Rilettura del progresso: Metaverso e sostenibilità

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Rilettura del progresso: Metaverso e sostenibilità

La sostituzione dei beni fisici in beni digitali e della presenza fisica in interazione virtuale potrebbe ridurre in modo sostanziale le emissioni di carbonio e mitigare l’impatto dell’attività umana sull’ambiente.

Un tempo, il progresso era avvertito come un avanzamento in senso verticale verso il perfezionamento, verso stadi superiori di un’evoluzione tesa alla graduale trasformazione migliorativa della realtà. Si trattava della manifestazione più immediata di un ottimismo radicale che conteneva in sé la fiducia – e persino la promessa – della felicità, raggiungibile con nuovi strumenti, nuove tecnologie, nuove idee.

La storia ha inesorabilmente estratto questo concetto dalla sua originaria posizione, scaraventandolo in un antro dove oggi è costretto a condividere il suo spazio con la distopia e con il pericolo. Alla stregua di un simbolo immediatamente leggibile nel suo significato, la parola «progresso» evoca la minaccia di un cambiamento inesorabile e fatale che, verosimilmente, preannuncia una crisi.

Se secondo il filosofo Walter Benjamin «la catastrofe è che tutto continui come prima», per noi la catastrofe è che non ci sia più un «prima»: che il nostro passato, la nostra identità e il nostro mondo sia spazzato via dalla piena devastante di uno sviluppo che porta in sé detriti troppo pesanti di tecnologie alienanti, digitalizzazioni sfrenate, inquinamenti letali. È innegabile: il progresso è (stato) anche questo.  Fortunatamente, però, le parole possono subire un’evoluzione contenutistica che riflette un cambiamento della nostra lettura della realtà.

Il progresso può (e deve) essere un avanzamento verso il meglio, che tuteli e conservi quel «prima» che ci sta a cuore (ripeto: il nostro passato, la nostra identità, il nostro mondo), risolvendo o venendo a patti con i detriti portati da una spesso incosciente evoluzione. Affinché sia possibile, è necessario stipulare un armistizio con la tecnologia.

Ammettiamolo: il Metaverso è per antonomasia l’innovazione tecnologica che oggi ci spaventa di più. Quali conseguenze avrà sulla nostra realtà – individuale e globale – questo misterioso insieme di mondi interoperabili costruiti sulla blockchain, che simula e intensifica le interazioni del mondo reale? Insomma, quale sarà l’impatto di questo mondo parallelo, in termini di sostenibilità sociale e ambientale? Non ci sono risposte esatte, solo ipotesi e suggestioni – che si incardinano su dati, ma anche sulla fiducia nel nostro istinto di sopravvivenza e autoconservazione.

Pro e contro per l’ambiente

Innanzitutto, un’evidenza: con la sostituzione dei beni fisici in beni digitali e della presenza fisica in interazione virtuale, il Metaverso potrebbe ridurre in modo sostanziale le emissioni di carbonio e mitigare l’impatto dell’attività umana sull’ambiente. Questa virtualizzazione del materiale richiede meno risorse, nella fase di creazione e di consumo, e determina, di conseguenza, un contenimento della sovrapproduzione e degli sprechi. Si pensi, a titolo esemplificativo, a tutte quelle attività quotidiane che oggi gravano sul riscaldamento globale: concerti, eventi, conferenze; o banalmente semplici spostamenti. Peraltro, per quanto riguarda il data storage, il trasferimento vero il Cloud – un settore già attento al carbon-free che, prevedibilmente, sarà favorito dal Metaverso – potrebbe porre fine alla presenza di numerosi data centre fisici e ai loro ingenti consumi.

Occorre però considerare e mostrare l’altra faccia della medaglia: secondo alcune stime, una transizione di NFT – facendo leva sulla blockchain di Ethereum – richiede circa la stessa energia che un cittadino britannico medio consuma nell’arco di due settimane. Per quanto riguarda la sostenibilità sociale, sono ormai noti i rischi in termini di sicurezza, trattamento dei dati, privacy; e lo sono altrettanto quelli relativi alle implicazioni etiche e psicologiche che questo meta-universo potrebbe causare.

Più empatia

Tornando però al progresso, la dialettica che ci attraversa, tra tensione al cambiamento e tutela del «prima» (il nostro passato, ma anche il nostro presente), potrebbe essere in parte pacificata dal Metaverso. Una serie di esperimenti eseguiti tramite la realtà virtuale (VR) e la realtà aumentata (AR), hanno dimostrato che le esperienze immersive generano notevoli risultati in termini di apprendimento, consapevolezza ed empatia – migliori rispetto a qualsiasi narrazione. In tale ottica, tramite le tecnologie del Metaverso, vivere (e non solo leggere o ascoltare) le conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico potrebbe senz’altro condurre a una maggiore sensibilizzazione e a comportamenti più responsabili. Lo stesso vale per la possibilità di immedesimarsi (anzi, incarnarsi virtualmente) in coloro i quali subiscono nella loro vera esistenza gli effetti devastanti dell’assenza di sicurezza, di istruzione, di salute, di democrazia, di giustizia, di benessere.

Non si tratta di filosofia spicciola, bensì di un dato di fatto immodificabile: nulla è; ma tutto, inevitabilmente, diviene. Tra le nostre mani è invece la possibilità che il progresso non sia solo una risoluzione dei problemi, ma una raccolta attiva delle opportunità. Insomma, con le stesse mani, dobbiamo adagiare ogni cambiamento sul nostro innato desiderio – in quanto umani – di vivere meglio.

Ricercatrice su temi antropologici, storici e sociali, ha indirizzato i suoi studi sui cambiamenti epistemologici del presente, specializzandosi nell’ambito delle innovazioni digitali, della sociologia e della sostenibilità. Ha proseguito la sua attività di ricerca per aziende private, governi e organizzazioni multilaterali, supportando strategie di investimento in Nfts e in nuove tecnologie ai fini di un potenziamento di soft power; o guidando la riflessione sull’utilizzo degli spazi e delle leve del Metaverso per scopi politici e geopolitici. Ha fornito consulenza a marchi di lusso e di consumo, thought leaders e istituzioni finanziarie su come integrare la sostenibilità nei loro sistemi e su come creare e inquadrare value propositions relative al futuro del lavoro. Lavora come ricercatrice per il Future Food Institute, una fondazione no-profit che sta stimolando un cambiamento esponenziale nel sistema alimentare globale.