Economia della funzionalità

Sharing


Economia della funzionalità

Perché la dematerializzazione dell’economia ha ricadute positive sull’ambiente e ha indotto nuove abitudini di consumo grazie a digitale e crescente urbanizzazione.

Perché la dematerializzazione dell’economia ha ricadute positive sull’ambiente e ha indotto nuove abitudini di consumo grazie a digitale e crescente urbanizzazione.

​La chiamano economia della funzionalità e consiste nell’idea che la proprietà di un bene possa essere brillantemente sostituita da un servizio che offre il suo uso. Non si tratta semplicemente di un affitto al posto di un acquisto, ma di un sistema più ricco di elementi innovativi, che in generale comportano una forte digitalizzazione, il coinvolgimento di una comunità territoriale e la costruzione di una relazione sociale fra i vari attori della rete. È il modello su cui si basa la sharing economy, che porta a una crescente dematerializzazione dell’economia, con evidenti ricadute positive per l’ambiente, sia perché sono necessari meno beni per soddisfare più persone, sia perché le nuove abitudini inducono i consumatori a una maggiore consapevolezza sulle ricadute di ogni decisione di acquisto. 

Alle radici della svolta si possono identificare due fenomeni: da un lato la diffusione delle tecnologie digitali e dall’altro l’urbanizzazione galoppante. Per la prima volta nella storia umana, oggi gli abitanti delle città sono più numerosi di quelli delle campagne. Il moderno homo civicus concentra nelle sue mani la potenza economica del mondo: oltre l’80% del Prodotto interno lordo (Pil) globale si produce in 30 megalopoli da 10-20 milioni di abitanti e in un migliaio d’insediamenti urbani da più di 500.000 residenti. Ed è una categoria in rapida espansione: nel 2050 sarà urbanizzato il 68% del genere umano, cioè 6,5 miliardi di individui contro i 4 attuali, in base all’ultimo rapporto World Urbanization Trends dell’Onu. 

L’urbanizzazione è accompagnata dall’ascesa sociale: da qui al 2030 entreranno nella classe media ben 3 miliardi di nuovi consumatori. Ma si tratta anche di una svolta generazionale. Il mito del possesso tipico dei Baby Boomers sta lasciando spazio alla leggerezza dei Millennials, che preferiscono noleggiare e affittare invece di comprare, con un notevole salto nella scala dell’efficienza del sistema. Da qui nasce il boom della Sharing Economy, non solo nei trasporti ma anche nelle abitazioni e perfino negli abiti firmati, negli alimentari o negli attrezzi per il fai-da-te. Se pensiamo che i Millennials saranno 2,3 miliardi di persone nel 2020, la metà della forza lavoro globale, possiamo immaginare la crescita del fenomeno in prospettiva.

Per Steve Cohen, direttore del programma di ricerca sulla sostenibilità della Columbia University, la sharing economy è molto correlata con la crescita delle città. «La condivisione è sempre stata una parte della vita urbana: abbiamo sempre condiviso libri nelle biblioteche pubbliche, la natura nei parchi e il pallone nei cortili dei palazzi» ha detto Cohen. «Ma negli ultimi anni, le città hanno visto una significativa rinascita e accelerazione nella condivisione di nuove attività. Nelle città di tutto il mondo, gli abitanti hanno aperto le loro case per ospitare visitatori nelle stanze libere, si condividono attrezzature e passaggi in auto con persone che non si conoscono. Le start-up condividono spazi digitali in cloud e fisici negli hub. Utilizzando tecnologie innovative e modelli di business creativi, l’economia della condivisione sta iniziando a cambiare le nostre città e le nostre vite». 

