progetto per il “Pankhasari Retreat”, sul lato indiano dell’Himalaya, è venuto quasi naturale pensare di impiegare materiali del luogo quali pietra, legno di teak coltivato e sissoo. Un altro esempio: al momento stiamo lavorando con un importante operatore in campo energetico al progetto di una fabbrica in Svezia, che sarà uno dei più grandi edifici al mondo costruito in legno.

La bioarchitettura si pone il problema di garantire uno spazio che sia confortevole, che soddisfi i bisogni e le esigenze dei suoi abitanti: comfort e risparmio energetico diventano due delle parole chiave per chi progetta “green”.

La bioarchitettura che riesce a rispondere meglio alle persone ci permette anche di risparmiare energia. Un esempio fra tanti: il nostro progetto per la Fondazione Agnelli a Torino. Dotando l’edificio di sensori in grado di riconoscere la geolocalizzazione degli utenti, abbiamo dato vita a uno spazio in cui molte attività sono controllabili da un unico portale digitale, cioè una App con cui svolgere il check-in all’ingresso, prenotare una sala riunioni, o gestire le postazioni di lavoro in co-working, e molto altro. Anche la regolazione della climatizzazione e dell’illuminazione interna risponde agli utenti, che possono creare una “bolla termica” personalizzata capace di accompagnarli all’interno dell’edificio. Questo significa maggior comfort ma anche risparmio energetico: quando uno spazio si svuota, l’edificio entra in stand-by per risparmiare energia – come un computer quando non è utilizzato. Secondo le prime simulazioni, il risparmio energetico potrebbe arrivare fino al 40% grazie alla bioarchitettura.

Energia dall’ombra

Guardando al futuro, ci piace immaginare un modo nuovo di interagire con lo spazio costruito: non più noi che ci adattiamo a lui, ma viceversa. Credo andremo incontro a un futuro nel quale le nostre architetture diventeranno spazi capaci di capire meglio le nostre esigenze e rispondere di conseguenza – garantendo allo stesso tempo comfort e sostenibilità.

Anche l’ombra diventa una nuova fonte di energia rinnovabile nelle costruzioni sfruttando i cambiamenti climatici. Ho realizzato a Dubai il prototipo di un sistema adattabile sia ai climi caldi sia a quelli freddi e temperati, con un sistema di coperture per aree pubbliche in grado di controllare l’ombra e produrre energia pulita.  Con il prototipo Sun&Shade ci interessava sperimentare le possibilità di microcontrollo climatico. Gli effetti del cambiamento climatico sono destinati a farsi sentire sempre di più nei prossimi anni: quali strategie possiamo adottare perché le città rimangano vivibili? Chiaramente questi temi sono cruciali per una città con il clima di Dubai – ma lo stesso si può dire anche per i paesi mediterranei.

L’attenzione per il verde nella progettazione degli edifici è un tema attualissimo. Le nuove tecnologie ci permettono, fra l’altro, di ricreare ambienti naturali nelle nostre metropoli. Ci interessa molto il tema del rapporto tra città e natura, e credo che grazie ad alcune nuove tecnologie di coltivazione – dall’idroponica al vertical farming – sia possibile mettere a punto sperimentazioni molto interessanti. Molte città stanno portando avanti progetti interessanti in questo campo. Singapore, ad esempio, sta studiando fattorie verticali con cui coprire le facciate dei propri grattacieli, e a New York, Parigi o Melbourne si trovano esempi abbondanti di orti sui tetti delle case o negli angoli prima inutilizzati delle strade. In generale, direi che la speranza è che le nuove tecnologie possano permettere un domani un’inedita integrazione tra natura e cultura.

Mi hanno sempre affascinato le parole di Elysée Reclus, il geografo anarchico francese della fine dell’Ottocento quando scriveva: «L’uomo dovrebbe avere il doppio vantaggio di un accesso ai piaceri della città […], alle opportunità che offre allo studio e alla pratica dell’arte, e, allo stesso tempo, dovrebbe poter godere la libertà che si trova nella natura».

Da Berlino a Bankok l’urban farming sta cominciando ad affermarsi, creando un rapporto diretto cittadino-natura. Circa 10 miliardi di persone vivranno sul nostro pianeta entro il 2050 e due su tre di essi saranno nelle città. Fornire la nutrizione per quei miliardi in un’epoca di cambiamento climatico e di risorse che drenano rapidamente è una delle sfide più grandi del XXI secolo. Credo che esperimenti come il vertical farming siano importanti non tanto per la loro capacità di soddisfare la domanda alimentare su grande scala – per produrre il cibo necessario per una metropoli servirebbero aree gigantesche – quanto per la loro capacità di rafforzare il nostro legame con la natura e con il miracolo della vita che si rinnova seguendo le stagioni. Mi piace sperare che nelle città di domani riusciremo a realizzare quella fusione tra vita urbana e vita di campagna che ha ispirato molti poeti. Ho sempre in mente lo scenario dipinto da Kurt Tucholsky, un poeta berlinese di inizio novecento: «Questa è la scena perfetta / una villa in campagna con una grande terrazza / il Mar Baltico sul fronte e la Friedrichstraße sul retro / Una bella vista, rustica e sofisticata / Dal bagno si vede il Zugspitze / Ma alla sera il cinema non è poi lontano».

Saper ricostruire nell’ottica della bioarchitettura

Le catastrofi naturali, non solo i terremoti, sono fenomeni naturali con cui ci troveremo sempre di più a fare i conti a causa dei cambiamenti climatici. Per la ricostruzione post catastrofi ci sono due scuole di pensiero: ricostruire “com’era, dov’era” oppure “costruire ex-novo da un’altra parte”.  Le città non nascono per caso, grazie all’incontro tra le persone. Credo sia importante rispettare questi flussi e le ragioni che li hanno generati. Le nuove città disegnate a tavolino sono spesso fallimenti. Dopo un terremoto credo sia importante rimettere le cose al loro posto, con umiltà, partendo da ciò che esisteva, senza dover ricorrere a quella che Guido Piovene definiva «la frivola scappatoia della tabula rasa». 

A livello pratico, sulle modalità della ricostruzione è importante valutare caso per caso. C’è però un principio generale che mi sta molto a cuore: è fondamentale distinguere tra un’architettura temporanea, di emergenza, e una ricostruzione progettata per restare. In Italia, anche nel recente passato abbiamo fatto l’errore di travisare l’idea della soluzione temporanea, costruendo strutture ambigue, che alla fine restano per sempre. Le città e i paesi colpiti dal terremoto sono stati costruiti nei secoli; sono il frutto di un lungo processo di stratificazione, durato spesso centinaia e centinaia di anni. Il nostro dovere è rendere onore a questo patrimonio, costruendo con la stessa solidità e con il giusto tempo, scongiurando di dover poi sciogliere il nodo impossibile di strutture troppo permanenti per essere temporanee, ma troppo temporanee per essere permanenti.

Architetto e ingegnere, ha fondato lo studio CRA (Torino e New York) e dirige il Senseable City Lab al MIT di Boston​, un gruppo di ricerca che esplora come le nuove tecnologie stanno cambiando il modo in cui noi intendiamo, progettiamo e viviamo le città. La rivista Esquire lo ha inserito tra i “Best & Brightest”, Forbes tra i “Names You Need to Know” e Wired nella lista delle “50 persone che cambieranno il mondo”.