Automotive: i vantaggi dell’economia circolare
Tutti noi conosciamo il termine di obsolescenza programmata, ovvero una progettazione finalizzata a far durare un dispositivo soltanto per un certo numero di anni, oppure di operaz
Il mercato cerca di modificare la reputazione negativa che i Not Fungible Token e in generale l'uso della blockchain hanno in chiave ambientale. A che punto siamo?
Secondo il CNBC Millionaire Survey 2021, che tasta il polso degli investitori statunitensi più facoltosi per capire verso quali tipi di attività sono intenzionati a investire le loro ingenti risorse, circa il 50% dei milionari che appartengono alla generazione dei millennial (i nati tra il 1980 e la fine del secolo scorso) hanno almeno il 25% del proprio patrimonio investito in asset quali le criptovalute e gli NFT. Evidenziando in ciò una forte discontinuità con i loro colleghi milionari della generazione baby boomers (i nati tra metà anni ’40 e metà anni ’60), che verso simili asset allocano solo meno del 10% delle loro ricchezze.
Basta probabilmente questo per dire che gli NFT stanno diventando un affare serio anche dal punto di vista degli investimenti. E potrebbero diventarlo ancora di più nei prossimi anni. Ma cosa sono gli NFT? L’acronimo sta per Not Fungible Token, “gettone non riproducibile”. Come si spiega nei dettagli sullo stesso sito di Borsa Italiana, si tratta di certificati digitali basati su tecnologia blockchain, utilizzati per identificare in modo univoco, insostituibile e non replicabile la proprietà di un prodotto digitale. Strumenti digitali, cioè, che servono ad accertare e a garantire la proprietà di altri beni digitali. I quali, a loro volta, possono essere collegati e quindi rappresentare i più svariati beni, ma anche servizi o diritti da proteggere e valorizzare, che sono stati appunto “tokenizzati”, cioè convertiti in un token digitale registrato su una blockchain: opere d’arte, gadget e cimeli sportivi, brani o eventi musicali, capi di moda, testi, disegni, contratti di vendita, immagini GIF, video, beni immobili, etichette di vino. A condizione, a differenza dei token fungibili (ad esempio una criptovaluta come il Bitcoin), che sussistano le caratteristiche di unicità, non ripetibilità, indivisibilità. Per acquistarli, occorre disporre di un wallet digitale in criptovalute, con il quale operare sui mercati digitali dove gli NFT sono negoziati.
Proviamo a rendere un po’ più tangibile il discorso facendo qualche esempio, visto che tanto parlare di digitale può legittimamente finire col risultare un po’ sfuggevole.
Il fondatore di Twitter, Jack Dorsey, a fine 2020 ha creato l’NFT del suo primo, storico tweet del 21 marzo 2006, quello che conteneva le celebri cinque parole: “just setting up my twttr”. Pochi mesi dopo l’ha venduto per la ragguardevole cifra di quasi 3 milioni di dollari.
Più di recente, con l’obiettivo di sostenere economicamente le proprie forze armate e la popolazione civile a seguito dell’invasione subita dalla Russia, nonché di archiviare e trasmettere ai posteri le vicende belliche, con l’iniziativa MetaHistory NFT Museum il vice-primo ministro dell’Ucraina ha annunciato l’intenzione di vendere una collezione di oltre cinquanta NFT relativi a opere di artisti ucraini e internazionali che ripercorrono i momenti chiave dell’invasione.
Per stare in Italia, in occasione dell’ultima edizione del Giro d’Italia sono stati lanciati gli NFT della maglia rosa e del trofeo, oltre ad altri collegati alla storica gara ciclistica. L’iniziativa ha visto protagonista ItaliaNFT, realtà che ha creato un market place in cui sono messi all’asta NFT espressione del Made in Italy: fra gli altri, il celeberrimo bacio tra Richard Burton e Liz Taylor a Ischia nell’estate del 1962 nelle pause delle riprese del colossal Cleopatra, immortalato dal fotografo Marcello Geppetti.
Sempre in Italia, a fine anno scorso è stato messo all’asta da Vodafone l’NFT del primo SMS mai inviato, il cui ricavato è stato donato all’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Con gli esempi si potrebbe continuare a lungo. Il succo è che gli NFT si sono ormai affermati come nuova frontiera per i collezionisti un po’ di ogni genere. E come nuova asset class per gli investitori. Lo dice anche la crescita del giro d’affari del mercato degli NFT: da 24,5 milioni di dollari nel 2019, a più di 82 milioni di dollari nel 2020, a oltre 17,5 miliardi di dollari nel 2021. Di conseguenza non poteva non giungere il momento di confrontarsi con il tema della sostenibilità, che ormai nel mondo degli investimenti ma non solo è diventato una sorta di mantra dal quale, lasciando stare per un momento il preoccupante fenomeno del greenwashing, nessuno ormai può prescindere.
Ma provare a mettere insieme gli NFT con la sostenibilità e in particolare con quella ambientale non è semplice, anzi, è molto complicato. L’impatto degli NFT sull’ambiente, infatti, è elevato. Proprio per via della tecnologia blockchain su cui è basata la loro gestione e negoziazione, che richiede il lavoro di calcolo anche di migliaia di computer collegati tra loro, con conseguente consumo di energia e produzione di calore assai elevati. Il che fa a botte in particolare con la lotta al riscaldamento globale e alla crisi climatica: secondo alcune stime, una singola transazione su Ethereum, piattaforma basata su tecnologia blockchain su cui si appoggia buona parte delle negoziazioni di NFT, richiede circa 30 kilowattora di energia. Ma ci sono stime anche di molto superiori.
