Buco dell’ozono sì, clima no?

Environment


Buco dell’ozono sì, clima no?

Il negoziato climatico è circondato dallo scetticismo verso un’umanità incapace di rinunciare a immediate comodità anche a costo di correre verso il disastro. Eppure, la sfida del buco nella fascia di ozono sembra raccontare una storia diversa. Le due cose sono connesse in molti modi. Perché non ci riusciamo?

Nel 1985 si era scoperto che alcune sostanze chimiche – soprattutto clorofluorocarburi o CFC – causano ogni anno un buco nello strato di ozono, soprattutto nell’area antartica. Grave, poiché lo strato di ozono terrestre, situato a un’altezza tra circa 9 e 22 miglia sopra la superficie del pianeta, assorbe radiazioni ultraviolette e di altro tipo, proteggendo la vita sulla Terra da componenti altrimenti nocive – soprattutto cancerogene – della radiazione solare. E per una volta ci siamo mossi: appena due anni dopo, nel 1987, 197 Paesi hanno firmato il Protocollo di Montreal, che ha guidato lo sforzo collettivo di eliminazione graduale del 99% di queste sostanze con il sostegno di tutti i Paesi del mondo; ed è stato da poco annunciato che lo strato di ozono tornerà ai valori del 1980 ‒ prima della comparsa del buco dell’ozono ‒ entro pochi decenni. Il competente gruppo di ricerca delle Nazioni Unite, ha affermato che lo strato di ozono si ristabilirà entro il 2066 circa nell’Antartico, entro il 2045 nell’Artico ed entro il 2040 nel resto del mondo. E l’UNEP – Programma ONU per l’ambiente – stima che quest’azione da sola dovrebbe prevenire due milioni di tumori.

Un’altra buona notizia è che – dopo un primo errore di valutazione ma poi rapidamente corretto – l’eliminazione globale delle sostanze chimiche che danneggiano l’ozono, precedentemente presenti in spray per capelli, frigoriferi, condizionatori d’aria e prodotti per la pulizia industriale, sta già contribuendo anche a mitigare il cambiamento climatico, oltre a ridurre l’esposizione ai raggi UV per sostituire i CFC , molte industrie avevano in un primo tempo iniziato a utilizzare altre sostanze chiamate idrofluorocarburi (HFC). Tuttavia, si è scoperto che queste sostanze chimiche sono potenti gas a effetto serra e gli Stati hanno concordato l’Emendamento di Kigali al Protocollo di Montreal per eliminare gradualmente l’80-85% degli HFC entro la fine del 2040. Grazie a questo accordo, il mondo dovrebbe evitare un riscaldamento supplementare di 0,3-0,5 gradi Celsius entro il 2100.

Vi sono altri legami sistemici, complessi, ma anche senza esaminarli è intuitivo: se salta un elemento dell’equilibrio atmosferico è ovvio che ne risente l’intera architettura che ci dà la vita. Forse è più importante esaminare un altro legame fra clima e ozono: perché successo in uno ed esitazioni nell’altro? Gli ordini di grandezza sono diversi: rinunciare ai CFC riguarda alcuni settori industriali e alcune comodità domestiche; decarbonizzare significa invece rivoltare come un calzino tutta l’organizzazione socio economica e persino le nostre vite personali. Ma un insegnamento possiamo trarlo: i settori industriali che si sono dovuti reinventare in nome dell’ozono godono di ottima salute e noi individui abbiamo spray e frigoriferi migliori. E se a cambiare tutto, in meglio e in un’economia decarbonizzata, alla fine ci guadagniamo con un tutto meglio e non solo spray?

È​ Vice Segretario Generale per l’Energia e l’Azione Climatica dell’Unione del Mediterraneo. È​ un diplomatico italiano ed è stato coordinatore per l'eco-sostenibilità della Cooperazione allo Sviluppo. È stato delegato alle Nazioni Unite, console in Brasile, consigliere politico a Parigi e, alla Farnesina, responsabile dei rapporti con la stampa straniera e direttore del sito internet del Ministero degli Esteri. Da una ventina d'anni concentra la sua attenzione sui cambiamenti climatici. Nel 2009 la Ottawa University in Canada gli ha affidato il primo insegnamento attivato da un'università sulla questione ambiente, risorse, conflitti e risoluzione dei conflitti. Collabora da tempo con il Climate Reality Project, fondato dal premio Nobel per la pace Al Gore.