Le città sono il contesto giusto per questo sviluppo, perché hanno molte risorse che possono essere facilmente redistribuite e condivise. «Le città consentono alle persone di possedere di meno e consumare solo ciò di cui hanno bisogno, si sprecano meno risorse, promuovendo la sostenibilità urbana», spiega Cohen. L’economia della condivisione, quindi, può portare a un consumo più sostenibile, pur rimanendo compatibile con la crescita economica. «L’impatto di queste risorse sulla qualità della vita, però, rende il Pil un parametro inadeguato alla valutazione del benessere economico», sostiene Cohen. «Il Pil misura il volume della vita economica, non la sua efficienza o efficacia».

Con l’economia collaborativa si sta sviluppando un mercato enorme: nella sola Europa, secondo uno studio di PwC, la sharing economy valeva 28 miliardi di euro nel 2015 ma è destinata a crescere esponenzialmente, fino a toccare i 570 miliardi di euro nel 2025. I protagonisti di questa crescita saranno le piattaforme di condivisione dei servizi di trasporto, che rappresenteranno nel 2025 il 40% del mercato. L’impatto di questi nuovi business sul mercato tradizionale è già evidente: il car sharing, ad esempio, sta contribuendo a ridisegnare il volto del noleggio auto. Entro il 2025 è prevista, inoltre, la rapida diffusione dei servizi on demand legati alla casa, i cui ricavi aumenteranno del 50%, sorpassando le piattaforme di home sharing, che ora la fanno da padrone, con in testa AirBnb.

La più grande sfida per le città è trovare un equilibrio tra il sostegno a queste nuove imprese, che offrono servizi preziosi a residenti e visitatori, e la loro regolamentazione, necessaria per controllarne la sicurezza e la qualità. Con la rapida crescita di questi servizi e l’enorme popolarità delle nuove applicazioni, i Comuni hanno dovuto affrontare una serie di nuovi problemi. Come garantire che chi condivide la propria casa e altre risorse non discrimini in base al colore della pelle? Come essere sicuri che un autista di Uber o un fornitore di servizi analoghi non sia un criminale? Come proteggere i consumatori dai “prestatori” che condividono prodotti difettosi? Malgrado qualche inconveniente, come il vandalismo scatenato dalla proliferazione delle biciclette cinesi, la popolarità e la crescita della sharing economy sono state rapide e drammatiche, con ricadute indubbiamente positive anche per l’ambiente. I servizi di bike sharing, ad esempio, hanno radicalmente cambiato il modo di spostarsi di molti cittadini, causando un vero e proprio boom della cultura della bicicletta anche in città dove prima non esisteva, come Parigi o Londra, e riducendo l’utilizzo delle auto private.

L’ingresso sul mercato di nuovi attori, naturalmente, non ha fatto piacere ai fornitori di servizi tradizionali, come i tassisti o gli albergatori, che combattono contro i nuovi entranti con tutte le armi a loro disposizione. «La crescita esplosiva dei nuovi modelli ha portato a battaglie normative e politiche nelle città di tutto il mondo, ma la mia opinione è che l’economia della condivisione sia qui per restare e sia destinata a crescere molto», sostiene Cohen. «Regolamentare la sharing economy è difficile, perché le leggi esistenti sono state sviluppate senza considerare alcuni aspetti tipici di un modello meno formale e più dinamico di produzione e consumo. Gli amministratori pubblici non dispongono di un solido quadro normativo per governare questi nuovi servizi e d’altra parte non sarebbe corretto costringerli entro i ristretti limiti delle normative attuali, tagliate a pennello sui modelli delle imprese tradizionali. Il mercato libero dovrà adattarsi a nuove regole per sostenere lo sviluppo di nuove forme di consumo, che contribuiscono alla transizione verso un’economia sostenibile e rinnovabile», prevede Cohen. Sta alla nostra creatività consentire a questa nuova economia di svilupparsi.

​Giornalista, scrive di temi economici, d'innovazione tecnologica, energia e ambiente per diverse testate, fra cui il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore e il Quotidiano Nazionale. Invidia i colleghi che riescono a star dietro a Twitter.