L’umanità nel Pirocene

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L’umanità nel Pirocene

Per la scienza siamo entrati in una nuova era geologica in cui sono gli incendi di vaste proporzioni, sempre più frequenti e diffusi in un numero sempre maggiore di regioni del mondo, a caratterizzare l'impatto dell'uomo sul pianeta

Neanche il tempo di farci l’abitudine che siamo già andati oltre. E non è una buona notizia. Erano i primi anni 2000 quando il premio Nobel 1995 per la Chimica Paul J. Crutzen nei suoi studi, e poi nei suoi libri, iniziava a parlare di una nuova era geologica che aveva iniziato a definirsi soppiantando l’olocene che durava da circa 12mila anni: l’Antropocene, nella quale è l’uomo il principale attore dei cambiamenti che riguardano il nostro pianeta. Ciò che caratterizza l’Antropocene è l’impatto esercitato dall’uomo sull’ambiente in particolare attraverso le emissioni di anidride carbonica antropogeniche, cioè prodotte da attività umane. Secondo Crutzen, da alcuni definito “l’uomo dell’Antropocene”, l’inizio di questa nuova era geologica si può datare intorno alla fine del 1700, quando l’invenzione della macchina a vapore e la conseguente rivoluzione industriale avevano iniziato a far crescere la concentrazione di anidride carbonica e metano in atmosfera, come indicato dalle analisi dell’aria intrappolata nei ghiacci polari. Della questione della datazione dell’Antropocene si è comunque fatto carico uno specifico Working Group costituito nel 2009 in seno alla Commissione Internazionale sulla Stratigrafia.

Una nuova fase distruttiva

Chi si occupa a livello scientifico di questioni legate ad esempio all’ambiente, alla biodiversità, al clima e segnatamente alla crisi climatica, è stato quindi costretto a masticare di antropocene da almeno quindici-vent’anni. Ma probabilmente i più, anche legittimamente, non ne hanno mai sentito parlare. Anche perché non è esattamente un argomento che i media mainstream intercettano facilmente coi loro radar, o col quale hanno familiarità, o più semplicemente non lo vedono con troppa simpatia.

In ogni caso, come si anticipava, il dibattito si sta rapidamente spostando oltre. Non perché sia alle porte una nuova era geologica, che obiettivamente sarebbe un tantinello presto. Ma perché c’è un nuovo termine che ha iniziato a circolare per indicare ciò che sta capitando in questi ultimissimi anni, e sempre per colpa nostra, al pianeta in cui viviamo. Questo termine è Pirocene: come spiega la Treccani, che lo inserisce fra i neologismi, sta ad indicare “il periodo storico più recente, caratterizzato dall’aumento della quantità di incendi di vaste proporzioni collegati al peggiorare delle condizioni climatiche provocato dal riscaldamento globale”.

A coniare il nuovo termine è stato il professor Stephen J. Pyne, esperto di storia ambientale e docente all’Università dell’Arizona, che l’ha utilizzato per la prima volta in un saggio pubblicato nel 2015 e ha poi affidato le sue riflessioni in proposito al volume “Pirocene. Viaggio nell’età del fuoco, tra passato e futuro”. Questo è, infatti, il messaggio principale che chi utilizza il termine Pirocene intende lanciare: siamo entrati in quella che si può chiamare l’Età del Fuoco, cioè una fase della crisi climatica – che purtroppo avanza – in cui l’elemento più caratterizzante è costituito dai mega-incendi, dalle proporzioni sempre più gigantesche, dagli impatti sempre più devastanti sull’ambiente che ci circonda e sulle nostre vite. L’uomo ha tratto grandi vantaggi dalla sua capacità di utilizzare e in qualche modo di domare il fuoco, le fiamme. Ma la cosa ci è sfuggita di mano perché oggi quel fuoco e quelle fiamme, “cucinando” in un certo senso il pianeta in cui viviamo e le risorse naturali – come le foreste – di cui abbiamo assoluto bisogno per vivere, hanno finito per ritorcersi contro di noi.

I mega incendi

Basta richiamare solo alcuni della lunga lista di mega-incendi scatenatisi su scala globale negli ultimi anni per comprendere le più che valide motivazioni di chi ha preso a parlare di Pirocene.

