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Cinque storie italiane di bioeconomia che usano in maniera efficiente le risorse, riducono gli sprechi, tutelano la terra e la biodiversità.
Quello che stiamo vivendo è forse il secolo della consapevolezza, quello in cui si è finalmente capito che il modello di sviluppo del XX secolo è assolutamente insostenibile. Come noto, anno dopo anno, esauriamo prima del tempo le risorse che il Pianeta ci mette a disposizione “rosicchiando” quel capitale naturale che, non solo non andrebbe eroso, bensì tutelato e accresciuto.
La sfida del nuovo modello di sviluppo parte dall’impegno ad attuare una cultura della produzione che rispetti gli equilibri delle risorse, rimanendo nei limiti ecosistemici ma anche imparando a disegnare diversamente i processi produttivi e lavorando per ridurre gli scarti. Negli ultimi anni, in tal senso, ha preso piede l’economia circolare.
Un grande esempio di economia circolare è quello della bioeconomia incentrata sull’uso efficiente delle risorse, sulla riduzione degli sprechi, sulla tutela della terra e della biodiversità. Il suo modello è definibile “dalla terra alla terra” e vede nell’Italia uno dei Paesi con il più significativo numero di esempi di imprenditoria leader in tale campo.
Per far sì che la nostra spiegazione sia concreta, abbiamo selezionato cinque storie di ingegno made in Italy.
Non si può non partire da quella che è un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale. Forse non tutti sanno che il Mater-Bi® è una famiglia di bioplastiche che rappresenta una innovazione italiana nata all’interno di Novamont dal lavoro di ricerca e dalla capacità imprenditoriale di Catia Bastioli.
La Novamont – oggi famosa a livello internazionale – è una società leader nel settore della bioeconomia e nella produzione delle bioplastiche. Il modello di sviluppo che la società porta avanti guarda alla bioeconomia come a un fattore di rigenerazione territoriale e si basa su tre pilastri: la creazione di infrastrutture di bioeconomia, lo sviluppo di filiere agricole integrate e i prodotti intesi come soluzioni.
Ad oggi Novamont conta su 6 siti che rappresentano una rete di infrastrutture collegate a partire dallo storico centro direzionale e di ricerca, sito a Novara, dove è stato sviluppato il MATER-BI, la famiglia di bioplastiche contenenti materie prime di origine vegetale e che è biodegradabile e compostabile. La produzione vera e propria del MATER-BI è realizzata invece nel sito industriale di Terni e ora si sviluppa anche nel Lazio con Mater-Biopolymer, un sito recentemente riconvertito e reindustrializzato. Sempre in ottica di reindustrializzazione anche Mater-Biotech e Matrica, insieme al centro di ricerca Biotecnologico in provincia di Caserta, che sono le bioraffinerie che trasformano le materie prime vegetali e gli scarti in importanti biochemicals quale il butandiolo ed altri che sono la base per la produzione dei biopolimeri, ma che rappresentano anche intermedi chimici per l’industria della chimica verde. Un asset da sempre fondamentale e in continuo sviluppo è quello della ricerca in stretta collaborazione con il mondo accademico per poter ottimizzare l’utilizzo delle bioplastiche, e non solo, negli usi e per massimizzare le fonti rinnovabili, diverse tra loro, a seconda dei territori e dei tipi di colture e scarti agricoli. In tale contesto sono stati messi a punto progetti di filiera mirati che hanno consentito di rendere produttive terre marginali o in riconversione produttiva, non adatte a scopo alimentare, potendo così ridare vita (ed economia) ad alcuni territori non adatti ad usi agricoli per la produzione di cibo.
Le eccellenze italiane nel campo della filiera delle bioplastiche non riguardano solo la produzione dei biopolimeri ma anche la loro trasformazione.
