La blockchain renderà il cibo più sicuro

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La blockchain renderà il cibo più sicuro

Non solo finanza: la tecnologia sulla quale si basano le criptovalute consentirà una maggiore tracciabilità della filiera alimentare a tutto vantaggio di qualità e sicurezza.

Blockchain, non solo finanza: la tecnologia sulla quale si basano le criptovalute consentirà una maggiore tracciabilità della filiera alimentare a tutto vantaggio di qualità e sicurezza.

Il legame fra blockchain e cibo è sempre stato strettissimo. Raccontano, infatti, che il primo acquisto effettuato con la cryptovaluta che si basa proprio su questa tecnologia, il famoso bitcoin, sia stato proprio di tipo alimentare. Era il “lontano” 2010 quando un certo Laszlo Hanyecz, anonimo programmatore della Florida, ordinò per 10mila bitcoin due pizze in un locale di piccolo centro dello stato americano. Sarà un caso ma otto anni dopo l’uso della blockchain, oltre che ovviamente nell’ambito finanziario, inizia a essere sempre più diffuso nella complessa e sempre più redditizia industria dell’agrifood.

Come ci conferma Valeria Portaledirettrice dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano, il fenomeno della blockchain è «recente ma si caratterizza per una forte attenzione mediatica dovuta alla sua crescita esponenziale. Nel 2017 abbiamo censito in tutto il mondo 331 progetti, il 73% in più rispetto al 2016, mentre gli annunci confermano un trend di attenzione e di spinta verso la sperimentazione con una crescita del 273%. Sicuramente il finance è fra i settori che più trainano questo mercato, al secondo posto si pone il government, al terzo la logistica che si ricollega al tema tracciabilità e quindi al settore dell’agroalimentare».

La naturale predisposizione della blockchain a essere destinata a questo ambito strategico è da ricercare nella sua stessa natura di registro digitale condiviso da tutte le parti che operano all’interno di una data rete distribuita di computer in cui si trascrivono in maniera immutabile alcuni eventi/informazioni.

«Facile intuire quindi, – spiega Portale – come per esempio nella logistica legata all’industria alimentare questa tecnologia possa essere utilizzata per verificare la provenienza delle materie prime con lo scopo di arginare, per esempio, casi di contraffazione che tanto danneggiano il nostro Made in Italy. Per non parlare dell’utilità nel campo della sicurezza alimentare. Senza andare troppo indietro nel tempo, si pensi alla vicenda legata alla presenza dell’antiparassitario Fipronil in alcuni stock di uova: la tracciabilità garantita dalla blockchain, infatti, avrebbe potuto consentire una rapida individuazione dei lotti contaminati e quindi un più semplice ritiro dagli scaffali».

La tracciabilità sarà più semplice

Non è un caso, quindi, se nell’ambito della tracciabilità inizino a emergere dei casi davvero interessanti. La multinazionale statunitense Walmart, per esempio, in collaborazione con il colosso dell’informatica Ibm, ha deciso nel 2016 di sperimentare la blockchain per la tracciabilità della filiera del maiale in Cina mentre l’italiana Barilla ha annunciato che sta lavorando sulla tracciabilità del basilico nella filiera del pesto.

Un altro ambito in cui il blockchain potrebbe trovare un’applicazione perfetta è quello della tracciabilità del pescato. Ricordiamo che la caratteristica principale di questa tecnologia è che si tratta di un registro distribuito e immutabile: una volta che il pescatore ha registrato l’informazione sulla blockchain il dato non potrà essere modificato perché questo non è di proprietà del singolo attore ma di tutti. Se oggi per esempio è possibile nascondere la provenienza di uno stock di pesce con la blockchain non sarebbe più possibile.

Il quotidiano inglese The Guardian ha sottolineato come proprio nell’industria ittica – ma in realtà in qualsiasi filiera alimentare – il vero nodo è quello della fiducia fra le diverse parti in causa, dal pescatore al distributore, fino al commerciante e al ristoratore.  La società britannica Provenance ha sviluppato una soluzione per garantire l’origine del pesce che viene trasformato e consumato inaugurando di fatto un passaggio epocale dalla certificazione cartacea a quella digitale: il primo passo di questo percorso è compiuto dai pescatori che attraverso un semplice SMS attivano il  livello iniziale di identificazione, quindi tocca all’industria di trasformazione o alla distribuzione. Tutti i movimenti successivi di questa partita di pesce vengono a loro volta registrati su una piattaforma comune basata sulla blockchain.

«Il potenziale che ancora può essere espresso – spiega Portale – è da non sottovalutare. Tornando al Made in Italy si pensi al comparto del vino e dell’olio». Proprio nell’enologia qualche mese fa, per esempio, alcune cantine italiane hanno iniziato a utilizzare per prime l’applicazione My Story, ideata dall’ente di certificazione norvegese DNV GL che si basa sulla blockchain. Attraverso una semplice scansione di un QR-code riportato sull’etichetta, i consumatori potranno conoscere la storia del vino che hanno acquistato. La tutela del Made in Italy è il primo obiettivo della piattaforma di “Tracciabilità della Filiera Vitivinicola 4.0” nata dalla collaborazione tra il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea), il Sistema Informativo Nazionale per lo sviluppo dell’agricoltura (SIN) e il partner tecnologico AlmavivA.

La blockchain può aiutare a limitare i casi di contraffazione anche nel mercato dell’olio che probabilmente rappresenta l’alimento italiano maggiormente sottoposto a frodi: secondo un articolo comparso sulle pagine online del Financial Times, gran parte del prodotto venduto negli Stati Uniti come italiano ed extravergine (addirittura il 69% sulla base dei dati elaborati dall’Università della California) proviene in realtà da altri paesi del bacino del Mediterraneo. Esistono già diverse applicazioni in grado di tracciare la filiera sfruttando il registro digitale della blockchain.

«La vera difficoltà – conclude Portale – consiste nel consentire a chiunque, anche a un agricoltore che viva e lavori in una sperduta contrada della Cina interna, di mettere in digitale le informazioni. Basta un computer o qualsiasi altro device elettronico, in alternativa il compito potrebbe essere delegato a degli intermediari. L’importante, però, è che vengano predisposti dei punti di immissione dei dati. Attenzione però. La blockchain non è la panacea di tutti i mali e per raggiungere davvero un elevato livello di sicurezza questa dovrà sempre essere affiancata da altre tecnologie e da un adeguato quadro normativo».​

Giornalista, vivo di e per la scrittura da quattordici anni. Cresco nelle fumose redazioni di cronaca che abbandono per il digitale dove perseguo, però, lo stesso obiettivo: trasformare idee in contenuti.​