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Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Il 6% delle emissioni globali di gas serra e un terzo del consumo di materiali vengono dal settore delle costruzioni. Decarbonizzazione ed edilizia circolare sono il futuro.
Una gran parte di noi, in una giornata, passa più tempo in spazi chiusi che all’aperto, eppure non tutti sanno che proprio agli edifici è imputabile una buona fetta delle emissioni climalteranti e del consumo di energia. Si stima che nel vecchio continente gli edifici siano responsabili del 40% del consumo finale di energia e del 36% delle emissioni di gas serra, ciò tenendo conto di tutte le fasi di costruzione, utilizzo, ristrutturazione e demolizione.
A livello globale, secondo i dati diffusi dal World Economic Forum, circa il 26% delle emissioni globali di gas serra e un terzo del consumo di materiali provengono dall’ambiente edificato. Tutto ciò, peraltro, va analizzato in prospettiva con la crescita della popolazione e con l’accelerazione dell’urbanizzazione che potrebbero aumentare ulteriormente questa pressione sull’ambiente. Oggi, in genere, costruire, ristrutturare e demolire richiede un enorme dispendio di energia e di risorse per lo più non rinnovabili. Esiste tuttavia l’opportunità di passare dagli attuali modelli di consumo e produzione ad un approccio circolare. Secondo due recenti ricerche presentate dal WEF tutto ciò potrebbe portare non solo benefici ambientali, ma anche economici.
Accelerare la decarbonizzazione dell’ambiente costruito diviene quindi essenziale per un futuro sostenibile. Tutto ciò non è pura teoria, anzi: secondo le analisi condotte, le emissioni climalteranti del settore edile possono essere ridotte del 75% entro il 2050. Come? Passando ad un modello di edilizia circolare che consentirebbe un risparmio di 4 giga tonnellate di anidride carbonica. A dare i numeri e a presentare i dati è il recente rapporto Circularity in the Built Environment pubblicato da McKinsey in collaborazione con il World Economic Forum.
Lo studio ha approfondito il potenziale di riduzione del biossido di carbonio (CO2) e il possibile guadagno netto di valore attraverso differenti circuiti di circolarità per i sei materiali da costruzione più utilizzati su scala globale: cemento e calcestruzzo, acciaio, alluminio, plastica, vetro e gesso.
Secondo il paper, il riciclo dei materiali, la cattura e lo stoccaggio insieme al riutilizzo del carbonio potrebbero contribuire, entro il 2030, a raggiungere il 40% della decarbonizzazione che potrebbe arrivare a superare il 50% entro il 2050.
La circolarità presenta anche sostanziali vantaggi economici, potendo far registrare un utile netto annuo di 31-46 miliardi di dollari entro il 2030 e di 234-360 miliardi di dollari entro il 2050.
Riciclo, impiego di fonti rinnovabili, e tecnologie di carbon capture and storage (CCS) e carbon capture and utilization (CCU) garantirebbero enormi benefici per ogni singolo materiale oggetto dello studio. L’esempio principe è sicuramente quello di calcestruzzo e cemento che, ad oggi, contribuiscono per il 30% delle emissioni di CO2 legate ai materiali da costruzione e per il 7% alle emissioni globali. Ad incidere è soprattutto l’elevata quantità di energia richiesta per la produzione di cemento e i livelli di CO2 emessi durante l’estrazione, la lavorazione e la produzione. Un approccio circolare nel settore del cemento costituisce l’azione con maggior potenziale di creazione di valore nel settore – con un guadagno netto stimato solo per il cemento di 10 miliardi di dollari al 2030 e di 122 miliardi al 2050 – e in termini ambientali considerata la possibilità di abbattere il 96% delle emissioni di CO2 incorporate dal cemento entro il 2050.
