La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
L'emigrazione dei giovani italiani (18-34 anni) è ripresa ai più alti ritmi pre-pandemici, sia nelle uscite sia nel saldo migratorio. Le ragioni di questa scelta.
In un famosissimo film distopico di John Carpenter del 1981, 1997: Fuga da New York, un criminale recidivo (Kurt Russel) può ottenere la grazia solo salvando il presidente degli Stati Uniti, tenuto in ostaggio nella città-prigione di Manhattan. Nella pellicola, la City è circondata da un enorme muro di contenimento, con strade deserte, edifici in rovina e un’atmosfera cupa e irredimibile. Ecco, così penso che i giovani italiani vedano il nostro Paese, sebbene con toni meno drammatici. Nel loro immaginario, l’Italia appare come un luogo dal fascino ormai sbiadito, inesorabilmente senza futuro. E allora Goodbye Malinconia, come cantava Caparezza nel 2011. Con lo sguardo velato da un senso di desolazione, i giovani italiani fra i 18 e 30 anni continuano a lasciare il nostro Paese.
Un sondaggio condotto da Ipsos per la Fondazione Raffaele Barletta rivela che i giovani ritengono di non poter essere felici come lo erano i loro genitori o nonni. Secondo gli intervistati, i boomer avevano maggiori opportunità lavorative, prospettive future più promettenti e relazioni sociali più appaganti, malgrado (o forse proprio grazie a) l’assenza dei social e di internet.
Per questo, il 35% ammette che lascerebbe questo “Paese-prigione” in cerca di migliori opportunità lavorative e stipendi più alti.
Molti lo hanno già fatto: nel 2022 e nel 2023 quasi 100mila under 35 sono andati via.
Qualche anno fa, anche io ero un numero in una di queste statistiche. Oggi sono uno dei trecentomila e passa abitanti della mia città nel sud Italia.
Nel 2019 sono tornato a Bari, dove sono nato. Dopo svariati anni fuori, mi sono reso conto che quello che credevo fosse un velo di “desolazione”, forse era solo l’ennesimo velo di Maya che mi impediva di vedere chiaramente la realtà. A quel punto, alla ricerca della felicità – che all’epoca identificavo con la work-life balance, la salute mentale ela vicinanza agli affetti – mi sono chiesto: «Al di là di aspettative e narrative, dove posso trovare tutto questo?». Nel tanto decantato “estero” ho trovato grandi opportunità di lavoro, grandi amicizie e grandi avventure… ma anche sperimentato poco equilibrio tra la vita privata e professionale, un burn-out, la solitudine della domenica pomeriggio. E non sono l’unico: tra i Paesi dove è più difficile stabilirsi secondo gli expat ci sono Francia e Germania – due delle mete preferite dai nostri giovani – soprattutto a causa della barriera linguistica e di una burocrazia macchinosa e poco collaborativa.
Non sorprende dunque che, proprio come me, molti abbiano scoperto che sotto quel velo l’Italia somiglia più alla scenografia de la “Dolce Vita”, di “Cinema Paradiso”, de “La Grande Bellezza”, sebbene con toni meno vivaci.
Dopo aver chiesto scusa ai romani per aver storpiato il loro proverbio preferito, vi lascio alcuni suggerimenti per osservare il mondo al di là del velo con una prospettiva diversa.
Come scriveva Frankl: «In questo spazio dimora il nostro potere di decidere come rispondere. Nella nostra risposta risiedono la crescita e libertà». Se vogliamo, questo spazio potrebbe essere il nostro Paese e la risposta di crescita e libertà, la nostra capacità di restare.