Questa terra non è un albergo

Prendete una mattina qualunque di un giorno qualunque. Voi uscite di casa e dagli alberi sul vialetto sentite il canto degli uccelli, dall’aiuola dei vicini vedete un glicine, qu
L’opera costruita sul Nilo Azzurro è un buon esempio di come la nostra specie possa, in tempi brevissimi, modificare la natura, il paesaggio e i territori con le infrastrutture. E ha spostato i confini di ambiente e politica.
Immaginate una diga così grande da cambiare la forma del Nilo e, potenzialmente, dare un nuovo volto a un’intera regione naturale. Non è il nome ufficiale ma “diga del Millennio” è un soprannome diffuso e piuttosto azzeccato, che è stato usato spesso in tutta l’Etiopia per rendere conto dell’immensità del progetto. Il nome ufficiale invece in italiano si tradurrebbe con “Diga del Rinascimento”, ma il concetto è lo stesso: un’unica infrastruttura capace di un impatto storico.
La diga si trova sul Nilo Azzurro, siamo a circa 700 chilometri a nord ovest della capitale etiope Addis Abeba, nella regione di Benishangul–Gumaz. Un’area naturale dal grande valore e dall’altrettanto grande biodiversità. Qui sull’altopiano etiope dopotutto nasce il ramo più ricco di uno dei fiumi più noti e importanti del mondo, il Nilo appunto.
La grande diga è un buon esempio di come la nostra specie possa, in tempi brevissimi, modificare la natura, il paesaggio e i territori: con le infrastrutture. Con 145 metri di altezza e 74 miliardi di metri cubi d’acqua (se a pieno regime) la diga del millennio è di gran lunga la più grande centrale idroelettrica di tutta l’Africa e produce fino a un massimo di 16.153 GWh annui. Un passo enorme per il territorio etiope, visto che il Paese africano ha ancora un’ampia fascia di popolazione con scarso accesso all’energia e un’altra percentuale di popolazione che addirittura non ha alcun allaccio alla corrente elettrica.
Com’è facile immaginare un’opera simile ha creato dibattiti e grandi tensioni, sia perché una diga del genere modifica il Nilo Azzurro, che poi più a valle insieme al Nilo giallo diventa il Nilo, sia perché questa avanzata tecnologica etiope ha preoccupato i paesi vicini: Sudan ed Egitto. Soprattutto con il Cairo le diatribe politiche e diplomatiche sono nate sin da subito, da quando il progetto fu presentato al pubblico nel 2011, quando al governo in Etiopia c’era il presidente Meles Zenawi. Il cuore della questione si può riassumere in una domanda: di chi è l’acqua del Nilo?
La natura, per quanto possa sembrare strano, non è interamente dominata dalle leggi statali. I regolamenti non riescono a categorizzarla come si pensa e si vorrebbe. Spesso i beni naturali semmai sfuggono a confini, agli accordi e alle definizioni. Vale per i ghiacciai, che si spostano con il riscaldamento globale: per esempio il rifugio Guide del Cervino oggi non si sa bene se sia in Svizzera o in Italia, perché il trattato che lo stabiliva si basa sulla posizione del ghiacciaio che nel frattempo, ahinoi, si è spostato. Lo stesso vale anche per i fiumi e per le falde acquifere, che attraversano intere regioni e non si sa bene quali Paesi abbiano o meno il diritto di sfruttarli. E vale infine per i mari, per gli stormi di uccelli, per le mandrie di animali che migrano, ma anche per i venti, per i pesci e per gli spazi aerei. A quali Paesi appartiene un bene naturale in continuo movimento?
Questo è il dilemma su cui si discute attorno alle acque del Nilo, e che oggi grava sulla costruzione della grande diga etiope. Secondo l’Egitto la costruzione etiope priva d’acqua il Nilo, cioè il bene più prezioso di cui godono gli egiziani e gli ecosistemi desertici della zona a valle. Secondo il governo etiope invece la logica è ovvia: il Nilo Azzurro ha le sue sorgenti nelle montagne attorno al Lago Tana, in Etiopia appunto, e quindi trattenere un po’ delle sue preziose acque è un diritto.
Lo scontro politico tra i due governi a tratti è stato molto duro, ma va visto come un duello squisitamente naturale: le risorse idriche sono preziose, e in natura, come sappiamo, per le risorse ci si affronta e, se necessario, si combatte e si è disposti a soffrire. Si stima che l’Etiopia abbia speso il 5% del suo Pil per realizzare questa diga. Uno sforzo collettivo enorme fatto per andare verso l’indipendenza energetica e per far uscire dalla povertà – si spera – milioni di persone.