A dare i numeri del valore anche economico della decarbonizzazione del settore delle costruzioni è stato, di recente, anche lo studio Building value by decarbonizing the built environment. Un’edilizia circolare, nel vero senso della parola, potrebbe portare, secondo i dati diffusi, profitti annui fino a 46 miliardi di dollari entro il 2030 e fino a 360 mila miliardi di dollari entro il 2050. Il paper ha approfondito le possibili soluzioni più efficaci già oggi disponibili attraverso le quali le aziende del comparto building – che, a livello mondiale impiegano, il 7% della popolazione e rappresentano il 13% della produzione economica – potrebbero trarre immediato guadagno riducendo, al contempo, l’impronta ambientale della propria attività.
Lo studio sul Building Value sottolinea che le emissioni sono ricollegabili a tutte le fasi del processo di costruzione. Queste emissioni possono essere raggruppate in emissioni operative (legate al funzionamento e alla manutenzione degli edifici e delle strutture) ed emissioni incorporate (legate alla produzione e al trasporto dei materiali da costruzione e alla costruzione degli edifici e delle strutture).
Le emissioni operative vengono costantemente rilasciate da costruzioni già esistenti e quindi si può lavorare per ridurle. Ad esempio, in media, le emissioni del riscaldamento degli ambienti e dell’acqua – che costituiscono circa tre quarti delle emissioni operative degli edifici residenziali – sono un obiettivo primario per la decarbonizzazione. Tra le misure più efficaci da adottare, ad esempio, si registrano le pompe di calore che, da sole, consentirebbero di ridurre l’impatto di circa il 60%.
Una volta che l’edificio è stato realizzato le emissioni incorporate non possono essere più ridotte ma solamente compensate. Prendendo in considerazione le ventidue principali misure individuate e ritenute applicabili in termini di decarbonizzazione, nonché in relazione al rapporto costo-efficacia e all’applicabilità concreta, si stima che una loro applicazione su larga scala potrebbe comportare un taglio delle emissioni operative fino al 90% e fino al 60% delle emissioni incorporate per la maggior parte dell’ambiente costruito.
Per passare però dalla teoria alla pratica in tempi così brevi e per cogliere le opportunità del cambiamento in ottica circolare servono – secondo gli analisti del paper – collaborazioni orizzontali e verticali lungo tutta la filiera.
Il processo di efficientamento e riduzione dei consumi energetici vede il Gruppo Unipol impegnato da anni concretamente in attività che si esplicitano tramite l’adesione alla Certificazione ISO 50.001 ed al suo sistema di gestione. Il Gruppo è inoltre impegnato nella costante riduzione delle emissioni climalteranti, dandosi obiettivi in linea con quanto previsto dai Governi con l’Accordo di Parigi.
La Certificazione essenziale è la ISO 50.001: implica, infatti, l’adozione di una metodologia di approccio al problema del risparmio e dell’efficienza energetica su tutti gli immobili del nostro perimetro e non soltanto sulle pur numerose punte di eccellenza di nostra proprietà. In tale ambito nel 2023 siamo intervenuti su 19 sedi direzionali, 70 centri di liquidazione e 46 immobili uso terzi. Il Gruppo non si occupa, quindi, solo delle sedi, ma anche del patrimonio utilizzato da terzi, che cura con le stesse modalità utilizzate per il patrimonio strumentale.
Gruppo Unipol sta contemporaneamente implementando la certificazione BREEAM, oltre alcuni immobili in certificazione LEED, che valuta l’impatto ambientale complessivo degli edifici attraverso l’applicazione di specifici criteri di valutazione nelle tre macroaree della sostenibilità, della costruzione e della normativa applicabile a nuove costruzioni e ristrutturazioni di edifici esistenti.
Questi processi virtuosi vengono esplicitati ed articolati tramite una corretta gestione in chiave energetica delle attività svolte, tramite gli interventi su tutto il patrimonio immobiliare, oltre ad una puntuale rendicontazione dei programmi e dei risultati ottenuti. Il lavoro svolto viene integrato facendone quindi parte intrinseca dalla formazione e informazione di tutti gli attori operanti, sia degli utenti, dipendenti e professionisti che fanno parte di questo complesso sistema.