Si è cercato allora di correre ai ripari, ad esempio attraverso la pratica di collegare gli NFT e la loro vendita al sostegno di buone cause. Ma non sono mancate le difficoltà.
Emblematico al riguardo quando accaduto al Wwf. A febbraio di quest’anno Wwf Uk aveva annunciato l’intenzione di mettere in vendita una serie di NFT, “tokens for nature”, dedicata a specie in via di estinzione, con l’obiettivo di raccogliere fondi a sostegno della propria attività. Ma ha dovuto tornare sui suoi passi: l’annuncio aveva infatti innescato grandi proteste da parte degli ambientalisti, evidentemente non disposti ad accettare – sebbene fatto per buone cause – l’utilizzo di strumenti così impattanti sull’ambiente. Anche perché le stime del Wwf sulle emissioni di CO2 connesse all’operazione erano state criticate, accusate di essere fortemente sottostimate.
Il collegamento con buone cause ha funzionato invece nel caso del progetto WildEarth, con NFT dedicati alla salvaguardi di animali delle riserve naturali del Sudafrica.
Per cercare di modificare la reputazione negativa che gli NFT e in generale l’uso delle blockchain hanno in chiave ambientale, si è lavorato soprattutto sul fronte della riduzione del consumo energetico ad essi collegato, sviluppando blockchain di nuova generazione, più efficienti e quindi meno energivore. Alcune delle quali sono segnalate su Investopedia alla voce dedicata appunto al rapporto tra gli NFT e l’ambiente.
Un ulteriore punto di svolta nella strada degli NFT verso la sostenibilità è stato segnato dall’arrivo del “Manifesto di Sostenibilità NFT”: un invito rivolto alle imprese, specie a quelle che guardano strategicamente alla sostenibilità e ai fattori Esg (ambientali, sociali e di governance), a utilizzare gli NFT con attenzione e in maniera responsabile. Con la consapevolezza dei benefici, dei rischi e delle opportunità ad essi associate. Come pure della necessità di offrire informazioni trasparenti sull’utilizzo che ne viene fatto. E, comunque, confidando nell’evoluzione tecnologica che potrà renderli man mano più sostenibili. O, se si vuole, sempre meno insostenibili.
L’idea del Manifesto è stata di un italiano, il professor Paolo Taticchi della University College of London School of Management, che per realizzarla ha fatto squadra con altri due italiani, l’artista Massimiliano “MaMo” Donnari e il disegnatore Michele Fabbro. Per accedere al Manifesto bisogna infatti visualizzare l’NFT Sustainability Manifesto, un NFT non in vendita che è una vera e propria opera d’arte digitale in cui è ritratta la Regina Elisabetta II con indosso una maglietta con la scritta: “NFT – usa e consuma responsabilmente”. Le caratteristiche di sostenibilità di questo che viene considerato il primo NFT sostenibile o comunque a basso impatto ambientale al mondo, sono essenzialmente due: la prima è quella di basarsi su una blockchain meno energivora, Stratis; la seconda è che, per compensare le emissioni associate all’NFT, attraverso la piattaforma Treedom è stato piantato un albero.
Il dibattito sulla possibilità degli NFT di trovare stabilmente una loro dimensione sostenibile è con ogni probabilità solo all’inizio e sarà interessante seguirlo passo passo. Community come CleanNFTS, nata proprio come luogo di informazione e dibattito all’intersezione tra NFT e ambiente, sono lì a dimostrarlo. Interessante anche il fatto che movimenti ambientalisti piuttosto intransigenti come Fridays For Future abbiano iniziato a seguire con interesse l’evoluzione che gli NFT hanno avviato nel senso della sostenibilità.
A influenzare tale dibattito in modo probabilmente non marginale potrebbe essere lo stesso andamento nei prossimi mesi e anni del giovanissimo mercato degli NFT. Dove dopo il prepotente boom dell’anno scorso nei primi mesi del 2022 si sono registrate delle battute d’arresto, o se non altro dei segnali in apparente controtendenza fra loro, che si riusciranno forse a decifrare compiutamente solo in futuro.
L’NFT del primo tweet di Jack Dorsey di cui si diceva, per esempio, di recente è stato messo all’asta di nuovo, ma le offerte più alte che ha ricevuto sono state solo di qualche migliaio di dollari. In ogni caso il possessore dell’NFT, un imprenditore iraniano delle criptovalute che aveva fissato come base d’asta un prezzo di 48 milioni di dollari – dichiarando inoltre che avrebbe donato in beneficenza metà del ricavato -, non si è certo fatto scoraggiare: continua infatti a considerare il possesso di quel tweet, che definisce “la Monna Lisa del digitale”, alla stregua di uno status symbol, come sostanzialmente dichiara nella didascalia del suo profilo Twitter. D’altro canto, per restare nel citato filone degli NFT collegati a buone cause, sempre di recente l’NFT “Clock” realizzato dall’artista digitale Pak a sostegno della causa di Julian Assange (è un contatore digitale dei giorni che il fondatore di Wikileaks ha trascorso da detenuto), è stato venduto per oltre 50 milioni di dollari. E non è l’unico che riesce a spuntare cifre del genere.