Glasgow: un bilancio, anzi due

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Glasgow: un bilancio, anzi due

Luci e ombre di quella che doveva essere la COP del millennio, decisiva per salvare il Pianeta. Forse era troppo presto per rivoltare il sistema ma si sono tre novità fondamentali.

Conclusasi quella che doveva essere la “CoP del millennio”, sedimentate le prime reazioni a caldo, è ora di bilanci. E un primo bilancio, quello più spontaneo, si deve compiere sui testi adottati dai negoziatori: luci e ombre rispetto alle ambizioni annunciate. Qualcosa è andato bene, qualcos’altro male. Per dirla con Giorgio Vacchiano e Luca Carra “Le molte questioni ancora aperte non possono offuscare i risultati ottenuti sulle rive del Clyde della città scozzese. Quella di Glasgow è stata la prima COP a nominare il carbone proponendone una decisa riduzione, a impegnarsi a ridurre celermente i sussidi “inefficienti” alle fonti fossili, e a contrastare le emissioni di metano e degli altri gas serra diversi dal biossido di carbonio. Sembra incredibile ma nessuna delle 25 COP precedenti ne aveva mai parlato esplicitamente nei loro documenti ufficiali. Va tuttavia rilevato che alcuni dei buoni propositi annunciati durante la COP 26 sono stati ridimensionati da una estenuante attività di diluizione delle novità più eclatanti. La più rilevante di queste è stata la riformulazione pretesa da India e Cina dell’impegno a dismettere in tempi ragionevolmente rapidi l’uso del carbone. Il phase out (eliminazione graduale) della fonte fossile è stato sostituito infatti all’ultimo minuto dei negoziati da un più blando phase down (riduzione graduale)”. E con questa lunga citazione, rinvio per un’equilibrata analisi delle conclusioni di Glasgow al loro eccellente articolo CoP26, un altro (piccolo) passo avanti.

Ma la sfida climatica non è rinchiusa dentro le CoP, come se fossero un campionato di calcio che inizia e finisce fra il campo e gli spalti. Alle riunioni annuali degli Stati membri della Convenzione delle Nazioni Unite per Combattere il Cambiamento Climatico – queste sono le Conferences of Parties – si deve gestire qualcosa che succede al loro esterno, nel mondo reale. E rispetto al mondo reale di Glasgow si può dire che ha avuto una tempistica sfortunata, ma qualcosa  di buono fuori sta succedendo.

Glasgow è infatti intervenuta troppo presto per raccogliere e valorizzare pienamente tre sviluppi che si stanno affermando fuori del negoziato, ma che vi si riflettono. Sviluppi promettenti, che però rappresentano un cambio di paradigma difficile da metabolizzare in poco tempo nell’inerzia di procedure e posizioni negoziali calibrate per ormai quasi 30 anni su un mondo reale differente. E l’aver potuto raccogliere questi cambiamenti solo in parte spiega il quel bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno che un po’ tutti vedono nei risultati testuali di Glasgow. Ma di cosa parliamo? Di novità fondamentali, perché nel mondo reale sono cadute tre contrapposizioni che finora hanno imbrigliato il negoziato.

  1. La prima contrapposizione che si sta dissolvendo è quella fra Stati e società civile: anzitutto, la gente ora c’è e partecipa e, a questo proposito, mi si consenta di sottolineare il ruolo della tanto criticata Greta; se le società nel loro insieme ora si interessano e scendono in piazza molto si deve a lei. E si respira un’aria nuova, il discorso non è più di accusa reciproca ma – palpabilmente anche in tutte le dimostrazioni che circondavano la sede delle riunioni – di alleanza reciproca. Quasi un paradosso, i Governi – che non hanno mai amato le folle di manifestanti – ora li vogliono: cercano nella loro mobilitazione il segnale che, a fare la cosa giusta per il pianeta, non torneranno a casa per trovare proteste in stile Gilet Gialli, inferociti da una tassa ecologica sui carburanti.
  2. Cade anche un altro scontro paralizzante: fra chi riteneva che il clima fosse una posta in gioco reale e chi si aggrappava invece all’idea di un primato dell’economia da non scalfire. Per la prima volta a Glasgow di indifferenti o contrari non se ne sono proprio visti. Con tutti concordi sulla realtà della crisi climatica e sulla necessità di scongiurare gli sviluppi peggiori, la tensione negoziale si è invece spostata fra urgenza e complessità: l’urgenza di agire dato dal rapido avvicinarsi di punti di non ritorno da armonizzare con la complessità del problema dello sviluppo, per evitare che misure ideali per difendere il clima non si trasformino in tragedie umane e fonti di emissioni semmai maggiori perché portano qualche settore o qualche comunità al tracollo economico e sociale.
  3. Glasgow è stata la prima CoP in cui si sono invertiti i termini della “Madre di tutte le battaglie” climatiche: la prima CoP in cui si è capito che la transizione ecologica non è un fardello che rallenterà le economie bensì una opportunità di sviluppo giusto e duraturo. La corsa cambia: non ci si lancia ognuno a scaricare sull’altro l’obbligo di fare qualcosa; ora si corre per partecipare tutti, ognuno con le sue cautele, ai dividendi di un gigantesco affare globale.

A Glasgow era troppo presto per rivoltare tutto il negoziato in modo da fargli riflettere queste novità promettenti. Ora è essenziale che a Sharm el-SheiKh, ove si terrà la prossima CoP27, non sia troppo tardi.​

È​ Vice Segretario Generale per l’Energia e l’Azione Climatica dell’Unione del Mediterraneo. È​ un diplomatico italiano ed è stato coordinatore per l'eco-sostenibilità della Cooperazione allo Sviluppo. È stato delegato alle Nazioni Unite, console in Brasile, consigliere politico a Parigi e, alla Farnesina, responsabile dei rapporti con la stampa straniera e direttore del sito internet del Ministero degli Esteri. Da una ventina d'anni concentra la sua attenzione sui cambiamenti climatici. Nel 2009 la Ottawa University in Canada gli ha affidato il primo insegnamento attivato da un'università sulla questione ambiente, risorse, conflitti e risoluzione dei conflitti. Collabora da tempo con il Climate Reality Project, fondato dal premio Nobel per la pace Al Gore.