Il governo etiope, temendo che i finanziamenti esteri potessero essere bloccati da Paesi contrari, ha deciso di finanziare da sé l’intero costo della diga. Quindi nessuna richiesta di prestiti o di finanziamenti a istituzioni oltreconfine: solo donazioni di privati su base volontaria, prelievi forzosi (ebbene sì) sugli stipendi dei dipendenti statali, tasse speciali e nuove emissioni di titoli di Stato. Con l’invito caloroso a tutti i cittadini etiopi (soprattutto quelli all’estero) a comprare questi titoli così da aiutare il proprio Paese in un’impresa storica. Ha funzionato.
L’Etiopia sull’altipiano dove nasce il Nilo Azzurro ospita una fauna, una flora e una biodiversità eccezionali. Lo chiamano anche “il tetto d’Africa”, perché qui le cime vanno dai 1000 fino ai 4500 metri di altezza: ci sono boschi immensi e rigogliosi, grandi gole, cascate e pascoli che da millenni vengono abitati e considerati “sacri” dalle popolazioni locali. Le leggende degli indigeni amhara, per esempio, raccontano del Nilo Azzurro come un corso d’acqua dannato, perché porta benefici immensi ma scorre velocemente verso valle, prima verso il Sudan e poi verso l’Egitto. L’acqua, andando via rapidamente viste le pendenze, non riesce – sempre secondo le credenze popolari – ad aiutare le persone a coltivare e a irrigare.
La diga voluta dal governo etiope in un certo senso sembra quasi una risposta a questa frustrazione millenaria, quella per il bene più prezioso che scorre via, sfugge tra le rocce per arricchire altri popoli, altri habitat. La grande diga del millennio, che è entrata a regime solo nel 2024 ma darà i suoi frutti nei prossimi anni è stata pensata per produrre energia, certo, ma anche per trattenere finalmente l’acqua necessaria ai campi e alle coltivazioni. Considerate un dato: il nord dell’Etiopia è ancora oggi una delle zone del mondo più a rischio carestia in tutto il mondo.
Nella storia di questa diga oltre ad acqua, diverbi diplomatici, maledizioni, campi coltivati e habitat naturali c’entra anche il riscaldamento globale: se l’Etiopia ha pianificato e portato a termine questa grande opera è anche perché questa regione dell’Africa orientale soffre sempre più spesso di periodi di siccità estrema.
Nel 1959, quando del riscaldamento globale non si aveva idea, fu firmato un accordo per la spartizione delle acque del Nilo: 18 miliardi di metri cubi spettavano di diritto al Sudan e 55,5 miliardi invece all’Egitto. Era un modo di garantire al Paese più a valle un approvvigionamento sufficiente. Da questo accordo l’Etiopia rimase esclusa perché si dava per scontato che più a monte le precipitazioni fossero abbondanti e sufficienti – e quindi che gli etiopi non avrebbero avuto alcun bisogno di attingere alle risorse del Nilo Azzurro. L’Egitto considera ancora valido quell’accordo, ma l’Etiopia risponde che no, col riscaldamento globale le cose sono cambiate.
I fiumi come il Nilo sono come delle grandi opere transnazionali, ma naturali. Connettono i Paesi e quando capita li fanno scontrare. Da millenni l’uomo ne modifica il corso, ne trattiene le acque o ne sfrutta le proprietà con chiuse, dighe e mulini. Oggi succede lo stesso, ma più in grande rispetto al passato. Anche se a dire il vero la modifica in sé è “piccola”, se consideriamo le dimensioni totali del Nilo, che è lungo oltre 6 mila chilometri e trasporta fino a 7,8 mila metri cubi d’acqua al secondo.
A prescindere dal fatto che si veda la diga del millennio come un’opera fisiologica o una troppo invasiva i risultati per l’area saranno notevoli: decine di migliaia di ettari coltivati avranno un’irrigazione regolare, grandi quantitativi di energia usata in Etiopia verranno da una fonte pulita come l’idroelettrico, l’Acrocoro etiopico cambierà volto e una delle zone più povere della Terra, a meno di sorprese, avrà una grande occasione di rinascita energetica, ambientale e sociale. Per esempio, l’intero impianto industriale per la produzione di canna da zucchero, lo Kuraz Sugar Development Project, dipenderà dalle acque della diga.