Tra le aziende che realizzano prodotti biobased ve n’è una che potremmo definire “da campioni”. Ecozema srl società benefit è nata oltre cento anni fa e rappresenta un esempio di impresa di economia circolare che negli anni ha saputo rinnovarsi e innovare. I primi esperimenti con i biopolimeri, come il Mater-Bi di Novamont, risalgono addirittura al 2000 mentre il noto brand delle bioplastiche è del 2005. Da allora l’impresa veneta si è attestata tra le realtà leader nella produzione di prodotti per catering monouso, biodegradabili e compostabili, realizzati con biopolimeri o con fibre vegetali e in possesso di certificazione OK-Compost, secondo la norma Europea EN 13432, che attesta che posate, piatti e bicchieri possono essere conferiti nella raccolta differenziata dell’umido per ritornare a nuova vita grazie agli impianti di compostaggio.
Esempio, in Italia e all’estero, di economia circolare, le ecostoviglie vicentine vengono lavorate con materiali ricavati da fonti rinnovabili di origine vegetale, pronte per tornare, dopo l’utilizzo e il processo di compostaggio industriale, alla terra sotto forma di concime.
Oltre all’ecosostenibilità della filiera di produzione, tra i vantaggi dell’impiego delle ecostoviglie nella ristorazione collettiva c’è la comodità di non dover dividere posate, piatti e bicchieri contaminati dai residui organici, conferendo tutto indistintamente nella raccolta dell’umido.
Posate da Olimpiade, in tutti i sensi: fu proprio Ecozema a vincere la gara per rifornire le Olimpiadi di “Londra 2012″ di ecostoviglie biodegradabili e compostabili con oltre 15 milioni di pezzi forniti. Tra i grandi eventi recenti connessi al mondo dello sport ci sono anche i mondiali di sci di Cortina 2021, che ha Visto ECOZEMA tra i suoi partner.
Il nostro viaggio all’interno della economia circolare prosegue con Minimo Impatto il cui nome è davvero tutto un programma: questa è la storia di un’azienda italiana leader nell’economia circolare della ristorazione, scelta anche da Alessandro Gassman e dal Kyoto Club per essere uno dei Green Heroes 2019.
La ditta nasce nel 2007 e la mission dei fondatori è stata, sin dall’inizio, quella di creare una realtà che consentisse di diffondere prodotti ecosostenibili aiutando anche i consumatori a fare scelte consapevoli. Da allora l’azienda è cresciuta soprattutto nel settore delle ecostoviglie divenendo – con circa 1000 referenze – punto di riferimento per tutti gli operatori della ristorazione che cercano soluzioni ecosostenibili per il monouso.
Con lo scoppio della pandemia gli sforzi aziendali si sono concentrati nel trovare soluzioni ecofriendly per tutto quel che riguarda l’ambito del take away e del food delivery. Mettere d’accordo le esigenze della ristorazione e dei clienti e, nel contempo, individuare nuove linee corrispondenti alle richieste non è stato semplice, ma con un impegno costante si è riusciti – ci dicono dalla direzione aziendale – a proporre alternative low impact e, al tempo stesso, funzionali per il settore dell’asporto.
Tra i prodotti più richiesti si annoverano i contenitori anche pluriscomparto con il coperchio per i cibi caldi e bicchieri in bioplastica trasparente per le bevande fredde e in cartoncino per i cibi caldi. Minimo comune denominatore? La sostenibilità e le materie prime rinnovabili di origine vegetale come la polpa di cellulosa, il cartoncino, il PLA e, ovviamente, l’immancabile Mater-Bi.
Probabilmente il primo prodotto realizzato con biopolimeri che le persone si sono trovate ad utilizzare quotidianamente è il sacchetto per la spesa che viene dato nei supermercati o nei negozi di prodotti alimentari quando non abbiamo con noi le sportine riutilizzabili.
In questo settore l’Italia è stata un Paese innovatore nell’ambito della economia circolare introducendo una normativa poi presa ad esempio da molti altri Stati, in particolar modo europei, all’interno degli obiettivi di riduzione dei rifiuti e dell’incremento delle percentuali di riciclo.
Considerato l’elevato numero di shopper monouso distribuiti quotidianamente nel Belpaese, è stato introdotto il divieto di distribuzione di shopper di questa tipologia che non fossero compostabili ai sensi dell’EN13432 o, in alternativa, quelle realizzate in carta, tessuti o con plastiche con specifiche caratteristiche come lo spessore o la presenza di una percentuale di materiale riciclato. L’obiettivo del legislatore era, da un lato, ridurre il numero circolante degli shopper e, dall’altro, favorire la distribuzione dei sacchetti realizzati con materie prime rinnovabili – idonei anche alla raccolta dell’organico – riducendo così l’utilizzo di materiali provenienti da fonti fossili.
