C’è una second life per le batterie

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C’è una second life per le batterie

Il deperimento della “benzina sostenibile” delle auto elettriche è lento. Dopo una decina d'anni la densità energetica cala ma possono essere impiegate per altri usi.

​​Il mercato delle batterie al litio è destinato, secondo Bloomberg New Energy Finance, a passare dai 25 miliardi di dollari attuali a 100 miliardi nel 2030. Quale altro mercato potrà competere con simili tassi di crescita? Per trovare la risposta non serve andare lontano: è il mercato delle batterie di seconda mano, o meglio second life, come si dice più elegantemente in inglese, perché non sono più adatte alla propulsione di un’auto, ma vanno ancora benissimo per gli usi stazionari. 

Il deperimento delle batterie delle auto elettriche è piuttosto lento, essendo costruite per durare nel tempo. Dopo una decina d’anni, però, la loro densità energetica cala al punto tale da non essere più adatte per questo utilizzo, considerando anche che nel frattempo saranno ulteriormente crollati i costi delle batterie nuove, al punto tale da rendere conveniente un ricambio. Con una capacità residua tra il 70 e l’80%, però, le batterie non più utilizzate per le auto possono essere ancora impiegate per lo storage in applicazioni diverse, che siano altri tipi di veicoli, oppure batterie domestiche, accumuli per le reti elettriche o per le torri di trasmissione delle telecomunicazioni. In questi casi che si parla di seconda vita. In base a una ricerca della società di analisi londinese Circular Energy Storage, l’utilizzo di batterie “second life” passerà da 1 GWh nel 2018 a oltre 16 GWh nel 2025 e a 45 GWh nel 2030, man mano che le prime ondate di auto elettriche arriveranno a fine vita, generando una rapida crescita del mercato, da quasi 1 miliardo di dollari nel 2025 a oltre 4 miliardi nel 2030, in gran parte concentrato in Cina. 

L’impegno dei brand dell’automotive

Un po’ tutte le case automobilistiche, da Renault a Hyundai, da Daimler a Bmw, da Toyota a Volkswagen, si stanno attivando per trovare uno sbocco remunerativo alle batterie che non possono più servire alla propulsione delle auto, con accordi e collaborazioni con diversi operatori elettrici, in un interessante connubio fra il settore dell’auto e quello dell’energia. Una delle compagnie più impegnate su questo fronte è Nissan, che è stata la prima a rimettere sul mercato degli accumuli domestici le batterie usate dei suoi veicoli, attraverso la filiale xStorage, e già nel 2019 ha messo a segno un’iniziativa ad effetto, dotando lo stadio di Amsterdam del più grande sistema di stoccaggio di energia in Europa, con le batterie riciclate di 148 Leaf collegate a 4.200 pannelli fotovoltaici. Nasce da qui anche il progetto Melilla Second Life di Enel, che in collaborazione con la marchigiana Loccioni sta riutilizzando le batterie Nissan in un sistema di storage stazionario, che serve a stabilizzare la rete elettrica e a migliorare la qualità dell’energia dell’exclave spagnola di Melilla, situata sulla costa nordafricana.

L’interesse di questo mercato è dimostrato anche dall’investimento di Jeff Bezos, che ha appena utilizzato una parte del suo fondo da 2 miliardi dedicato alle tecnologie pulite per entrare nella Redwood Materials, fondata dall’ex Cto di Tesla, Jeffrey Straubel. L’azienda, con sede in Nevada, non lontano dalla Gigafactory 1 di Tesla, sta lavorando con Panasonic per reimmettere nella catena produttiva i materiali estratti dalle batterie esaurite, con la prospettiva di diventare il principale riciclatore per le batterie di Tesla. Amazon utilizza batterie al litio in moltissimi rami della propria attività, in particolare nella crescente flotta di veicoli elettrici per le consegne. E non vuole rischiare di trovarsi con una montagna di batterie esaurite senza sapere che farne.

