Perché l’on demand tv è generalista

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Perché l’on demand tv è generalista

A 10 anni dall’arrivo degli Over-the-top (OTT) che hanno modificato per sempre la fruizione dei contenuti video, l’offerta vira decisamente sul grande pubblico e punta sulla pubblicità per fare ricavi.

YouTube ha quasi 20 anni, Prime Video e Netflix, come li conosciamo ora, hanno varcato la soglia dei 10, e anche Dazn è vicina a questo traguardo. Disney+ ha spento cinque candeline, così come Apple TV+, mentre l’attuale Paramount+ ha tre anni, e Max, l’Over-the-top (OTT) del gruppo Warner Bros. Discovery, ha un anno e mezzo ma in Italia arriverà solo nel 2026. Una moltitudine di contenuti video, spesso esclusivi e sempre a pagamento, che hanno indotto molti osservatori a dubitare del modello di business della tv tradizionale, lineare e generalista. Modello che avrebbe dovuto soccombere sotto i colpi di questa ondata di film, intrattenimento, sport, documentari e serie tv di qualità, senza interruzioni pubblicitarie, disponibili on demand e distribuiti contemporaneamente in tutto il mondo e su tutti i mercati.
E, invece, per usare una formula un po’ semplicistica ma chiara, pure questi Over-the-top (OTT) sono nati incendiari ma stanno invecchiando pompieri. Ispirandosi a tradizionali fonti di reddito da old economy, tipo la raccolta pubblicitaria, veicolando contenuti non proprio innovativi come sport in diretta, intrattenimento popolare, cinepanettoni, e riunendosi in offerte bundle un po’ come faceva la vecchia Pay tv.

Tv on demand: la crescita si è fermata

La curva di crescita, impennatasi tra il 2020 e il 2021 sull’onda del Covid e delle persone chiuse in casa, ora si è già fermata. Si fa molta fatica a trovare nuovi abbonati, a trattenere i vecchi, con tariffe mensili in costante ascesa per coprire gli alti costi di funzionamento e la necessità di scandagliare strade da tv generalista: un tempo, per esempio, sarebbe stata impensabile la vendita di spazi pubblicitari per aumentare gli incassi. Ma adesso è ormai una solida realtà per tutti gli OTT.
Ricalcando sentieri già battuti una ventina di anni fa dalle Pay tv, anche le piattaforme di streaming stanno inoltre comprendendo come sia impossibile che un singolo cliente abbia voglia di pagare 5-6 abbonamenti mensili, e sia perciò meglio aggregarsi in offerte bundle con pacchetti di OTT, appoggiandosi alle portaerei (in questo caso porta-app) disponibili, siano esse Sky, TimVision o Prime Video.

Da un punto di vista dei numeri, come detto, l’aumento degli abbonati per gli Over-the-top si è fermato. In Italia e un po’ in tutto il mondo. Da noi, come sottolinea l’Osservatorio OTT di EY per il 2024, ci sarebbero circa 5,1 milioni di abbonati per Netflix, 3,5 milioni per Prime Video, due milioni per Dazn, così come Disney+. TimVision è invece a 1,8 milioni, Infinity a un milione, Now a 900 mila, Discovery+ a 400 mila, Apple TV+ a 300 mila così come Paramount+, YouTube Premium a 200 mila abbonati. Ci sono andamenti disomogenei per le diverse piattaforme: il Rapporto AgCom sui primi nove mesi del 2024 mette in evidenza, ad esempio, i 256 milioni di ore trascorsi dai navigatori su Netflix, in calo del 6% rispetto ai primi nove mesi del 2023. Anche Dazn flette del 9,7%. Mentre Prime video sale a 57 milioni di ore (+42,5%), Disney+ a 26 milioni di ore (+44,4%), Now di Sky a quattro milioni di ore (+33,3%).