Nonostante, però, le multe previste, a distanza di 8 anni dall’entrata in vigore della normativa (1 gennaio 2013), ancora circolano in giro shopper non a norma. Purtroppo tale problema continua a persistere a dispetto delle diverse campagne di comunicazione come #Unsaccogiusto promossa nel 2016 proprio da Legambiente attraverso un video che aveva come protagonista Fortunato Cerlino, alias il superboss di Gomorra Pietro Savastano.
Secondo il rapporto Ecomafie 2020 di Legambiente e in base all’indagine condotta da Assobioplastiche, su 100 buste in circolazione, 30 sarebbero fuori norma.
Sono nate così iniziative come SacchETICO, il sacchetto della spesa compostabile e a norma che si accompagna a una comunicazione etica per informare e sensibilizzare il pubblico sui temi della sostenibilità e della legalità, veicolando messaggi dall’alto valore sociale.
Altro progetto che sposa il messaggio di sostenibilità e di legalità delle buste è quello messo in campo da Cooperativa Ventuno, una start-up nata per la rivendita di prodotti ecologici e compostabili (dai bioshopper ai prodotti per l’agricoltura a quelli usa e getta per la ristorazione) messa su con impegno da Gennaro Del Prete e Massimiliano Noviello, due uomini accomunati dalla morte dei rispettivi padri uccisi dalla camorra perché volevano un’Italia libera dalle illegalità. Il loro coraggio e il desiderio di una società civile fondata sulla legalità e sul lavoro onesto continua oggi a vivere nella cooperativa sociale fondata dai figli.
Come abbiamo raccontato, i prodotti certificati compostabili possono essere conferiti nell’umido e tornare a nutrire la terra sotto forma di fertilizzante. Come avviene questa magia? A spiegarlo è Progeva srl attraverso un video. L’azienda – che ha sede in provincia di Taranto – è una delle imprese che gestiscono impianti di compostaggio in Italia grazie ai quali riescono a recuperare rifiuti organici per trasformarli in compost di qualità (certificato dal marchio di qualità del CIC, Consorzio Italiano Compostatori, ammesso anche in agricoltura biologica) da reinserire nel ciclo vitale della natura attraverso l’agricoltura e il giardinaggio.
Nell’impianto di compostaggio viene conferito tutto ciò che è biodegradabile e compostabile: la frazione organica dei rifiuti come gli avanzi di cucina, sacchetti ed ecostoviglie certificati compostabili, piccoli scarti di fiori e piante (il verde di casa insomma), persino gli escrementi degli animali domestici. Attenzione: polvere, mozziconi di sigarette, plastiche biodegradabili ma non compostabili non rientrano negli scarti dell’umido.
Il processo di compostaggio in un impianto di fatto accelera un processo già presente in natura: gli scarti si degradano grazie all’attività di microorganismi. Le molecole organiche diventano così humus.
Nutrire la terra consente che essa continui a vivere. Il compost in agricoltura è utilissimo per contrastare la desertificazione dei suoli, ridurre il fabbisogno di acqua, limitare i devastanti effetti dell’eutrofizzazione e aiuta le piante a essere più resistenti.
Una corretta differenziazione dell’organico riduce l’anidride carbonica equivalente rispetto al conferimento in discarica, ma non solo: dagli impianti di compostaggio si possono ottenere biogas e biometano, rinnovabili e non di origine fossile. Per un Paese, come l’Italia, povero di materie prime energetiche, le rinnovabili possono essere davvero miniere d’oro.
Purtroppo, però, in Italia sono ancora troppi gli scarti verdi e alimentari che finiscono in discarica, trasformandosi da potenziali risorse (come il compost o il biogas) in rifiuti da gestire. Come spesso ripete il presidente di Legambiente Stefano Ciafani: (per avere) rifiuti zero, (servono) impianti mille!