Parola d’ordine riciclo
In Europa, un importante progetto di recupero delle batterie è partito in Svezia. La Northvolt, fondata da altri due transfughi di Tesla, Peter Carlsson e Paolo Cerruti, ha appena annunciato di essere riuscita a realizzare la prima batteria NMC (sigla che nasce dai tre componenti nichel, manganese e cobalto) usando il 100% di materiale riciclato per la cella. Il riciclo è uno dei cavalli di battaglia di Northvolt, che è nata nel 2015 con grandi ambizioni e punta a una capacità di produzione di 150 GWh di batterie entro il 2030, equivalente a un quarto del mercato europeo. Entro quel termine Northvolt, che è partecipata dal gruppo Volkswagen e ha già due gigafactory in via di realizzazione – una a Skellefteå nel Nord della Svezia e l’altra a Salzgitter in Bassa Sassonia, vicino allo stabilimento Volkswagen – si è data l’obiettivo di recuperare metà del materiale dal riciclo di vecchie batterie per convertirlo in nuove celle, tramite la sua affiliata Revolt. L’idea è di riciclare già fin dall’inizio circa 25.000 tonnellate all’anno di celle.

Un’altra partnership di successo, in Germania, è quella di Audi con Umicore. Iniziata già nel 2018, l’alleanza è partita lavorando all’inizio sulle batterie usate sulla A3 e-tron phev, ibrida plug-in. Si è poi passati alle celle utilizzate sulla prima elettrica pura dell’Audi, la e-tron. La casa di Ingolstadt ha terminato la fase di test con Umicore, concludendo che più del 90 per cento del cobalto e del nichel delle batterie della e-tron possono essere riciclate e già dall’anno scorso ha cominciato a utilizzarle per costruire nuove celle.​

Il nodo degli approvvigionamenti

Nel frattempo, si sta muovendo anche Bruxelles. La Commissione europea ha deciso che dal 2025 le batterie dovranno indicare chiaramente se hanno materiali riciclati e dal 2030 dovranno necessariamente contenerli. Il punto è soprattutto riciclare i materiali più pregiati, come cobalto, nichel e litio, che provengono prevalentemente dal Congo, dalla Cina e dal Sudamerica e alla lunga potrebbero presentare problemi di approvvigionamento. In particolare per quanto riguarda il litio, un recente rapporto dell’Agenzia francese per l’ambiente e l’energia rileva che da un lato, anche nello scenario di massima diffusione della mobilità elettrica nel mondo al 2050 (fino al 75% di auto alimentate dalle batterie sul totale circolante), le riserve di litio saranno più che sufficienti a coprire la domanda, ma dall’altro si dovrà affrontare il problema della notevole concentrazione geografica delle risorse e della produzione globale di litio. Nel triangolo sudamericano tra Argentina, Bolivia e Cile, infatti, si trova più della metà dei giacimenti mondiali e in quella zona si concentra anche il 50% circa dell’intera produzione industriale di litio. L’Australia, invece, è il singolo Paese che produce la quantità più elevata di questa materia prima (40% del totale), a fronte di risorse minerarie piuttosto limitate. C’è poi da considerare il ruolo della Cina, che sta già perseguendo una politica molto aggressiva per garantirsi gli approvvigionamenti. Ecco perché il riciclo delle batterie esauste è fondamentale per non farsi prendere alla sprovvista dalle carenze di materie prime. ​

Belgio, Paesi Bassi, Germania, Italia e Norvegia, intanto, hanno fondato Reneos, la prima piattaforma europea per la raccolta e il riciclo delle batterie agli ioni di litio utilizzate nei veicoli elettrici, nello storage di energia domestico e nelle applicazioni industriali. Reneos metterà a frutto l’esperienza dei suoi partner nazionali per garantire il trasporto sicuro e lo stoccaggio di batterie esauste e danneggiate, nonché l’avvio al riutilizzo nella second life o al riciclo. Per l’Italia è presente Cobat, la storica piattaforma che da oltre 30 anni si occupa di riciclo di qualsiasi tipologia di accumulatori. Oltre a Cobat, fanno parte di Reneos la belga Bebat, la​ tedesca GRS Batterien, la norvegese BatteriRetur e l’olandese Stibat. Reneos anticipa le direttive del nuovo regolamento europeo sulle batterie, che attiverà requisiti molto stringenti di sostenibilità per ogni tappa della value chain delle batterie, fine vita compreso.

​Giornalista, scrive di temi economici, d'innovazione tecnologica, energia e ambiente per diverse testate, fra cui il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore e il Quotidiano Nazionale. Invidia i colleghi che riescono a star dietro a Twitter.