Pedalando verso il benessere
Continua il viaggio di Grammenos Mastrojeni alla ricerca di soluzioni che possono condurci con i nostri comportamenti verso una felicità sostenibile. Abbiamo esplorato il tema del
Il colosso cinese di matrice commerciale Cofco riceve miliardi per rispettare gli ecosistemi, ma nonostante le promesse i risultati sono deludenti.
Sulla Terra siamo oltre otto miliardi di persone. Il numero è tale che capire davvero quanto sia alto non è semplice. Alcuni dati però possono darci una mano. Basta pensare, per esempio, che un secolo fa – poco più che un battito di ciglia se consideriamo la lunghezza della storia umana – eravamo solo un miliardo. Uno solo. Oggi, invece, ci sono nazioni che superano da sole il miliardo di abitanti. Come la Cina e l’India. La rapida crescita della popolazione ha spesso fatto preoccupare gli economisti e i politici soprattutto per un motivo: le risorse ci sono davvero per sostentare tutti oppure no?
L’esempio più utile da osservare per rispondere a questa domanda è la Cina. Cioè la nazione la cui popolazione è cresciuta di più e in cui il benessere si è diffuso con maggiore successo negli ultimi anni. Il cosiddetto “miracolo cinese”. Com’è che la Cina sfama la sua popolazione di ben mille e quattrocento milioni di persone? Ci pensano grandi aziende statali come Cofco. Cofco (che è l’acronimo di China Oil and Foodstuffs Corporation) compra, produce e commissiona così tanto cibo da avere un impatto enorme non solo sulla Cina, ma sul pianeta intero. Moltissima della soia che serve al grande mercato cinese, per esempio, è prodotta in Brasile. Molto dell’olio invece viene dall’Indonesia e così via. La quantità di merci che Cofco gestisce annualmente è così alta da avere un impatto diretto anche sulla deforestazione dell’Amazzonia e sul rispetto dei trattati internazionali sulle emissioni clima-alteranti.
In teoria Cofco è un’azienda leader del rispetto ambientale e della sostenibilità: già qualche anno fa veniva annunciato pubblicamente che entro il 2030 la soia gestita da Cofco non avrebbe contribuito per nulla alla deforestazione illegale o delle aree protette. Si annunciavano anche un’ottima tracciabilità dei prodotti trattati e acquistati e grandi investimenti nei crediti di decarbonizzazione. Ma, al netto della teoria, la pratica sembra essere molto diversa. Secondo i dati diffusi dal “Rainforest Investigations Network” del Pulitzer Center, che per verificarli ha collaborato con il quotidiano investigativo “Repórter Brasil”, l’attività di Cofco continua a contribuire alla deforestazione di diverse zone dell’Amazzonia. E questo nonostante il gigante del commercio cinese abbia ricevuto miliardi di euro in sgravi fiscali proprio in nome del suo basso impatto ambientale.
Per ricevere miliardi in prestiti a interessi ridotti Cofco si è posta negli scorsi anni obiettivi industriali molto ambiziosi, e i lauti finanziamenti ricevuti erano pensati proprio per mantenere queste promesse. Cofco, però, non starebbe rispettando gli impegni presi. Lo dimostrano le immagini satellitari delle aree in cui sono stati prodotti i beni poi esportati in Cina, i contratti commerciali stessi ottenuti dai giornalisti del Pulitzer Center e diverse altre evidenze. Che la Cina e le sue grandi aziende statali siano impegnate nella salvaguardia dell’ambiente è essenziale per la tenuta degli ecosistemi terrestri. Secondo i dati diffusi dal WWF la Cina è la causa di un quarto di tutta la deforestazione legata al commercio internazionale. Più dell’intera Unione europea e più degli Stati Uniti.
Secondo un’esperta di sostenibilità aziendale come Isabel Nepstad, che di recente su questo tema è stata intervistata dalla no-profit Mongabay, la Cina non rispetta gli impegni ambientali per un motivo semplice: non c’è la volontà politica di farlo. Le aziende cinesi, sostiene Nepstad, seguirebbero subito le indicazioni del governo su un maggiore impegno contro la deforestazione se gli venisse chiesto. Ma, al momento, «le preoccupazioni sulla sicurezza alimentare stanno avendo la precedenza sugli obiettivi climatici». Non ci sono dichiarazioni di funzionari del governo di Pechino in merito, ma l’ipotesi di Nepstad è da considerare attendibile, soprattutto alla luce delle inchieste indipendenti sull’impatto ambientale di Cofco. Repórter Brasil, per esempio, ha visto come gli stabilimenti di Cofco nello stato brasiliano di Mato Grosso hanno ricevuto carichi di soia piantata in aree deforestate illegalmente. E questo è stato possibile utilizzando semplici intermediari per le vendite.
I prestiti ricevuti da Cofco a interessi ridotti sono stati da record. In particolare, quello da 2,3 miliardi di dollari (da un insieme di 21 banche diverse) è stato, come ha scritto Mongabay, il «più grande prestito legato alla sostenibilità mai firmato da un’azienda che commercia materie prime». E ha fatto sì che l’azienda ne ricevesse molti altri. Ma questi prestiti includono degli obblighi precisi, come rispettare le leggi ambientali, comprare olio di palma che non venga dalla deforestazione delle foreste pluviali, comprare soia da fornitori che rispettano la Moratoria sulla soia e ancora rispettare le aree naturali protette, evitando di incentivarne la distruzione o il danneggiamento.
È comprensibile che la Cina, che tuttora rimane un Paese emergente, abbia come prioritario il tema della sicurezza alimentare. D’altronde fu proprio in Cina la celebre “Grande carestia”, la peggiore della storia umana, che causò oltre 50 milioni di morti tra il 1958 e il 1962. Quello che invece non è comprensibile è come la seconda economia mondiale riesca, grazie alla mancanza di trasparenza, a fare false promesse sui temi ambientali. A scapito di riserve naturali, animali in via d’estinzione ed ecosistemi unici come quelli dell’Amazzonia brasiliana. E come questo faccia, tutto sommato, poco scalpore.
Che Cofco non stia rispettando i propri impegni ambientali ci dovrebbe preoccupare per molte ragioni. E non solo per l’impatto ambientale del colosso cinese. Per esempio, ci obbliga a chiederci se l’economia mondiale delle materie prime, per come funziona oggi, sia troppo poco trasparente e priva di regole ambientali che sia possibile far rispettare.