Molti ipotizzavano che con l’affermazione delle smart tv nelle famiglie italiane ci sarebbe stata una transizione degli ascolti verso lo streaming degli over the top, abbandonano i canali tv lineari e i tradizionali broadcaster televisivi. Ma pure questo non sta accadendo: al momento in Italia ci sono circa 22,4 milioni di smart tv, rispetto ai 21,2 milioni di tv classici, e più della metà del pubblico ormai guarda la tv attraverso una smart tv. Tuttavia, le smart tv non hanno prodotto un effetto sostitutivo, ma un effetto aggiuntivo: il 67% degli utilizzatori dice di “continuare a guardare i canali che guardava prima, e in più anche le piattaforme in streaming, mentre il 33% resta indifferente allo streaming e prosegue a guardare i canali che vedeva prima”. I broadcaster tradizionali sono stati bravi a occupare il digitale con proprie piattaforme, e puntano sempre più a serie tv o programmi di intrattenimento distribuiti in anteprima sulle loro properties web. Alla fine, in base alle rilevazioni di Auditel, il cosiddetto ascolto non riconosciuto, ovvero quello degli OTT in streaming, non rilevati singolarmente da Auditel, più console per i giochi e altro, dei possessori di una smart tv rimane stabilmente al 32% da oltre un anno, senza scossoni.

Tv on demand: il numero degli abbonati non conta più

Il numero degli abbonamenti, peraltro, non può più essere considerato un dato interessante per descrivere il fenomeno degli Over-the-top. Come detto, non crescono più ai ritmi di un tempo, e poi dipende sempre dal prezzo al quale sono venduti. Netflix, al momento, è l’unico servizio in streaming che sta guadagnando soldi anche in Italia, e, a livello internazionale nelle sue comunicazioni istituzionali, sta dando meno peso al generico numero di abbonati. Privilegiando, invece, quello dei nuovi abbonamenti con pubblicità, che sembrano essere il vero business del futuro per il colosso di Los Gatos. Disney+, invece, perde soldi, e i due milioni di abbonati in Italia derivano da politiche di sconti estremi che, naturalmente, abbattono i ricavi. Stessa cosa per Dazn che in Italia continua a proporre contratti a prezzi scontati, ha ascolti in calo e i conti in rosso.

Prime Video, di Amazon, ha invece un grande cruccio: gli abbonati agli svariati servizi Prime in Italia sono infatti undici milioni, in base alle stime di Sensemakers. Ma appena 3,5 milioni hanno attivato Prime Video, che sarebbe comunque gratuito per gli abbonati ad Amazon Prime. Insomma, neppure un colosso come Amazon riesce a convincere gli abbonati a Prime a usufruire, gratis, dei servizi di Prime Video, tipo le partite di calcio di Champions, i film, le serie, i documentari o i programmi di intrattenimento. D’altronde, l’abbonamento ad Amazon Prime apre realmente a un sacco di offerte incluse nel prezzo: Prime reading per gli eBook, Amazon music, Amazon photos (un archivio infinito per le foto sul Cloud), spedizioni veloci senza costi, Twitch Prime, consegne di pasti a domicilio gratuite con Deliveroo. Un mare magnum dove Prime Video si perde un po’. Paramount+ sopravvive in Italia solo grazie alla intesa con Sky, che lo offre gratis a tutti gli abbonati a Sky Cinema, Discovery+, per ora, è irrilevante come Apple TV+, in attesa di Max nel 2026. TimVision è diventato sostanzialmente un aggregatore di altre offerte, mentre Now e Infinity sono piattaforme complementari ai business di Sky e Mediaset.

Crediti Foto: Thibault Penin/Unsplash

Milanese, laureato in Economia e commercio alla Università Cattolica del Sacro Cuore, è giornalista del quotidiano ItaliaOggi, co-fondatore di MarketingOggi, esperto di storia ed economia dei media, docente di comunicazione ed economia dei media per oltre 10 anni allo IED di Milano.