Tra la metà del 2019 e i primi mesi del 2020 fu l’Australia, in particolare il Sud-Est del Paese, a dover fronteggiare una stagione di incendi che imperversò addirittura per otto mesi. Devastante, ovviamente, il loro impatto: in termini di vittime, di abitazioni distrutte, di foreste ridotte in fumo, di animali uccisi dai roghi (oltre il miliardo!), di danni alla salute subiti da milioni di persone costrette a inalare i fumi tossici che dalle zone dei roghi arrivavano nelle aree più densamente popolate come quelle urbane. Per gli amanti dello sport e del tennis in particolare, resteranno indimenticabili le immagini di atlete ed atleti impegnati nell’Australian Open di Tennis, a gennaio 2020, che faticavano a respirare e in alcuni casi furono costretti al ritiro a causa di crisi respiratorie. Non a caso proprio a gennaio 2020 un articolo pubblicato sul sito di UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, si chiedeva se i mega-incendi fossero ormai da considerarsi la nuova normalità, visto quelli che oltre che in Australia si erano massicciamente propagati in Amazzonia, Congo, Indonesia, Russia, Brasile.

A metà settembre del 2020 il titolo di prima pagina del Los Angeles Times non lasciava spazio a fraintendimenti: “California’s climate apocalypse”. Il riferimento era alla stagione di mega-incendi che aveva colpito soprattutto la California, dove record di temperatura erano crollati uno dopo l’altro, ma anche altri Stati degli USA. Anche in quel caso mietendo numerose vittime, carbonizzando milioni di ettari di territorio e provocando un forte degrado della qualità dell’aria nelle città in cui il fumo degli incendi era arrivato più intenso.

Il caso di Lytton basterebbe da solo. A fine giugno di due anni fa, nella cittadina canadese della British Columbia, la colonnina del termometro, dopo esserci andata vicino nei giorni precedenti, aveva toccato i 49,6° C, la temperatura più alta mai registrata nell’intera storia del Canada. Di lì a poche ora si sviluppò un incendio che avvolse la città e la rase letteralmente al suolo: apocalittiche le immagini di ciò che restava, fra scheletri di edifici carbonizzati e carcasse di auto annerite. Ad agosto di quest’anno la storia in Canada si è ripetuta: stavolta a fare notizia è stata l’evacuazione della città di Yellowknife, nei Territori del Nord Ovest, a causa dell’emergenza incendi che a centinaia stavano martoriando quelle zone.

Sempre la scorsa estate, quelli divampati in Grecia e che hanno coinvolto anche il Parco nazionale di Dadia, sono stati classificati come gli incendi più vasti mai registrati nella storia d’Europa. Di nuovo vittime, ecatombe di animali, decine di migliaia di ettari di territorio bruciati, ecosistemi e biodiversità devastati.

Essiccamento travolgente

Cosa c’entra la crisi climatica con i mega-incendi e il Pirocene? Molto, stando agli esperti che lo dicono da anni e continuano a ripeterlo. Perché la crisi climatica porta con sé temperature sempre più elevate, che vogliono dire stagioni calde e secche sempre più intense e prolungate, siccità più severe, terreni sempre più aridi e fragili, tutti fattori che rendono sempre più elevata la probabilità che gli incendi si verifichino, che aumenti la loro frequenza e la loro intensità.

I risultati di un recente studio effettuato da ricercatori di Météo-France (il servizio nazionale meteorologico francese), alcuni dei quali coinvolti anche nella redazione dei rapporti di IPCC (il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, le cui pubblicazioni sono il punto di riferimento a livello mondiale per quanto riguarda la scienza del clima), oltre a confermarne l’origine antropica dicono che l’“essiccamento” dei continenti in termini di umidità relativa dell’aria in superficie sarebbe anche più marcato di quanto previsto dai modelli. Uno studio del 2022 di UNEP, che fra le cause oltre al clima chiama pesantemente in causa l’uso del suolo, parla apertamente di un “pianeta in fiamme” e prevede che su scala globale gli incendi estremi potrebbero aumentare di un terzo entro il 2050 e del cinquanta per cento entro la fine del secolo. Quanto alla già richiamata stagione di incendi che ha colpito il Canada quest’anno, è stato calcolato che il verificarsi delle condizioni meteorologiche estreme che li hanno favoriti è stato reso il doppio più probabile proprio dalla crisi climatica. Al punto da spingere gli esperti ad affermare che il Pirocene è qui. Ad alimentarlo, guarda caso, è il “fuoco” dell’utilizzo dei combustibili fossili, di gran lunga la prima causa della crisi climatica. Ancora una volta, tutto si tiene.

Giornalista, blogger, storytweeter. Laurea alla Bocconi. Da metà anni ’90 segue il dibattito sui temi di finanza sostenibile, csr, economia sociale. Blogga su mondosri.info. Homo twittante.​​​​