La plastica cambia vita

Sharing


La plastica cambia vita

È la prima volta che l’uomo si sente minacciato da questo materiale così diffuso, la plastica, da imporgli una vita diversa, fatta di piccoli cambiamenti nel quotidiano. Che modificano in maniera sostanziale l'economia.

È la prima volta che l’uomo si sente minacciato da questo materiale, la plastica, così diffuso da imporgli una vita diversa, fatta di piccoli cambiamenti nel quotidiano. Che modificano in maniera sostanziale l’economia.

La storia della plastica sta prendendo una piega radicale. Per cinquant’anni ha avuto una vita relativamente serena. Era nascosta sotto il tappeto dell’economia, tutti sapevano, e nessuno voleva guardare sotto. A parte quelli che sembravano stupidi fanatismi di pochi preoccupati per il climate change, riempiva tranquillamente le nostre case, i carrelli e gli oggetti più comuni.

Sono bastati pochi pixel ben piazzati, e d’improvviso, decine d’anni di serenità sono sfumati. Ecco che l’origine del prodotto e la sua impronta ecologica si presentano oggi nella sua veste più terribile, con due storytelling in negativo che hanno fatto velocemente il giro del mondo: 

  • il documentario su una balena depressa e persa in un porticciolo della Norvegia, abbattuta e sorprendentemente ritrovata sottopeso e piena di sacchetti di plastica;
  • la foto di un cavalluccio marino che nuota trascinandosi dietro un cotton fioc rosa.

STIMOLI PER IL CONSUMATORE

Ecco che d’improvviso, in pochi mesi, il contagio inarrestabile della coscienza pulita tocca anche la plastica. La stessa coscienza che alimenta la crescita esponenziale del consumo di cibo bio, le vacanze sostenibili, la moda, l’energia pulita. Si presentano così davanti al consumatore due impegni: uno semplice e uno più complesso.

Quello semplice ha a che fare con le scelte di consumo, ed è aiutato dalla psicologia. Porta ad evitare quei prodotti che si percepiscono come dannosi. E la sua semplicità sta proprio in una consapevolezza diffusa di ciò che si acquista, che si esprime con un gesto semplicissimo: escludo il prodotto A e scelgo il prodotto B (con plastiche biodegradabili o privo di plastica).
L’impegno più difficile riguarda, invece, i gesti quotidiani complessi che portano a differenziare i rifiuti, portare un vecchio Pc in discarica, oppure scegliere il food delivery che riutilizza il packaging.

IMPEGNI PER LE AZIENDE

Il consumatore aveva quindi sopito la sua coscienza, che oggi è riemersa d’improvviso e si trova davanti due “cartelli psicologici” giganteschi, che prendono la forma di:

  • tasse (per esempio provenienti dall’Unione Europea, con l’idea di ridurre i rifiuti);
  • e obblighi che riguardano l’utilizzo della plastica (per esempio i sacchetti).

Per le aziende il gioco è diverso. Il cambiamento ha un senso d’urgenza a cui non potranno rispondere con scelte immediate, se non d’immagine, quanto invece procedere per innovazioni brevi, un passo alla volta.

Chiedersi quali siano le imprese coinvolte in una nuova vita della plastica è impossibile. Perché è un materiale presente in ogni settore. Potranno avvicinarsi a un mondo ideale con soluzioni parziali e graduali, dalla plastica bio, a quella da riciclare, a processi senza la plastica, fino alla definizione dei prodotti in cui probabilmente ne sarà ammesso o non ammesso l’utilizzo.

La variabile per loro più ignota è già ora il tempo. Perché il mercato vuole soluzioni immediate, alle quali non tutti sono pronti. La sfida si pone quindi:

  • in termini economici (innovare costa, innovare subito costa ancora di più);
  • in funzione ai processi (sono da cambiare in cicli brevi);
  • riguarda gli impianti (meno complessa della successiva);
  • che riguarda la ricerca (di nuovi materiali) con risultati non sempre certi e a breve termine.
     

UNA NUOVA ECONOMIA

La nuova economia della plastica ha una potenza d’impatto che non era possibile prevedere, e oggi tocca la produzione, i processi di distribuzione, imballaggio, stoccaggio, riciclo, scarto. Così si scopre che dietro al suo mondo si muove quello di:

  • laboratori di chimica, pronti a cercare blastiche “bio” (come la Novamont che produce infatti la materia prima per i nuovi sacchetti in uso in Italia);
  • aziende di marketing e comunicazione, pronte a veicolare e disegnare prodotti nuovi senza plastica o già fit per il riciclo;
  • aziende “plastica dipendenti” costrette a cercare soluzioni alternative;
  • società impegnate ad analizzare processi di scarto e spreco per guardare alla rigenerazione;
  • operatori del packaging impegnati in una riconversione di pacchi e imballaggi, e pronti a fare education ai clienti spreconi (il boom dell’e-commerce ha fatto impennare i consumi dei pacchi);
  • fondi e finanza pronti ad acquisizioni proprio in previsione di cali o consolidamento del settore complessivo. ​

Fin qui tutto sembra guardare nella direzione giusta, anche se Paesi come la Cina, il Vietnam e l’India hanno ancora fiumi di plastica che si riversano nei corsi d’acqua. Ecco perché Unilever, per esempio, che trova nell’India un mercato enorme, ha volontariamente affrontato il problema, promettendo una trasformazione della plastica utilizzata per i suoi prodotti, impegnandosi a renderla per il 100% riutilizzabile e riciclabile entro il 2025.
Una strada lunga, che può essere di esempio per modelli economici nuovi, che toccheranno sicuramente altri prodotti, perché la plastica non è l’unico a creare problemi al futuro in cui viviamo.​​​

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).