Come natura suona

Environment


Come natura suona

Estrarre vibrazioni dalla natura e dall'ambiente circostante grazie alla tecnologia. Il progetto di Max Casacci che ci porta ad ascoltare la Terra.

Quando ci improvvisiamo audiofili e parliamo di come la “natura suona ” – spesso aggiungendo meravigliosi nonsense tipo “senti come suona caldo questo vinile!” – non ci rendiamo conto di utilizzare involontariamente un ossimoro. Qualunque registrazione e riproduzione sonora è per sua stessa natura già qualcosa di artificiale. La tecnologia e l’intervento umano per forza di cose modificano il suono così com’è alla fonte.

Eppure, la natura ha realmente una sua “musica”. Una sua grammatica, un suo sfuggente impianto armonico-melodico. Provare ad afferrarlo e riprodurlo, e in qualche modo anche a “produrlo” dandogli forma, è una sfida che ha affascinato molti studiosi e musicisti. I cosiddetti field recordings rappresentano un esperimento interessante soprattutto perché implicano un ribaltamento di prospettiva: è la natura (oceani, venti, alberi, corsi d’acqua, animali) a condurre il gioco.

Si tratta di «un’esperienza sonora intensa e vibrante, dove non è il compositore a imporre la partitura ma sono le note che sgorgano direttamente dagli ambienti naturali a guidare il processo creativo e indicare la strada da seguire». Parole di Max Casacci, chitarrista fondatore dei Subsonica, che negli ultimi dieci anni si è appassionato al sogno di ogni buon alchimista e in diverse occasioni ha provato a estrarre vibrazioni (sub)soniche dalla natura e dall’ambiente circostante. Dopo aver messo in musica i rumori di una fornace del vetro di Murano e reso jazz (insieme a fuoriclasse del genere come Enrico Rava) i suoni urbani di Torino, ha recentemente portato a compimento il suo percorso di ricerca con il progetto Earthphonia. Un cd (disponibile in forma liquida anche sulle piattaforme di streaming) abbinato a un libro, ideato in collaborazione con Slow Food e scritto con il geologo, divulgatore scientifico e noto volto televisivo Mario Tozzi.

Cos’è Earthphonia? Come adombra il titolo, una vera e propria sinfonia di Madre Terra, costruita senza strumenti a partire da campionamenti poi ri-processati digitalmente. Tra i vari movimenti si possono trovare: una forma inedita di delta-blues, in cui a essere protagonisti sono proprio gli uccelli e la biodiversità del Delta del Po; una composizione “barocca” nata intrecciando le registrazioni di api in un alveare; i bassi profondi dei vulcani delle Eolie; la memoria dell’acqua che scorre in un torrente piemontese o si abbatte su una scogliera greca; il sound delle radici (proprio in senso letterale) ottenuto con una session in una foresta.

Quello che potrebbe sembrare un divertissement un po’ snob ha in realtà un sostrato tanto filosofico – cosa “sentiamo” davvero quando ci poniamo in ascolto di ciò che è fuori da noi? come si possono ricombinare gli elementi naturali facendoli diventare “arte”? – quanto politico. Secondo Casacci «la musica non è una scintilla che scaturisce dal nulla, è un riflesso di condizionamenti sociali, relazioni, conflitti, incroci, incontri, culture. E questa musica vuole rispondere anche alla sollecitazione delle voci dei più giovani, che si sono recentemente levate nelle piazze. La domanda qui è: siamo consapevoli dei rischi che il nostro pianeta sta correndo? La risposta non può aspettare, le scadenze sono imminenti. Anche per questo motivo ho portato questa musica in strada, suonandola durante alcune manifestazioni dei Fridays For Future e di Extinction Rebellion. Le chiavi di “Earthphonia”, che nasce dai suoni e dai rumori naturali trasformati in tessitura musicale, sono lo stupore e l’empatia nei confronti degli ecosistemi e di tutte meraviglie, spesso sconosciute, che nascondono» 

The Queen (Sounds from Bees) è l”ultimo “singolo” da Eartphonia, accompagnato da un video nel quale Casacci e il microfonista, bardati da apicoltori, si muovono lentamente intorno a un’arnia, quasi come astronauti in un film di fantascienza onirica degli anni 70. Il brano e il video sostengono la campagna europea “Salviamo le api e gli agricoltori” (#SaveBeesAndFarmers), promossa da una coalizione di cui fa parte anche Slowfood e che si propone di costringere la Commissione Europea a prendere posizione sul rischio di estinzione di molte specie di api a causa dei pesticidi nocivi (qui la petizione https://www.slowfood.it/salviamo-api-agricoltorii/).

Come tiene a precisare Casacci, dunque, non si tratta solo di “musica da relax”, con tutte le implicazioni new age del caso. È peraltro il destino di gran parte delle registrazioni sul campo di questo tipo, per non dire di tanta “ambient music”, quello di finire a fare da colonna sonora in palestre yoga, ascensori, hall degli aeroporti e sale parto. Del resto, la connessione con una certa filosofia hippy risale proprio agli anni 60-70, e in particolare al lavoro di un personaggio eccentrico come Irving Solomon Teibel. Strana figura di ricercatore, musicologo, pioniere dell’informatica e imprenditore discografico, inondò il mercato con una serie di album contenenti esclusivamente suoni naturali, da quello dell’Oceano Pacifico ai versi degli animali di uno zoo di Los Angeles, intitolati Environments.

Sul retrocopertina del primo volume venivano riportate frasi di ascoltatori estasiati: “questi suoni hanno curato la mia insonnia”, “meglio di un tranquillante!”, “la stanza mi è sembrata improvvisamente più brillante”. Al netto del probabile uso di LSD del pubblico di allora, sono commenti che danno l’idea dell’effetto a metà tra il terapeutico e il mistico che può indurre l’esposizione prolungata alla musica della natura. Mettendo tra parentesi l’autosuggestione, è plausibile – come dimostrato da vari report scientifici – che certe caratteristiche intrinseche come la ripetizione e i ritmi lenti abbiano il potere di cancellare ogni altra distrazione senza tuttavia richiedere una eccessiva attenzione. Al contrario della musica, che anche quando è minimalista e ripetitiva esige comunque di essere decodificata. C’è anche chi ritiene che i suoni naturali evochino un senso di sicurezza e di pace radicato nella nostra​ memoria preistorica. Il silenzio, per i nostri antenati, non era mai un buon segno: significava che erano in giro dei predatori. Se invece si sentivano richiami di uccelli e altri animali, si poteva stare più tranquilli. Oggi i pericoli nelle città del ventunesimo secolo non sono più rappresentati dalle bestie feroci quanto più dallo stress, dall’isolamento, dall’angoscia. Tanto più nel periodo difficile che abbiamo appena attraversato. Chi sa che Madre Natura non ci possa dare una mano anche fornendoci la colonna sonora ideale.

Copywriter, giornalista, critico musicale e docente di comunicazione. In pubblicità ha ideato campagne per brand come Fiat, Sanpaolo Intesa, Lancia, Ferrero, 3/Wind. Insegna comunicazione presso lo IAAD di Torino e la Scuola Holden. Collabora con testate quali Rolling Stone, Il Fatto Quotidiano, Rumore. Ha scritto e tradotto diversi volumi di storia e critica musicale per case editrici come Giunti e Arcana.​