Film e serie Tv: la frontiera sostenibile

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Film e serie Tv: la frontiera sostenibile

Cosa significa esattamente transizione ecologica nel contesto della produzione audiovisiva. Quali fasi della produzione sono interessate e quali sono le figure professionali coinvolte.

Il cinema e la televisione hanno un enorme impatto culturale e sociale e la loro influenza si manifesta in tanti esempi. Chi, per parlare di uno specifico tema, non ha mai citato la battuta di un film? Nel contesto della cultura verde si potrebbero ricordare pellicole come The Day After Tomorrow e Don’t Look Up che trattano i cambiamenti climatici; Wall-E che introduce i più giovani al problema dei rifiuti e Siccità che invita a riflettere sul valore dell’acqua, il nostro oro blu.
Tuttavia, il binomio cinema/Tv e sostenibilità non riguarda solo le trame dei film. Oggi anche le modalità di produzione delle pellicole sono attente sia all’aspetto ambientale, sia al sociale e cresce il numero di produzioni che ottengono certificazioni di sostenibilità adottando protocolli che consentono di ridurre l’impatto ambientale e sociale di film, documentari, serie tv e anche di spot pubblicitari

L’impronta ambientale e sociale della fabbrica dei sogni

Le produzioni audiovisive operano come veri e propri villaggi viaggianti costruendo e smantellando set temporanei, spostando un numero indefinito di persone, consumando risorse e generando rifiuti. Inoltre, effettuare le riprese in aree naturalistiche, ma anche nel centro di una città o di un paese, può impattare negativamente sulla flora e sulla fauna locali, così come sulla vita degli abitanti. Qual è la strada della sostenibilità? Diciamo subito che i principi di sostenibilità possono riguardare tutte le fasi di produzione (preparazione, riprese e post-produzione) e tutti i prodotti audio visivi di varia complessità come lungometraggi, documentari, animazione, cortometraggi, set pubblicitari. Per disciplinare questo ambito devono essere realizzati protocolli guida che consentono ai soggetti che li applicano, sotto la validazione di un soggetto terzo, di ottenere certificazioni ad hoc.

Cosa significa esattamente “transizione ecologica” nel contesto della produzione audiovisiva? Quali figure professionali sono necessarie su un set per guidare e controllare questa transizione? E. soprattutto, ridurre l’impronta ambientale e sociale aumenta i costi o li riduce? Changes lo ha chiesto a Ludovica Chiarini, CEO di EcoMuvi società specializzata in Sustainability Supervisor per il cinema e l’audiovisivo, nata proprio per guidare le produzioni che scelgono di seguire la via della sostenibilità e che ha ottenuto per il proprio protocollo l’accreditamento di Accredia. Ecco quali sono i punti chiave da rispettare.

Serve un manager della sostenibilità

Quel che va immediatamente chiarito è che non basta “prendere in mano” un protocollo per saperlo attuare. Per guidare la transizione sostenibile di una produzione è necessaria una figura professionale tra le più contemporanee del nostro secolo: il manager della sostenibilità. Se le grandissime major, per coprire questo ruolo, iniziano ad assumere figure interne, nella gran parte dei casi l’esperto è un professionista esterno il cui compito è proprio quello di integrare pratiche sostenibili nelle produzioni audiovisive. Il suo lavoro inizia molto prima che si inauguri il set. Il vero grande sforzo di riduzione degli impatti avviene proprio nella fase di preproduzione.

Le attività de manager della sostenibilità sono molteplici:

  • analizzare e valutare l’impatto ambientale di tutte le fasi della produzione
    identificare le aree di miglioramento;
  • dialogare con tutte le diverse figure coinvolte nel cast e nella troupe;
  • svolgere un lavoro di formazione e sensibilizzazione dentro e fuori dal set;
  • lavorare a stretto contatto con fornitori e partner per garantire che i materiali e i servizi utilizzati siano il più possibile sostenibili;
  • monitorare e produrre report in modo costante per documentare i progressi e le aree di miglioramento.

Dalla preproduzione al post-produzione: alcuni esempi

La prima fase è la preproduzione e una delle iniziative sostenibili più semplici da adottare è scegliere location che minimizzino il bisogno di trasporti lunghi e complessi, riducendo così le emissioni di CO2. Un’altra pratica comune è pianificare soluzioni di trasporto condiviso per il cast e la troupe, promuovendo l’uso di veicoli elettrici o ibridi. Se guardiamo alla logistica e ai materiali, una delle soluzioni più consigliare è sostituire i generatori a gasolio con modelli ibridi o con allacci elettrici temporanei per ridurre il consumo di carburante e Optare per materiali e forniture che riducano i prodotti monouso (pensiamo ai pasti) e che consentano una seconda vita agli allestimenti, dalle scenografie agli abiti.

Quando si arriva in produzione gli esempi più immediati di sostenibilità vanno dalla raccolta differenziata dei rifiuti fino all’ottimizzazione dell’uso delle location per ridurre i giorni di intervento. Sono davvero tanti i risultati concreti che si possono raggiungere. C’è poi un impatto invisibile nella post-produzione. Un caso significativo è rappresentato dalla produzione di film animati. «Spesso la parte di sviluppo viene effettuata in un Paese – spiega Charini – mentre l’animazione vera e propria viene realizzata in paesi come India, Cina o Bulgaria e il manager della sostenibilità indaga circa le condizioni ambientali e di diritti dei lavoratori in tali luoghi. È fondamentale chiedersi: come lavorano qui le persone? Sono tutelate come noi? Utilizzano macchine efficienti o lavorano in condizioni estreme con temperature che possono raggiungere i 47 gradi?».Un altro esempio riguarda la gestione della grande quantità di materiali che avanzano quando si chiude un set. Spesso non c’è abbastanza tempo per inventariare tutto, decidere cosa donare, cosa rigenerare e tutto finisce per diventare rifiuto, con costi di smaltimento elevati. Anche quando non si butta via, l’alternativa è stoccare tutto in magazzino (e anche questa attività ha un costo), ma spesso ciò avviene in modo disorganizzato, rendendo difficile il recupero per produzioni future.

Certificazione: costo od opportunità?

Nell’industria cinematografica, l’adozione di protocolli di sostenibilità non è solamente una mossa etica, ma rappresenta anche una scelta strategicamente conveniente sia dal punto di vista competitivo, sia economico. «In Italia e generalmente nel resto d’Europa – spiega Chiarini – non esistano ancora incentivi economici diretti per la sostenibilità nelle produzioni audiovisive, eccezion fatta per l’Austria che offre un extra tax credit del 5%. L’adozione di protocolli validati da certificazione porta comunque a vantaggi economici indiretti in termini di uso efficiente delle risorse e, quindi, di risparmio e consente di guadagnare punteggi e riconoscimenti aggiuntivi utili ad ottenere finanziamenti dalle varie Film Commission». Analizzando i dati medi di EcoMuvi, le spese di certificazione e di assunzione del manager sostenibile rappresentano circa l’1-1,5% del budget complessivo di una produzione.

Specializzata su temi ambientali e sui new media. Co-ideatrice del premio Top Green Influencer. È co-fondatrice della FIMA e fa parte del comitato organizzatore del Festival del Giornalismo Ambientale. Nel comitato promotore del Green Drop Award, premio collaterale alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2018 ha vinto il prestigioso Macchianera Internet Awards per l'impegno nella divulgazione dei temi legati all'economia circolare. Moderatrice e speaker in molteplici eventi, svolge, inoltre, attività di formazione e docenza sulle materie legate al web 2.0 e sulla comunicazione ambientale.